Le Paludi Pontine
Roberto Almagià
Io credo che in Italia siano assai pochi coloro che abbiano visitato la pianura pontina, quella vasta plaga del Lazio meridionale protesa fra i Monti Lepini ed il mare, fra le propaggini estreme dei Colli Laziali e il seno di Terracina; e ancor meno coloro, che, non avendola percorsa, se ne sian potuti fare un'idea anche approssimata. Molti avranno in mente la descrizione poetica dell'Aleardi, non certo felice ne' suoi colori foschissimi e penseranno ad una monotonia di piani squallidi implacabilmente dominati dalla febbre, da cui il turista debba rifuggire con sacro terrore. Né si può mutar molto questa opinione percorrendo la ferrovia da Velletri a Terracina, finora l'unica arteria ferroviaria della regione, la quale corre al margine orientale della pianura, in vista alle vecchie città volsche appollaiate in alto, sul primo balzo dei Lepini; e neppur il panorama dall'alto delle mura ciclopiche di Norba o dal magnifico castello di Sermoneta o dall'arce di Sezze vale a far ricredere il turista frettoloso. Bisogna inoltrarsi nel cuore della pianura e frugarla senza fretta, lembo per lembo, per riconoscere quanto siano vari e suggestivi gli aspetti ch'essa presenta.
Lungo la costa, dalla Torre d'Astura al Circeo, una serie di laghi allungati, dalle forme frastagliate e strane, chiusi verso il mare dai tumoleti, lunghi cordoni di dune sabbiose. Bellissimi, i maggiori, come il lago di Fogliano, specchio limpido e quieto cui si affaccia il parco magnifico della villa de' Caetani, coi suoi filari rigogliosi di palme, un lembo di paesaggio orientale; e il lago di Paola, sulla cui riva dorme, nelle sue ruine solitarie, l'antichissima Circei. Alle spalle di questa fascia costiera, un ripiano, alto da
Tra questo ripiano e i Lepini, che si levan ripidissimi coi loro dossi di calcare scabro e calvo, è la parte più depressa dell'Agro pontino, la palude vera e propria, che si allunga da NO a SE, da Tor Tre Ponti a Terracina, e che fino oltre la metà del secolo XVIII era in gran parte coperta dalle acque ristagnanti, la palude pestifera, pel cui risanamento da secoli e secoli tante energie si consumarono, tante iniziative sorsero e caddero infrante di un subito, oppur si spensero a poco a poco come esauste da una lotta impari contro un nemico gigantesco. Quest'area più depressa era probabilmente inondata anche nell'età antica e formava forse un bacino interno, una sorta di laguna o stagno; ma, fra questa e il mare, il ripiano descritto sopra doveva essere, per le assidue cure dell'uomo, in ottime condizioni idrauliche, era intensamente coltivato ed albergava una serie di floridi centri, tra i quali Suessa Pometia, che dette nome a tutta la pianura. La laguna pontina aveva forse una notevole profondità, sì che il deflusso delle acque poteva avvenire naturalmente, e tutta la contrada era immune da malaria. Certo la costruzione della Via Appia, che, con un maraviglioso, perfetto rettifilo di
Vennero poi, quando le condizioni peggioravano di secolo in secolo, per il lento, progressivo interrarsi della laguna, i tentativi di Nerva, di Trajano e di altri imperatori, poi forse un altro, iniziato al tempo di Teodorico, quando già l'abbandono faceva sentire i suoi tristi effetti; indi sopravvenne il lungo, oscuro periodo medievale, durante il quale la natura operò senza freno, e non pur la laguna si intyerrò a segno che lo scolo naturale delle acque divenne impossibile, ma anche il ripiano interposto tra quella e il mare - andate in rovina le monumentali opere di drenaggio - si convertì in una regione desolata, fomite pernicioso di malaria, invasa dalla macchia, sostituitasi ai campi già fiorenti ed estesasi a poco a poco fino a sommergere e cancellare pur anco i ruderi di popolose città.
Un millennio presso che ininterrotto di abbandono aveva ormai incancrenito il male, quando, nel secolo XVI, i pontefici iniziarono una serie di poderosi tentativi di bonifica parziale o generale. Ed ecco Giuliano De Medici, fratello di Leone X, accingersi al risanamento della parte bassa con lo scavo del Portatore, sfociante in mare a Badino, a occidente di Terracina; più tardi Sisto V seguitar l'opera con lo scavo del Fiume Sisto, che raccoglie le acque delle sorgenti di Ninfa e di tutti i torrenti della parte più alta, le così dette acque superiori; ecco finalmente la gigantesca opera intrapresa nel 1777 da Pio VI, che basterebbe da sola ad eternare fra i posteri la memoria di quel pontefice.
Ai lavori eseguiti per sua iniziativa da Gaetano Rappini si deve in sostanza se la palude vera e propria è oggi in massima parte prosciugata; il disegno concepito era davvero romanamente grandioso nella sua semplicità e tale da costituire un monumento di imperitura gloria all'ideatore. Un canale, parallelo all'antica Via Appia, perfettamente rettilineo, lungo oltre
Ma il progetto era condannato dalla sua stessa pur magnifica semplicità.
Ma a proseguir lo studio e tutti i minori, ma non meno necessari lavori completivi, mancò forse la lena; l’oscuro nemico stroncava le più forti energie. E sopravvennero le rivoluzioni politiche: durante il periodo del dominio francese si ristudiò da capo a fondo l'intricatissimo problema e si eseguì qualche opera più urgente; dopo la restaurazione, le strettezze del governo pontificio non consentirono di volgere il pensiero al compimento della grandiosa impresa, anzi si trascurò in parte anche la manutenzione di opere già eseguite, che deve essere rigorosa ed incessante in una plaga dove la piccola pendenza del terreno fa sì che i canali si interrino o si ostruiscano per la vegetazione che vi attecchisce in un baleno e vi si affolta con stupefacente rapidità; si rallentò, in una parola, la lotta che avrebbe dovuto proseguire indefessa, quando un anno di trascuranza basta a distruggere gli effetti di decenni di lavoro e una piena disastrosa annulla il frutto di energie e di mezzi accumulati con lunghe fatiche. La regione pontina, salvo nelle zone più alte e marginali, definitivamente redente, non rivide l’aratro, apportatore di vita; inondata in più parti nei mesi invernali, impraticabile nelle zone più interne, non potè esser ripopolata da abitanti stabili e sembrò destinata a tornare ancora una volta sotto l’impero della desolazione e della sua inesorabile compagna la malaria.
Invero tutta la pianura pontina non ha oggi abitanti stabili. A NO, Cisterna, sull'Appia, e
Tra l'Appia e il mare non un solo casolare. Eppure la pianura pontina ospita per otto mesi dell'anno una popolazione numerosa, di genti dei vicini monti Lepini o della più lontana Ciociaria. Quanti sono? Si dice da due a tremila, ma forse sono molti di più. In parte contadini, in parte maggiore pastori, vivono in capanne primitive, quasi sempre a forma di cono, disperse a piccoli gruppi nelle lestre - le radure della macchia, che, per antichissimo diritto, sono riserbate al pascolo di ovini e bovini - ovvero scaglionate lungo i canali, che, specialmente nella parte più bassa, formano una rete complicatissima. Abitatori più numerosi degli uomini sono i greggi: grandi buoi bianchi dalle corne lunate, che s'incontrano pascolanti ai margini dei boschi, stuoli di cavalli dalla lunga criniera scapigliata, greggi enormi di pecore, stipate le une presso le altre per ripararsi dal sole, o quietamente riposanti sotto gli olmi dell’Appia deserta, e finalmente branchi di bufali neri ed irsuti dal volto camuso, dalle corne ritorte. Il bufalo è l'animale più caratteristico della pianura pontina. Se ne incontrano sulle rive umide dei canali o delle piscine, o più spesso ancora dentro l'acqua, talora immersi fino alla testa, per rinfrescarsi; si adoperano per liberare i canali stessi dalla vegetazione che li ingombra e li ostruisce, spingendoli avanti in piccoli gruppi serrati; talora anche si lasciano aggiogate per trainare qualche carro pesante.
Tutto questo mondo così peculiare e caratteristico - suolo e acqua, vegetazione e animali, uomini e loro dimore - che non ha riscontro in nessun'altra parte d'Italia, offre al turista spettaccoli ed impressioni che invano si cercherebbero altrove. Anche le luci sembrano assumere qui aspetti particolari e maravigliosi: giochi di sole e luccichii strani nelle acque pigre dei canali, sotto la trama della verdura folta; lembi di cielo di un azzurro cupo, intensissimo, intravvisti, traverso i rami dei cerri annosi, dal fondo del bosco foltissimo; tramonti incantevoli, con riflessi di porpora e d'oro sulle rive dei laghi quieti; sfondi luminosi di mare e di cielo interrotti dal dorso boscoso del Circeo che si profila all'orizzonte come un gigantesco animale accovacciato. Il Circeo, isolato ancor oggi, poco meno di quando era veramente tutto ricinto dal mare, forma per il paesaggio, la vegetazione, la vita, un mondo a sé, del tutto diverso da quello della pianura pur tanto vicina… Lasciamolo da parte per oggi, perché merita di essere descritto per sé, da solo.
La regione pontina è dunque tutt'altro che un paese morto, almeno per otto mesi dell'anno. Soltanto nell'estate - quando i pastori e i loro greggi hanno ripresa la via dei monti e le lestre restano deserte, le capanne vuote o disfatte, i canali poveri d'acqua e silenziosi - la vita si attenua fin quasi ad arrestarsi; il viandante che sfidi il sole cocente e la malaria può camminare ore ed ore senza incontrare un essere umano, ed ha l'impressione che la rigenerazione della vastissima zona, attesa ed auspicata da secoli e secoli, sia ancora molto lontana.
E pur essa è forse men remota di quanto non si pensi. Ciò che sembrò per tanto tempo un sogno irraggiungibile, si intravede oggi - se non ancora come una realtà prossima - almeno come una impresa, gigantesca senza dubbio, ma non smisurata rispetto ai nuovi mezzi ed alle potenti energie che nell'ultimo secolo l'uomo ha potuto accumulare. Per vero l'opera del governo italiano, succeduto a quello pontificio, ha sempre proceduto, lenta, ma continua, attraverso le incertezze e le lungaggini burocratiche, e con resultati forse superiori a quello che comunemente non si creda, soprattutto nel campo della bonifica sanitaria; ma negli ultimi anni è sopravvenuta, più svelta, più libera d'impacci, l'opera di privati. I Caetani, eredi dei vastissimi feudi pontini legati al dominio di Sermoneta, hanno, con spirito di modernità, rivolto nuovamente le loro cure all'avito possesso; e non sono molti mesi che il più giovane discendente di quella insigne casa - sperimentando in pacifica opera civile le risorse tecniche, già accortamente utilizzate nell'esecuzione di una grande impresa bellica, lo sventramento dell’ultima cuspide del Col di Lana - riusciva con pari successo ad aprire una nuova comunicazione tra il mare e il lago di Fogliano, vivificando le acque di questo vasto specchio d'acqua, divenuto ormai notevole centro di piscicultura. All' ampia zona dei boschi pontini si era già rivolta l'attenzione durante la guerra, quando, nella grande penuria di legname, si procedette a tagli estesi, senza che purtroppo si potessero poi utilizzare, per difficoltà di trasporto, i magnifici tronchi, ancor oggi giacenti a centinaia, avanzi di inutile scempio, nella plaga tra Sermoneta e Fogliano. Ma più larghe e complesse opere di rigenerazione va attuando una giovine e vigorosa società, che riassume nel nome l'audace programma: «Bonifiche Pontine».
Chi lasciando
Le grandi aratrici Fowler - i più potenti congegni che l'ingegneria agricola abbia creato - trainate da trattrici abbinate, sconvolgono, coi loro poderosi aratri a coltello roteanti, il suolo fino a mezzo metro di profondità, sradicano gli arbusti, rovesciando le radici, dissodano il terreno, che, subito liberato dagli sterpi mediante altre macchine rastrellatrici, è senz'altro pronto per ricever le sementi.
L'opera si compie con una rapidità che ha del maraviglioso e presenta uno spettacolo imponente di potenza umana. E la terra, non arata da secoli, offre i tesori di una prodigiosa fertilità, quasi moltiplicata dal lunghissimo riposo: presso Sessano, il terreno, che era l'anno scorso un intrico di scopeti intransitabili, biondeggia ora di magnifico grano: il reddito uguaglia quello dei più ricchi terreni emiliani. Intorno al Quadrato, l'area coltivata si estende di stagione in stagione, mentre in altre plaghe contermini si migliora il pascolo, rendendolo più razionale, e sorgono a migliaia i pioppi in lunghissimi filari.
Questa zona che si va alacremente riscattando a nuova vita, è sul ripiano interposto fra la palude vera e propria e il mare, che, come si è detto, fu già nell'età classica, sede di intensa attività agricola e di floridi centri; e forse il vecchio Casale di Sessano, fino a poco tempo fa solitario in mezzo alla macchia fitta, oggi circondato da campi ferventi di lavoro umano, serba nel nome il ricordo di Sessa Pometia, l'antica metropoli della regione; un ricordo che è in sé stesso incitamento ed augurio.
Nella palude vera e propria - dove La linea Pia e i sistemi accessori di canalizzazione adempiono ancora alla loro funzione di scolatori della parte bassa, ma manca invece tuttora un permanente deflusso per le acque superiori, soprattutto per quelle del Teppia, che il Sisto è incapace ad accogliere nelle piene - un Consorzio, rivede e completa con intelligenza ed esperienza nuova progetti antichi e recenti, avviando una sistemazione che debba essere veramente definitiva.
Più in giù, presso il mare, fra Terracina e il Circeo, un altro esteso lembo di terra risorge e rapidamente si trasforma, come sotto un influsso rigeneratore: è
Il suolo tutto intorno, mollemente ondulato, qua e là incavato da piscine, era fino a pochi mesi fa invaso dalla macchia di rosella, alta fino a due metri: oggi, dopo eseguita, quando occorra, la cioccatura, cioè l'estirpamento dei tronchi e delle radici più robuste, le motoaratrici dissodano ed arano, e immediatamente dopo si fa la semina. La naturale, prodigiosa fertilità del suolo opera anche qui il miracolo: campi superbi di frumento, piantagioni rigogliose di pomodori prosperano oggi là dove nell'autunno scorso era ancora la macchia vergine. il Direttore dell'azienda è tempra di vero apostolo: moltiplicando la sua attività, richiama i coloni intorno al nuovo centro agricolo e, facilitando le loro condizioni di vita, fa di tutto per innamorarli della terra e indurli a non abbandonarla, anche nei mesi estivi più tristi. Un gran passo sarà fatto quando si potrà ottenere che una parte notevole della gente, che migra oggi nell'estate dalla pianura per far ritorno ai monti nativi, si persuada a prender dimora stabile nel paese, che è ormai fonte principale, se non unica, delle loro risorse. Affezionati alla regione pontina sono certo questi montanari dei Lepini e della Ciociaria; e alcuni finiscono col tempo per stabilirsi effettivamente nei centri prossimi - come è accaduto delle genti di Terelle, venute a trapiantarsi definitivarnente a Terracina -, altri ritornano ogni anno da epoca immernorabile, di generazione in generazione, nonostante il lavoro rude, i disagi di una vita quasi zingaresca, la malaria.
La malaria... Ecco lo spettro pauroso che sembra opporsi a qualsiasi più ardita impresa. A che serve - si dice - tentare la bonifica agraria e idraulica, se non si riesce a trionfare del nemico più terribile? Eppure anche la malaria fa oggi meno paura che per il passato. Le migliorate condizioni generali della popolazione in confronto a trenta o cinquant'anni fa, onde è aumentata la resistenza al male, la propaganda sui mezzi preventivi e curativi, hanno attenuata, se non altro, la violenza del flagello. Inoltre la estirpazione del bosco, la riduzione a cultura del terreno e il ripopolamento sono pur essi mezzi di lotta efficaci. Il detto che si attribuisce a Guido Baccelli: «La malaria si caccia via con l'aratro e si calpesta coi piedi» ha in sé qualche cosa di vero.
Ma oggi si combatte il nemico direttamente, ed, anche in questo caso, con mezzi nuovi, suggeriti dai progressi della scienza. Durante la guerra fu sperimentata con successo la cura della malaria mediante l'applicazione dei raggi X in tenui quantità, ed oggi questo nuovo sistema curativo, di cui è inventore il dottor Antonino Pais, si applica su larga scala nella regione pontina.
Una grande stazione radioterapica, diretta dallo stesso prof. Pais, munita dei più moderni, potenti materiali, è sorta quest'anno a Terracina ed esplica la sua azione con resultati che già in pochi mesi sì sono dimostrati mirabi: diffusasi rapidamente la notizia di guarigioni operate in casi ribelli ad ogni altra cura, centinaia di malati accorrono da ogni parte dell'agro e sono sottoposti ad esame caso per caso e gratuitamente, senza distinzione alcuna. La istituzione benefica costituisce il primo numero di un vasto programma di lotta antimalarica da estendersi a tutto l'ampio territorio. Se la fiducia degli ideatori e degli esecutori continuerà ad avere la conferma dei fatti, forse, in un avvenire prossimo, si verrà ancora una volta ad apprendere in Italia i novissimi mezzi per la lotta contro un flagello, che in tante plaghe del mondo miete vittime a migliaia.
Quando in tutto l'agro pontino sarà eliminato l'ostacolo derivante dalle periodiche invasioni delle acque, e il deflusso sarà ovunque regolato, quando saranno attenuati i pericoli dell'infezione malarica, l'opera di redenzione agricola, che oggi con pieno successo, è avviata in due o tre lembi della pianura, potrà essere estesa via via, fino a trasformare in plaghe coltivate, ed abitate tutte le zone oggi totalmente abbandonate ed improduttive. Si ha insomma l'impressione, che a un secolo e mezzo di distanza dalla grande iniziativa di Pio VI, l'opera di rigenerazione sia oggi ripresa in tutta la sua complessa vastità, con l'ausilio degli strumenti più agguerriti e delle energie più fattive. La fatica è lunga, la mèta è ardua. Ma se si pensi agli enormi progressi compiuti in ogni campo nei centocinquant'anni trascorsi dall'ultimo e maggior tentativo fatto a beneficio della regione pontina, se si pensi che oggi il tentativo si rinnova in condizioni di gran lunga migliori e col sussidio di una lunga e tenace esperienza, non si può nutrir dubbi sull'esito finale.
L'impresa gigantesca, che interessa tutta l'Italia, deve richiamare l'attenzione di tutta l'Italia e deve esser sorretta dal conforto di quanti hanno fede. E’ utile che molti vedano coi propri occhi e si rendano conto dell'opera che si va svolgendo. Una gita nella pianura pontina dovrebbe entrare ormai nel programma dei turisti che visitano senza fretta Roma,
E come alla contemplazione di un paesaggio dei più caratteristici si associa la visione della vasta e benefica opera trasformatrice, così nell'animo del visitatore si mescola, alle indimenticabili impressioni suscitate dagli spettacoli naturali, il sentimento di giustificato orgoglio, che desta in ogni italiano l'imponenza della nuova impresa di redenzione del paese e degli abitanti.
Estratto da «Le vie d’Italia» 1927.
BIOGRAFIA:
Roberto Almagià, geografo nato a Firenze nel 1884.
Professore ordinario nelle università di Padova e di Roma (1915 - 1959).
Direttore della sezione Geografia della Enciclopedia Italiana (1925-37).
Socio nazionale dell'Accademia dei Lincei (1932).
Ha coordinato il lavoro dei geografi italiani attraverso il comitato per la geografia del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Tra le sue opere: Studi geografici sulle frane in Italia (1907-10); Monumenta Italiae cartographica (1929); Monumenta cartographica Vaticana (1944-55).
Ha fondato e diretto la collana Le Regioni d'Italia della casa editrice Utet.
Morto a Roma nel 1962.