Vittorio Di Lembo
Nel complesso degli interventi operati nell’Agro Pontino, l’appoderamento e la costruzione delle nuove città costituirono il maggior intervento edilizio realizzato negli anni Trenta nel Lazio. Anche fuori della nostra nazione si guardava all’edificazione dei nuovi centri nell’ambito dei lavori di bonifica, e l’attenzione nel tempo ha superato, per la stessa natura intellettuale dei personaggi interessati, l’ambito della propaganda del regime dell’epoca. Basti pensare al piano regolatore di Sabaudia affidato ai giovanissimi architetti razionalisti Cancellotti, Montuori, Scalpelli capeggiati da Luigi Piccinato, oppure ai pregevoli incarichi professionali portati a termine dal futurista Angiolo Mazzoni.
Con l’appoderamento l’interesse principale era l’assegnazione di un podere alla sua famiglia e ad ogni famiglia la propria casa. L’abitazione ha sempre rappresentato il mezzo per la conquista della terra: legare l’uomo alla terra significa valorizzare il connubio terra-lavoro con la possibilità di un maggior rendimento economico, parallelamente al riscatto dell’uomo dalla millenaria condizione di inferiorità legata alla insalubrità delle terre. Da qui è nata la necessità di definire e reinventare l’abitazione rurale specifica per la bonifica pontina. La progettazione, si commentò all’epoca, non deve essere riservata ai tecnici dell’abitazione urbana, ma esige soprattutto la conoscenza di altri parametri e per le abitazioni dell’agro pontino fu richiesta la collaborazione anche della classe media. La casa rurale non è quindi la semplificazione della casa cittadina, ma il perfezionamento di una esigenza intesa come necessità del mondo rurale. Nasce, di conseguenza, il concetto di casa rurale come espressione di una sentita aspirazione e nel contesto del rapporto istintivo tra territorio e popolazione. Quello che storicamente poteva costituire il ricovero realizzato con i materiali a portata di mano, con i più poveri elementi forniti dalla natura del luogo, nel sistema costruttivo delle abitazioni dell’Agro Pontino trova un tangibile riscontro nell’uso dei materiali reperibili in loco o nelle immediate vicinanze. L’uso della pozzolana, del tufo e del pietrame è il riscontro alla disponibilità dei materiali reperibili nelle immediate vicinanze dei siti bonificati ed in ogni caso, come per l’impiego dei laterizi, la provenienza era localizzata nel territorio di Formia, di Gaeta e di Roma. Anche l’impiego dei materiali locali, se da una parte sfruttava le risorse disponibili creando una stretta correlazione tra l’operato dell’uomo e l’offerta della natura, in molti casi ha determinato lo scempio di suggestivi scenari naturali, offrendo, negli anni a seguire, l’occasione per uno sfruttamento indiscriminato delle risorse. A mo’ di esempio citiamo le gravi deturpazioni arrecate al territorio di Sermoneta, con particolare riferimento alla torre di Monticchio quale testimonianza diretta del mancato rispetto ambientale. Sicuramente ai giorni nostri lo sfruttamento delle risorse avrebbe trovato un approccio meno distruttivo, frutto di una diversa sensibilità verso la tutela dell’ambiente e della natura in generale. Del resto se consideriamo le opere realizzate nell’ambito della bonifica, a prescindere dal significato politico, nel complesso l’operazione doveva essere condotta nel rispetto di alcuni parametri economici frutto del rapporto costi-benefici. Proprio l’aspetto economico, come incidenza per unità di superficie, ha gettato le basi per una ricerca quasi ossessiva del contenimento dei costi per abitazione poderale. Alla iniziale scelta di quattro-cinque poderi tipo è seguita la naturale realizzazione di ben diciotto tipologie, suggerite da esigenze ambientali, non solo di carattere climatico, ma richieste dalla irrinunciabile necessità di assegnare un appezzamento di terreno ed una abitazione per singoli nuclei familiari. La ricerca sistematica della diversificazione architettonica non alterò i conti economici per unità abitativa. Una volta superata l’esigenza di predisporre specifici ricoveri per il foraggio in virtù del clima adatto alla conservazione in spazi aperti, gli elementi accessori alla abitazione rurale si riducono in particolare alla concimaia, al forno, al pollaio, al pozzo con abbeveratoio ed alla latrina esterna. Dalla esigenza di integrare il ciclo produttivo ad uso e consumo del nucleo familiare, in molti poderi al tradizionale pollaio fu affiancato il porcile; ben altra considerazione merita la latrina esterna. Concepita per necessità prettamente igieniche unitamente alla esigenza del contenimento dei costi, trovò la sua collocazione a margine della concimaia, con scarico diretto nella stessa ma priva di acqua corrente, tanto che il sistema adottato, per libera caduta degli escrementi, superava anche questa ultima esigenza. Nel concetto di casa rurale alcune soluzioni adottate rappresentavano quanto di meglio fosse possibile realizzare. La presenza del forno, nella sua razionale e semplice articolazione, tende ad esaltare l’importanza della trasformazione del prodotto principe dell’agro pontino, il frumento, da sempre considerato alla base dell’alimentazione del mondo rurale. Non sfugge un altro elemento caratteristico di alcune tipologie di case coloniche; il comignolo del camino, elemento caratteristico che svetta dalle coperture a tetto e, per la specifica e semplice funzione, costituisce quasi un gioiello dell’arte della prefabbricazione. A prima vista potrebbe sembrare un vezzo architettonico ma nella sostanza assolve perfettamente allo smaltimento dei fumi da tutto il perimetro, superando così l’interferenza dei venti provenienti da qualsiasi direzione. Lo stesso comignolo si erge anche a simbolo del nucleo familiare, raccolto, unito e solidale nei numerosi componenti intorno al sacro camino. Le strutture murarie delle varie tipologie delle case coloniche fanno ricorso a soluzioni comuni generalmente improntate all’impiego di determinanti materiali costruttivi. Nel primo caso il laterizio caratterizza, a ragion veduta, tutta una serie di particolari costruttivi, sostituendo il tufo nelle connessioni strutturali ad angolo retto delle strutture portanti perimetrali e nella riquadratura delle aperture quali porte e finestre. L’impiego del laterizio pieno caratterizza le aperture ad arco spesso presenti come prezioso elemento architettonico. Qualche perplessità, ad una attenta analisi strutturale, nasce dalla osservanza delle murature interne al fabbricato. Qui l’esigenza principe del contenimento dei costi ha suggerito soluzioni semplicistiche, spesso staticamente carenti secondo le nuove tendenze costruttive. Tali strutture, nei casi di minor sollecitazione dei carichi, sono state realizzate in mattoni pieni ad una testa, a volte con mattoni forati detti in gergo “foratoni”, che nulla hanno però in comune con gli analoghi manufatti dei giorni nostri, se non la caratteristica di essere semi vuoti e di presentare uno spessore maggiore. Le fondazioni, sistematicamente realizzate a sacco con l’escavazione manuale della sede e fondate a profondità variabile a seconda della natura del terreno, sono state riempite con pietra calcarea e malta di calce e pozzolana. Tale tipo di muratura spesso costituisce un motivo ornamentale fino al raggiungimento della quota del pavimento al piano terra. Il relativo vespaio, in pietra tufacea o calcarea, completava il sottostante piano al pavimento del piano terra. La muratura in elevazione dal piano terra alla copertura presenta spesso una consistente diversificazione; da una parte troviamo la muratura così detta “alla romana”, costituita da elementi irregolari di tufo, con molta calce e pozzolana e, in senso orizzontale, da ricorsi di mattoni pieni in laterizio per assolvere alla funzione statica della ripartizione dei carichi verticali, dall’altra troviamo la muratura interamente eseguita con mattoni pieni in laterizio e la irrinunciabile malta di calce e pozzolana. Altra caratteristica strutturale è rappresentata dalle tipologie adottate per i solai al primo piano. Qui la fantasia costruttiva, per nulla improntata a cervellotiche soluzioni, ha forse trovato la più libera interpretazione, ricorrendo all’impiego del cemento armato a volte limitato al semplice cordolo di coronamento inserito nelle murature portanti. Tra i solai adottati potremmo citare le seguenti tipologie: a) travi di ferro a doppio T, intervallate di circa un metro, con travelloni in laterizio allettati da una trave all’altra. Il tutto colmato e livellato con malta di cretoni di pozzolana e calce. Il piano così realizzato costituiva il letto di posa del pavimento, rigorosamente in cotto di tenera consistenza. b) travi di ferro a doppio T, intervallati di circa un metro, con voltine di mattoni pieni in sostituzione dei classici tavelloni. Tale soluzione, pregevole sotto l’aspetto architettonico, non ha trovato nel tempo un riferimento degno di alcuna continuità costruttiva, a causa del dispendioso impiego di mano d’opera. c) latero-cemento armato, con travetti del tipo “SAP” posizionati in aderenza gli uni agli altri, poveri di conglomerato cementizio e privi della sovrastante caldana. La soluzione costituiva, da un punto di vista strutturale, la base di partenza per gli attuali solai in latero-cemento. Al primo piano le strutture portanti sono nettamente diversificate. Salve le murature perimetrali, strutturalmente consistenti per motivi di carattere statico, le murature interne al fabbricato denotano chiaramente la volontà di operare economie nell’impiego di materiali ed assolvono la semplice funzione di divisione dei vani abitativi. Del resto la soluzione adottata in copertura prevede un elemento orizzontale comunemente definito “camera a canne”, quasi posto a celare la pregevole soluzione della capriata in legno. La capriata in legno, con tutte le sue componenti accessorie, costituisce l’elemento portante del manto di tegole rigorosamente del tipo “marsigliese”. La camera a canne è letteralmente costituita da canne vegetali essiccate ed integrate, come elemento riempitivo di scarso peso, da un supporto di rete metallica; l’intonaco sommariamente sbruffato e lisciato legava il tutto denunciando ad opera finita, una parvenza di signorile protezione. Non bisogna dimenticare che gran parte dei nuclei familiari trasferiti nell’agro pontino provenivano dal mondo salariale di altre regioni, cioè erano costituiti da mano d’opera generica, dedita ai lavori condotti in periodi ben determinati della stagione agraria, avulsi da ogni cognizione tecnica specifica, tale da non ingenerare nelle masse quel senso di programmata attività legata alla conduzione diretta delle unità poderali. E’ stata una delle maggiori difficoltà sorte di fronte alla assunzione di dirette responsabilità delle attività agricole condotte in prima persona. Quelle che al primo impatto sembravano le condizioni ideali per la conduzione delle unità poderali, vale a dire la casa colonica, il fondo da coltivare, le scorte ed il bestiame, hanno inizialmente disorientato chi doveva assoggettarsi alla cadenza dei raccolti secondo un ciclo inevitabilmente riconducibile alla variazione delle stagioni. La casa colonica, pur concepita nelle sue essenziali articolazioni, era giudicata come semplice riparo, di cui non si coglieva inizialmente il pieno significato della funzione, a causa anche delle ataviche condizioni ambientali da cui spesso provenivano le famiglie insediate nell’agro pontino.Non dimentichiamo che in alcune zone di provenienza queste famiglie vivevano in miseri ripari, dove il problema giornaliero era costituito dalla necessità di procurarsi di che vivere. Questa quasi idillica e non vissuta condizione nell’agro Pontino, prospettata come naturale conquista di un futuro benessere ma estranea all’originaria condizione di vita delle popolazioni trasferite per necessità, creò seri disorientamenti di ambientazione. Tra gli elementi costruttivi più rappresentativi inseriti in alcune tipologie delle abitazioni rurali spiccano, non a caso, due ben caratterizzate figure geometriche: l’arco a semicerchio, tecnicamente definito “a tutto sesto”, realizzato al piano terra, privo di infissi e spesso reiterato in successione per consentire il libero accesso ad una superfice accessoria e la struttura a sostegno delle coperture della abitazione e della stalla rigorosamente di forma triangolare. Il primo, l’arco a semicerchio, ancor oggi perfettamente visibile anche in presenza di profondi rifacimenti, offre all’osservatore l’immediata percezione di un elemento architettonico con funzioni statiche e propone un felice connubio con le linee tese della abitazione rurale, senza assumere la funzione di un elemento decorativo fine a se stesso. Il secondo, la struttura lignea a sostegno delle coperture, costituisce un elemento portante di cui non si coglie l’immediata presenza. Realizzato secondo una perfetta figura geometrica, il triangolo trova il suo equilibrio architettonico nella armonica e razionale integrazione tra le risoluzioni dei nodi di connessione e gli elementi portanti che costituiscono i lati del triangolo. Non sempre valorizzate, le capriate in legno hanno subito l’indifferente considerazione di chi ha ravvisato, nella povertà dei materiali impiegati e nella destinazione rurale del complesso abitativo, una sorta di antico retaggio, sottovalutando spesso l’idea progettuale ed artigianale di una struttura, la capriata, frutto di una razionale e millenaria evoluzione. Come riferimento storico la capriata, pur nella originaria e semplice interpretazione, trova le prime applicazioni, anche se con elementi lapidei a semplice contrasto, nelle tombe etrusche. Successivamente migliorata e reinterpretata con l’uso di materiali diversi, ha trovato razionale applicazione nelle coperture delle chiese di età romana e soprattutto è stata inserita come scelta costruttiva nell’arte Gotica. Possiamo semplicemente dedurre che l’arco e la capriata, pur realizzati con materiali diversi, nella stessa misura assolvono alla necessità di ridurre le spinte laterali sulle murature, razionalizzando e semplificando le sollecitazioni secondo i criteri della semplice compressione. Nella complessa ricerca della architettura della casa rurale, gli elementi strutturali adottati trovano riscontro nella semplicità e nella necessità impellente, già richiamata, di contenere i costi di costruzione nell’ambito delle possibili varianti. Un insieme di fattori hanno così contribuito alla realizzazione di case coloniche prive di inutili ricercatezze costruttive, razionali nelle loro funzioni e perfettamente integrate nell’assetto geometrico del territorio. Ai nostri giorni sono ancora percepibili i caratteri essenziali di questa architettura rurale. E’ vero che i tempi sono cambiati, ma sotto la spinta di nuove realtà economiche indissolubilmente legate alla economia del mondo rurale, gran parte dei fabbricati rurali hanno subito veri e propri stravolgimenti, spesso legati alle carenze di uno strumento urbanistico incapace di formulare i necessari riferimenti per la tutela di un patrimonio che, nel bene e nel male, è parte integrante del nostro territorio. Il risultato a suo tempo è stato apprezzabile; sicuramente dobbiamo fare autocritica per aver trascurato un’idea progettuale in sintonia con la vocazione dei luoghi e per non essere stati capaci di riproporre nuovi modelli alla luce soprattutto delle mutate condizioni economiche. E’ stato commesso l’errore di concepire la casa rurale come pretesa evoluzione della abitazione cittadina, perdendo ogni riferimento, come già detto, al rapporto istintivo tra territorio e popolazione.
Vittorio Di Lembo
Nel complesso degli interventi operati nell’Agro Pontino, l’appoderamento e la costruzione delle nuove città costituirono il maggior intervento edilizio realizzato negli anni Trenta nel Lazio. Anche fuori della nostra nazione si guardava all’edificazione dei nuovi centri nell’ambito dei lavori di bonifica, e l’attenzione nel tempo ha superato, per la stessa natura intellettuale dei personaggi interessati, l’ambito della propaganda del regime dell’epoca. Basti pensare al piano regolatore di Sabaudia affidato ai giovanissimi architetti razionalisti Cancellotti, Montuori, Scalpelli capeggiati da Luigi Piccinato, oppure ai pregevoli incarichi professionali portati a termine dal futurista Angiolo Mazzoni.
Con l’appoderamento l’interesse principale era l’assegnazione di un podere alla sua famiglia e ad ogni famiglia la propria casa. L’abitazione ha sempre rappresentato il mezzo per la conquista della terra: legare l’uomo alla terra significa valorizzare il connubio terra-lavoro con la possibilità di un maggior rendimento economico, parallelamente al riscatto dell’uomo dalla millenaria condizione di inferiorità legata alla insalubrità delle terre. Da qui è nata la necessità di definire e reinventare l’abitazione rurale specifica per la bonifica pontina. La progettazione, si commentò all’epoca, non deve essere riservata ai tecnici dell’abitazione urbana, ma esige soprattutto la conoscenza di altri parametri e per le abitazioni dell’agro pontino fu richiesta la collaborazione anche della classe media. La casa rurale non è quindi la semplificazione della casa cittadina, ma il perfezionamento di una esigenza intesa come necessità del mondo rurale. Nasce, di conseguenza, il concetto di casa rurale come espressione di una sentita aspirazione e nel contesto del rapporto istintivo tra territorio e popolazione. Quello che storicamente poteva costituire il ricovero realizzato con i materiali a portata di mano, con i più poveri elementi forniti dalla natura del luogo, nel sistema costruttivo delle abitazioni dell’Agro Pontino trova un tangibile riscontro nell’uso dei materiali reperibili in loco o nelle immediate vicinanze. L’uso della pozzolana, del tufo e del pietrame è il riscontro alla disponibilità dei materiali reperibili nelle immediate vicinanze dei siti bonificati ed in ogni caso, come per l’impiego dei laterizi, la provenienza era localizzata nel territorio di Formia, di Gaeta e di Roma. Anche l’impiego dei materiali locali, se da una parte sfruttava le risorse disponibili creando una stretta correlazione tra l’operato dell’uomo e l’offerta della natura, in molti casi ha determinato lo scempio di suggestivi scenari naturali, offrendo, negli anni a seguire, l’occasione per uno sfruttamento indiscriminato delle risorse. A mo’ di esempio citiamo le gravi deturpazioni arrecate al territorio di Sermoneta, con particolare riferimento alla torre di Monticchio quale testimonianza diretta del mancato rispetto ambientale. Sicuramente ai giorni nostri lo sfruttamento delle risorse avrebbe trovato un approccio meno distruttivo, frutto di una diversa sensibilità verso la tutela dell’ambiente e della natura in generale. Del resto se consideriamo le opere realizzate nell’ambito della bonifica, a prescindere dal significato politico, nel complesso l’operazione doveva essere condotta nel rispetto di alcuni parametri economici frutto del rapporto costi-benefici. Proprio l’aspetto economico, come incidenza per unità di superficie, ha gettato le basi per una ricerca quasi ossessiva del contenimento dei costi per abitazione poderale. Alla iniziale scelta di quattro-cinque poderi tipo è seguita la naturale realizzazione di ben diciotto tipologie, suggerite da esigenze ambientali, non solo di carattere climatico, ma richieste dalla irrinunciabile necessità di assegnare un appezzamento di terreno ed una abitazione per singoli nuclei familiari. La ricerca sistematica della diversificazione architettonica non alterò i conti economici per unità abitativa. Una volta superata l’esigenza di predisporre specifici ricoveri per il foraggio in virtù del clima adatto alla conservazione in spazi aperti, gli elementi accessori alla abitazione rurale si riducono in particolare alla concimaia, al forno, al pollaio, al pozzo con abbeveratoio ed alla latrina esterna. Dalla esigenza di integrare il ciclo produttivo ad uso e consumo del nucleo familiare, in molti poderi al tradizionale pollaio fu affiancato il porcile; ben altra considerazione merita la latrina esterna. Concepita per necessità prettamente igieniche unitamente alla esigenza del contenimento dei costi, trovò la sua collocazione a margine della concimaia, con scarico diretto nella stessa ma priva di acqua corrente, tanto che il sistema adottato, per libera caduta degli escrementi, superava anche questa ultima esigenza. Nel concetto di casa rurale alcune soluzioni adottate rappresentavano quanto di meglio fosse possibile realizzare. La presenza del forno, nella sua razionale e semplice articolazione, tende ad esaltare l’importanza della trasformazione del prodotto principe dell’agro pontino, il frumento, da sempre considerato alla base dell’alimentazione del mondo rurale. Non sfugge un altro elemento caratteristico di alcune tipologie di case coloniche; il comignolo del camino, elemento caratteristico che svetta dalle coperture a tetto e, per la specifica e semplice funzione, costituisce quasi un gioiello dell’arte della prefabbricazione. A prima vista potrebbe sembrare un vezzo architettonico ma nella sostanza assolve perfettamente allo smaltimento dei fumi da tutto il perimetro, superando così l’interferenza dei venti provenienti da qualsiasi direzione. Lo stesso comignolo si erge anche a simbolo del nucleo familiare, raccolto, unito e solidale nei numerosi componenti intorno al sacro camino. Le strutture murarie delle varie tipologie delle case coloniche fanno ricorso a soluzioni comuni generalmente improntate all’impiego di determinanti materiali costruttivi. Nel primo caso il laterizio caratterizza, a ragion veduta, tutta una serie di particolari costruttivi, sostituendo il tufo nelle connessioni strutturali ad angolo retto delle strutture portanti perimetrali e nella riquadratura delle aperture quali porte e finestre. L’impiego del laterizio pieno caratterizza le aperture ad arco spesso presenti come prezioso elemento architettonico. Qualche perplessità, ad una attenta analisi strutturale, nasce dalla osservanza delle murature interne al fabbricato. Qui l’esigenza principe del contenimento dei costi ha suggerito soluzioni semplicistiche, spesso staticamente carenti secondo le nuove tendenze costruttive. Tali strutture, nei casi di minor sollecitazione dei carichi, sono state realizzate in mattoni pieni ad una testa, a volte con mattoni forati detti in gergo “foratoni”, che nulla hanno però in comune con gli analoghi manufatti dei giorni nostri, se non la caratteristica di essere semi vuoti e di presentare uno spessore maggiore. Le fondazioni, sistematicamente realizzate a sacco con l’escavazione manuale della sede e fondate a profondità variabile a seconda della natura del terreno, sono state riempite con pietra calcarea e malta di calce e pozzolana. Tale tipo di muratura spesso costituisce un motivo ornamentale fino al raggiungimento della quota del pavimento al piano terra. Il relativo vespaio, in pietra tufacea o calcarea, completava il sottostante piano al pavimento del piano terra. La muratura in elevazione dal piano terra alla copertura presenta spesso una consistente diversificazione; da una parte troviamo la muratura così detta “alla romana”, costituita da elementi irregolari di tufo, con molta calce e pozzolana e, in senso orizzontale, da ricorsi di mattoni pieni in laterizio per assolvere alla funzione statica della ripartizione dei carichi verticali, dall’altra troviamo la muratura interamente eseguita con mattoni pieni in laterizio e la irrinunciabile malta di calce e pozzolana. Altra caratteristica strutturale è rappresentata dalle tipologie adottate per i solai al primo piano. Qui la fantasia costruttiva, per nulla improntata a cervellotiche soluzioni, ha forse trovato la più libera interpretazione, ricorrendo all’impiego del cemento armato a volte limitato al semplice cordolo di coronamento inserito nelle murature portanti. Tra i solai adottati potremmo citare le seguenti tipologie: a) travi di ferro a doppio T, intervallate di circa un metro, con travelloni in laterizio allettati da una trave all’altra. Il tutto colmato e livellato con malta di cretoni di pozzolana e calce. Il piano così realizzato costituiva il letto di posa del pavimento, rigorosamente in cotto di tenera consistenza. b) travi di ferro a doppio T, intervallati di circa un metro, con voltine di mattoni pieni in sostituzione dei classici tavelloni. Tale soluzione, pregevole sotto l’aspetto architettonico, non ha trovato nel tempo un riferimento degno di alcuna continuità costruttiva, a causa del dispendioso impiego di mano d’opera. c) latero-cemento armato, con travetti del tipo “SAP” posizionati in aderenza gli uni agli altri, poveri di conglomerato cementizio e privi della sovrastante caldana. La soluzione costituiva, da un punto di vista strutturale, la base di partenza per gli attuali solai in latero-cemento. Al primo piano le strutture portanti sono nettamente diversificate. Salve le murature perimetrali, strutturalmente consistenti per motivi di carattere statico, le murature interne al fabbricato denotano chiaramente la volontà di operare economie nell’impiego di materiali ed assolvono la semplice funzione di divisione dei vani abitativi. Del resto la soluzione adottata in copertura prevede un elemento orizzontale comunemente definito “camera a canne”, quasi posto a celare la pregevole soluzione della capriata in legno. La capriata in legno, con tutte le sue componenti accessorie, costituisce l’elemento portante del manto di tegole rigorosamente del tipo “marsigliese”. La camera a canne è letteralmente costituita da canne vegetali essiccate ed integrate, come elemento riempitivo di scarso peso, da un supporto di rete metallica; l’intonaco sommariamente sbruffato e lisciato legava il tutto denunciando ad opera finita, una parvenza di signorile protezione. Non bisogna dimenticare che gran parte dei nuclei familiari trasferiti nell’agro pontino provenivano dal mondo salariale di altre regioni, cioè erano costituiti da mano d’opera generica, dedita ai lavori condotti in periodi ben determinati della stagione agraria, avulsi da ogni cognizione tecnica specifica, tale da non ingenerare nelle masse quel senso di programmata attività legata alla conduzione diretta delle unità poderali. E’ stata una delle maggiori difficoltà sorte di fronte alla assunzione di dirette responsabilità delle attività agricole condotte in prima persona. Quelle che al primo impatto sembravano le condizioni ideali per la conduzione delle unità poderali, vale a dire la casa colonica, il fondo da coltivare, le scorte ed il bestiame, hanno inizialmente disorientato chi doveva assoggettarsi alla cadenza dei raccolti secondo un ciclo inevitabilmente riconducibile alla variazione delle stagioni. La casa colonica, pur concepita nelle sue essenziali articolazioni, era giudicata come semplice riparo, di cui non si coglieva inizialmente il pieno significato della funzione, a causa anche delle ataviche condizioni ambientali da cui spesso provenivano le famiglie insediate nell’agro pontino.Non dimentichiamo che in alcune zone di provenienza queste famiglie vivevano in miseri ripari, dove il problema giornaliero era costituito dalla necessità di procurarsi di che vivere. Questa quasi idillica e non vissuta condizione nell’agro Pontino, prospettata come naturale conquista di un futuro benessere ma estranea all’originaria condizione di vita delle popolazioni trasferite per necessità, creò seri disorientamenti di ambientazione. Tra gli elementi costruttivi più rappresentativi inseriti in alcune tipologie delle abitazioni rurali spiccano, non a caso, due ben caratterizzate figure geometriche: l’arco a semicerchio, tecnicamente definito “a tutto sesto”, realizzato al piano terra, privo di infissi e spesso reiterato in successione per consentire il libero accesso ad una superfice accessoria e la struttura a sostegno delle coperture della abitazione e della stalla rigorosamente di forma triangolare. Il primo, l’arco a semicerchio, ancor oggi perfettamente visibile anche in presenza di profondi rifacimenti, offre all’osservatore l’immediata percezione di un elemento architettonico con funzioni statiche e propone un felice connubio con le linee tese della abitazione rurale, senza assumere la funzione di un elemento decorativo fine a se stesso. Il secondo, la struttura lignea a sostegno delle coperture, costituisce un elemento portante di cui non si coglie l’immediata presenza. Realizzato secondo una perfetta figura geometrica, il triangolo trova il suo equilibrio architettonico nella armonica e razionale integrazione tra le risoluzioni dei nodi di connessione e gli elementi portanti che costituiscono i lati del triangolo. Non sempre valorizzate, le capriate in legno hanno subito l’indifferente considerazione di chi ha ravvisato, nella povertà dei materiali impiegati e nella destinazione rurale del complesso abitativo, una sorta di antico retaggio, sottovalutando spesso l’idea progettuale ed artigianale di una struttura, la capriata, frutto di una razionale e millenaria evoluzione. Come riferimento storico la capriata, pur nella originaria e semplice interpretazione, trova le prime applicazioni, anche se con elementi lapidei a semplice contrasto, nelle tombe etrusche. Successivamente migliorata e reinterpretata con l’uso di materiali diversi, ha trovato razionale applicazione nelle coperture delle chiese di età romana e soprattutto è stata inserita come scelta costruttiva nell’arte Gotica. Possiamo semplicemente dedurre che l’arco e la capriata, pur realizzati con materiali diversi, nella stessa misura assolvono alla necessità di ridurre le spinte laterali sulle murature, razionalizzando e semplificando le sollecitazioni secondo i criteri della semplice compressione. Nella complessa ricerca della architettura della casa rurale, gli elementi strutturali adottati trovano riscontro nella semplicità e nella necessità impellente, già richiamata, di contenere i costi di costruzione nell’ambito delle possibili varianti. Un insieme di fattori hanno così contribuito alla realizzazione di case coloniche prive di inutili ricercatezze costruttive, razionali nelle loro funzioni e perfettamente integrate nell’assetto geometrico del territorio. Ai nostri giorni sono ancora percepibili i caratteri essenziali di questa architettura rurale. E’ vero che i tempi sono cambiati, ma sotto la spinta di nuove realtà economiche indissolubilmente legate alla economia del mondo rurale, gran parte dei fabbricati rurali hanno subito veri e propri stravolgimenti, spesso legati alle carenze di uno strumento urbanistico incapace di formulare i necessari riferimenti per la tutela di un patrimonio che, nel bene e nel male, è parte integrante del nostro territorio. Il risultato a suo tempo è stato apprezzabile; sicuramente dobbiamo fare autocritica per aver trascurato un’idea progettuale in sintonia con la vocazione dei luoghi e per non essere stati capaci di riproporre nuovi modelli alla luce soprattutto delle mutate condizioni economiche. E’ stato commesso l’errore di concepire la casa rurale come pretesa evoluzione della abitazione cittadina, perdendo ogni riferimento, come già detto, al rapporto istintivo tra territorio e popolazione.
Vittorio Di Lembo
Nel complesso degli interventi operati nell’Agro Pontino, l’appoderamento e la costruzione delle nuove città costituirono il maggior intervento edilizio realizzato negli anni Trenta nel Lazio. Anche fuori della nostra nazione si guardava all’edificazione dei nuovi centri nell’ambito dei lavori di bonifica, e l’attenzione nel tempo ha superato, per la stessa natura intellettuale dei personaggi interessati, l’ambito della propaganda del regime dell’epoca. Basti pensare al piano regolatore di Sabaudia affidato ai giovanissimi architetti razionalisti Cancellotti, Montuori, Scalpelli capeggiati da Luigi Piccinato, oppure ai pregevoli incarichi professionali portati a termine dal futurista Angiolo Mazzoni.
Con l’appoderamento l’interesse principale era l’assegnazione di un podere alla sua famiglia e ad ogni famiglia la propria casa. L’abitazione ha sempre rappresentato il mezzo per la conquista della terra: legare l’uomo alla terra significa valorizzare il connubio terra-lavoro con la possibilità di un maggior rendimento economico, parallelamente al riscatto dell’uomo dalla millenaria condizione di inferiorità legata alla insalubrità delle terre. Da qui è nata la necessità di definire e reinventare l’abitazione rurale specifica per la bonifica pontina. La progettazione, si commentò all’epoca, non deve essere riservata ai tecnici dell’abitazione urbana, ma esige soprattutto la conoscenza di altri parametri e per le abitazioni dell’agro pontino fu richiesta la collaborazione anche della classe media. La casa rurale non è quindi la semplificazione della casa cittadina, ma il perfezionamento di una esigenza intesa come necessità del mondo rurale. Nasce, di conseguenza, il concetto di casa rurale come espressione di una sentita aspirazione e nel contesto del rapporto istintivo tra territorio e popolazione. Quello che storicamente poteva costituire il ricovero realizzato con i materiali a portata di mano, con i più poveri elementi forniti dalla natura del luogo, nel sistema costruttivo delle abitazioni dell’Agro Pontino trova un tangibile riscontro nell’uso dei materiali reperibili in loco o nelle immediate vicinanze. L’uso della pozzolana, del tufo e del pietrame è il riscontro alla disponibilità dei materiali reperibili nelle immediate vicinanze dei siti bonificati ed in ogni caso, come per l’impiego dei laterizi, la provenienza era localizzata nel territorio di Formia, di Gaeta e di Roma. Anche l’impiego dei materiali locali, se da una parte sfruttava le risorse disponibili creando una stretta correlazione tra l’operato dell’uomo e l’offerta della natura, in molti casi ha determinato lo scempio di suggestivi scenari naturali, offrendo, negli anni a seguire, l’occasione per uno sfruttamento indiscriminato delle risorse. A mo’ di esempio citiamo le gravi deturpazioni arrecate al territorio di Sermoneta, con particolare riferimento alla torre di Monticchio quale testimonianza diretta del mancato rispetto ambientale. Sicuramente ai giorni nostri lo sfruttamento delle risorse avrebbe trovato un approccio meno distruttivo, frutto di una diversa sensibilità verso la tutela dell’ambiente e della natura in generale. Del resto se consideriamo le opere realizzate nell’ambito della bonifica, a prescindere dal significato politico, nel complesso l’operazione doveva essere condotta nel rispetto di alcuni parametri economici frutto del rapporto costi-benefici. Proprio l’aspetto economico, come incidenza per unità di superficie, ha gettato le basi per una ricerca quasi ossessiva del contenimento dei costi per abitazione poderale. Alla iniziale scelta di quattro-cinque poderi tipo è seguita la naturale realizzazione di ben diciotto tipologie, suggerite da esigenze ambientali, non solo di carattere climatico, ma richieste dalla irrinunciabile necessità di assegnare un appezzamento di terreno ed una abitazione per singoli nuclei familiari. La ricerca sistematica della diversificazione architettonica non alterò i conti economici per unità abitativa. Una volta superata l’esigenza di predisporre specifici ricoveri per il foraggio in virtù del clima adatto alla conservazione in spazi aperti, gli elementi accessori alla abitazione rurale si riducono in particolare alla concimaia, al forno, al pollaio, al pozzo con abbeveratoio ed alla latrina esterna. Dalla esigenza di integrare il ciclo produttivo ad uso e consumo del nucleo familiare, in molti poderi al tradizionale pollaio fu affiancato il porcile; ben altra considerazione merita la latrina esterna. Concepita per necessità prettamente igieniche unitamente alla esigenza del contenimento dei costi, trovò la sua collocazione a margine della concimaia, con scarico diretto nella stessa ma priva di acqua corrente, tanto che il sistema adottato, per libera caduta degli escrementi, superava anche questa ultima esigenza. Nel concetto di casa rurale alcune soluzioni adottate rappresentavano quanto di meglio fosse possibile realizzare. La presenza del forno, nella sua razionale e semplice articolazione, tende ad esaltare l’importanza della trasformazione del prodotto principe dell’agro pontino, il frumento, da sempre considerato alla base dell’alimentazione del mondo rurale. Non sfugge un altro elemento caratteristico di alcune tipologie di case coloniche; il comignolo del camino, elemento caratteristico che svetta dalle coperture a tetto e, per la specifica e semplice funzione, costituisce quasi un gioiello dell’arte della prefabbricazione. A prima vista potrebbe sembrare un vezzo architettonico ma nella sostanza assolve perfettamente allo smaltimento dei fumi da tutto il perimetro, superando così l’interferenza dei venti provenienti da qualsiasi direzione. Lo stesso comignolo si erge anche a simbolo del nucleo familiare, raccolto, unito e solidale nei numerosi componenti intorno al sacro camino. Le strutture murarie delle varie tipologie delle case coloniche fanno ricorso a soluzioni comuni generalmente improntate all’impiego di determinanti materiali costruttivi. Nel primo caso il laterizio caratterizza, a ragion veduta, tutta una serie di particolari costruttivi, sostituendo il tufo nelle connessioni strutturali ad angolo retto delle strutture portanti perimetrali e nella riquadratura delle aperture quali porte e finestre. L’impiego del laterizio pieno caratterizza le aperture ad arco spesso presenti come prezioso elemento architettonico. Qualche perplessità, ad una attenta analisi strutturale, nasce dalla osservanza delle murature interne al fabbricato. Qui l’esigenza principe del contenimento dei costi ha suggerito soluzioni semplicistiche, spesso staticamente carenti secondo le nuove tendenze costruttive. Tali strutture, nei casi di minor sollecitazione dei carichi, sono state realizzate in mattoni pieni ad una testa, a volte con mattoni forati detti in gergo “foratoni”, che nulla hanno però in comune con gli analoghi manufatti dei giorni nostri, se non la caratteristica di essere semi vuoti e di presentare uno spessore maggiore. Le fondazioni, sistematicamente realizzate a sacco con l’escavazione manuale della sede e fondate a profondità variabile a seconda della natura del terreno, sono state riempite con pietra calcarea e malta di calce e pozzolana. Tale tipo di muratura spesso costituisce un motivo ornamentale fino al raggiungimento della quota del pavimento al piano terra. Il relativo vespaio, in pietra tufacea o calcarea, completava il sottostante piano al pavimento del piano terra. La muratura in elevazione dal piano terra alla copertura presenta spesso una consistente diversificazione; da una parte troviamo la muratura così detta “alla romana”, costituita da elementi irregolari di tufo, con molta calce e pozzolana e, in senso orizzontale, da ricorsi di mattoni pieni in laterizio per assolvere alla funzione statica della ripartizione dei carichi verticali, dall’altra troviamo la muratura interamente eseguita con mattoni pieni in laterizio e la irrinunciabile malta di calce e pozzolana. Altra caratteristica strutturale è rappresentata dalle tipologie adottate per i solai al primo piano. Qui la fantasia costruttiva, per nulla improntata a cervellotiche soluzioni, ha forse trovato la più libera interpretazione, ricorrendo all’impiego del cemento armato a volte limitato al semplice cordolo di coronamento inserito nelle murature portanti. Tra i solai adottati potremmo citare le seguenti tipologie: a) travi di ferro a doppio T, intervallate di circa un metro, con travelloni in laterizio allettati da una trave all’altra. Il tutto colmato e livellato con malta di cretoni di pozzolana e calce. Il piano così realizzato costituiva il letto di posa del pavimento, rigorosamente in cotto di tenera consistenza. b) travi di ferro a doppio T, intervallati di circa un metro, con voltine di mattoni pieni in sostituzione dei classici tavelloni. Tale soluzione, pregevole sotto l’aspetto architettonico, non ha trovato nel tempo un riferimento degno di alcuna continuità costruttiva, a causa del dispendioso impiego di mano d’opera. c) latero-cemento armato, con travetti del tipo “SAP” posizionati in aderenza gli uni agli altri, poveri di conglomerato cementizio e privi della sovrastante caldana. La soluzione costituiva, da un punto di vista strutturale, la base di partenza per gli attuali solai in latero-cemento. Al primo piano le strutture portanti sono nettamente diversificate. Salve le murature perimetrali, strutturalmente consistenti per motivi di carattere statico, le murature interne al fabbricato denotano chiaramente la volontà di operare economie nell’impiego di materiali ed assolvono la semplice funzione di divisione dei vani abitativi. Del resto la soluzione adottata in copertura prevede un elemento orizzontale comunemente definito “camera a canne”, quasi posto a celare la pregevole soluzione della capriata in legno. La capriata in legno, con tutte le sue componenti accessorie, costituisce l’elemento portante del manto di tegole rigorosamente del tipo “marsigliese”. La camera a canne è letteralmente costituita da canne vegetali essiccate ed integrate, come elemento riempitivo di scarso peso, da un supporto di rete metallica; l’intonaco sommariamente sbruffato e lisciato legava il tutto denunciando ad opera finita, una parvenza di signorile protezione. Non bisogna dimenticare che gran parte dei nuclei familiari trasferiti nell’agro pontino provenivano dal mondo salariale di altre regioni, cioè erano costituiti da mano d’opera generica, dedita ai lavori condotti in periodi ben determinati della stagione agraria, avulsi da ogni cognizione tecnica specifica, tale da non ingenerare nelle masse quel senso di programmata attività legata alla conduzione diretta delle unità poderali. E’ stata una delle maggiori difficoltà sorte di fronte alla assunzione di dirette responsabilità delle attività agricole condotte in prima persona. Quelle che al primo impatto sembravano le condizioni ideali per la conduzione delle unità poderali, vale a dire la casa colonica, il fondo da coltivare, le scorte ed il bestiame, hanno inizialmente disorientato chi doveva assoggettarsi alla cadenza dei raccolti secondo un ciclo inevitabilmente riconducibile alla variazione delle stagioni. La casa colonica, pur concepita nelle sue essenziali articolazioni, era giudicata come semplice riparo, di cui non si coglieva inizialmente il pieno significato della funzione, a causa anche delle ataviche condizioni ambientali da cui spesso provenivano le famiglie insediate nell’agro pontino.Non dimentichiamo che in alcune zone di provenienza queste famiglie vivevano in miseri ripari, dove il problema giornaliero era costituito dalla necessità di procurarsi di che vivere. Questa quasi idillica e non vissuta condizione nell’agro Pontino, prospettata come naturale conquista di un futuro benessere ma estranea all’originaria condizione di vita delle popolazioni trasferite per necessità, creò seri disorientamenti di ambientazione. Tra gli elementi costruttivi più rappresentativi inseriti in alcune tipologie delle abitazioni rurali spiccano, non a caso, due ben caratterizzate figure geometriche: l’arco a semicerchio, tecnicamente definito “a tutto sesto”, realizzato al piano terra, privo di infissi e spesso reiterato in successione per consentire il libero accesso ad una superfice accessoria e la struttura a sostegno delle coperture della abitazione e della stalla rigorosamente di forma triangolare. Il primo, l’arco a semicerchio, ancor oggi perfettamente visibile anche in presenza di profondi rifacimenti, offre all’osservatore l’immediata percezione di un elemento architettonico con funzioni statiche e propone un felice connubio con le linee tese della abitazione rurale, senza assumere la funzione di un elemento decorativo fine a se stesso. Il secondo, la struttura lignea a sostegno delle coperture, costituisce un elemento portante di cui non si coglie l’immediata presenza. Realizzato secondo una perfetta figura geometrica, il triangolo trova il suo equilibrio architettonico nella armonica e razionale integrazione tra le risoluzioni dei nodi di connessione e gli elementi portanti che costituiscono i lati del triangolo. Non sempre valorizzate, le capriate in legno hanno subito l’indifferente considerazione di chi ha ravvisato, nella povertà dei materiali impiegati e nella destinazione rurale del complesso abitativo, una sorta di antico retaggio, sottovalutando spesso l’idea progettuale ed artigianale di una struttura, la capriata, frutto di una razionale e millenaria evoluzione. Come riferimento storico la capriata, pur nella originaria e semplice interpretazione, trova le prime applicazioni, anche se con elementi lapidei a semplice contrasto, nelle tombe etrusche. Successivamente migliorata e reinterpretata con l’uso di materiali diversi, ha trovato razionale applicazione nelle coperture delle chiese di età romana e soprattutto è stata inserita come scelta costruttiva nell’arte Gotica. Possiamo semplicemente dedurre che l’arco e la capriata, pur realizzati con materiali diversi, nella stessa misura assolvono alla necessità di ridurre le spinte laterali sulle murature, razionalizzando e semplificando le sollecitazioni secondo i criteri della semplice compressione. Nella complessa ricerca della architettura della casa rurale, gli elementi strutturali adottati trovano riscontro nella semplicità e nella necessità impellente, già richiamata, di contenere i costi di costruzione nell’ambito delle possibili varianti. Un insieme di fattori hanno così contribuito alla realizzazione di case coloniche prive di inutili ricercatezze costruttive, razionali nelle loro funzioni e perfettamente integrate nell’assetto geometrico del territorio. Ai nostri giorni sono ancora percepibili i caratteri essenziali di questa architettura rurale. E’ vero che i tempi sono cambiati, ma sotto la spinta di nuove realtà economiche indissolubilmente legate alla economia del mondo rurale, gran parte dei fabbricati rurali hanno subito veri e propri stravolgimenti, spesso legati alle carenze di uno strumento urbanistico incapace di formulare i necessari riferimenti per la tutela di un patrimonio che, nel bene e nel male, è parte integrante del nostro territorio. Il risultato a suo tempo è stato apprezzabile; sicuramente dobbiamo fare autocritica per aver trascurato un’idea progettuale in sintonia con la vocazione dei luoghi e per non essere stati capaci di riproporre nuovi modelli alla luce soprattutto delle mutate condizioni economiche. E’ stato commesso l’errore di concepire la casa rurale come pretesa evoluzione della abitazione cittadina, perdendo ogni riferimento, come già detto, al rapporto istintivo tra territorio e popolazione.
Vittorio Di Lembo
Nel complesso degli interventi operati nell’Agro Pontino, l’appoderamento e la costruzione delle nuove città costituirono il maggior intervento edilizio realizzato negli anni Trenta nel Lazio. Anche fuori della nostra nazione si guardava all’edificazione dei nuovi centri nell’ambito dei lavori di bonifica, e l’attenzione nel tempo ha superato, per la stessa natura intellettuale dei personaggi interessati, l’ambito della propaganda del regime dell’epoca. Basti pensare al piano regolatore di Sabaudia affidato ai giovanissimi architetti razionalisti Cancellotti, Montuori, Scalpelli capeggiati da Luigi Piccinato, oppure ai pregevoli incarichi professionali portati a termine dal futurista Angiolo Mazzoni.
Con l’appoderamento l’interesse principale era l’assegnazione di un podere alla sua famiglia e ad ogni famiglia la propria casa. L’abitazione ha sempre rappresentato il mezzo per la conquista della terra: legare l’uomo alla terra significa valorizzare il connubio terra-lavoro con la possibilità di un maggior rendimento economico, parallelamente al riscatto dell’uomo dalla millenaria condizione di inferiorità legata alla insalubrità delle terre. Da qui è nata la necessità di definire e reinventare l’abitazione rurale specifica per la bonifica pontina. La progettazione, si commentò all’epoca, non deve essere riservata ai tecnici dell’abitazione urbana, ma esige soprattutto la conoscenza di altri parametri e per le abitazioni dell’agro pontino fu richiesta la collaborazione anche della classe media. La casa rurale non è quindi la semplificazione della casa cittadina, ma il perfezionamento di una esigenza intesa come necessità del mondo rurale. Nasce, di conseguenza, il concetto di casa rurale come espressione di una sentita aspirazione e nel contesto del rapporto istintivo tra territorio e popolazione. Quello che storicamente poteva costituire il ricovero realizzato con i materiali a portata di mano, con i più poveri elementi forniti dalla natura del luogo, nel sistema costruttivo delle abitazioni dell’Agro Pontino trova un tangibile riscontro nell’uso dei materiali reperibili in loco o nelle immediate vicinanze. L’uso della pozzolana, del tufo e del pietrame è il riscontro alla disponibilità dei materiali reperibili nelle immediate vicinanze dei siti bonificati ed in ogni caso, come per l’impiego dei laterizi, la provenienza era localizzata nel territorio di Formia, di Gaeta e di Roma. Anche l’impiego dei materiali locali, se da una parte sfruttava le risorse disponibili creando una stretta correlazione tra l’operato dell’uomo e l’offerta della natura, in molti casi ha determinato lo scempio di suggestivi scenari naturali, offrendo, negli anni a seguire, l’occasione per uno sfruttamento indiscriminato delle risorse. A mo’ di esempio citiamo le gravi deturpazioni arrecate al territorio di Sermoneta, con particolare riferimento alla torre di Monticchio quale testimonianza diretta del mancato rispetto ambientale. Sicuramente ai giorni nostri lo sfruttamento delle risorse avrebbe trovato un approccio meno distruttivo, frutto di una diversa sensibilità verso la tutela dell’ambiente e della natura in generale. Del resto se consideriamo le opere realizzate nell’ambito della bonifica, a prescindere dal significato politico, nel complesso l’operazione doveva essere condotta nel rispetto di alcuni parametri economici frutto del rapporto costi-benefici. Proprio l’aspetto economico, come incidenza per unità di superficie, ha gettato le basi per una ricerca quasi ossessiva del contenimento dei costi per abitazione poderale. Alla iniziale scelta di quattro-cinque poderi tipo è seguita la naturale realizzazione di ben diciotto tipologie, suggerite da esigenze ambientali, non solo di carattere climatico, ma richieste dalla irrinunciabile necessità di assegnare un appezzamento di terreno ed una abitazione per singoli nuclei familiari. La ricerca sistematica della diversificazione architettonica non alterò i conti economici per unità abitativa. Una volta superata l’esigenza di predisporre specifici ricoveri per il foraggio in virtù del clima adatto alla conservazione in spazi aperti, gli elementi accessori alla abitazione rurale si riducono in particolare alla concimaia, al forno, al pollaio, al pozzo con abbeveratoio ed alla latrina esterna. Dalla esigenza di integrare il ciclo produttivo ad uso e consumo del nucleo familiare, in molti poderi al tradizionale pollaio fu affiancato il porcile; ben altra considerazione merita la latrina esterna. Concepita per necessità prettamente igieniche unitamente alla esigenza del contenimento dei costi, trovò la sua collocazione a margine della concimaia, con scarico diretto nella stessa ma priva di acqua corrente, tanto che il sistema adottato, per libera caduta degli escrementi, superava anche questa ultima esigenza. Nel concetto di casa rurale alcune soluzioni adottate rappresentavano quanto di meglio fosse possibile realizzare. La presenza del forno, nella sua razionale e semplice articolazione, tende ad esaltare l’importanza della trasformazione del prodotto principe dell’agro pontino, il frumento, da sempre considerato alla base dell’alimentazione del mondo rurale. Non sfugge un altro elemento caratteristico di alcune tipologie di case coloniche; il comignolo del camino, elemento caratteristico che svetta dalle coperture a tetto e, per la specifica e semplice funzione, costituisce quasi un gioiello dell’arte della prefabbricazione. A prima vista potrebbe sembrare un vezzo architettonico ma nella sostanza assolve perfettamente allo smaltimento dei fumi da tutto il perimetro, superando così l’interferenza dei venti provenienti da qualsiasi direzione. Lo stesso comignolo si erge anche a simbolo del nucleo familiare, raccolto, unito e solidale nei numerosi componenti intorno al sacro camino. Le strutture murarie delle varie tipologie delle case coloniche fanno ricorso a soluzioni comuni generalmente improntate all’impiego di determinanti materiali costruttivi. Nel primo caso il laterizio caratterizza, a ragion veduta, tutta una serie di particolari costruttivi, sostituendo il tufo nelle connessioni strutturali ad angolo retto delle strutture portanti perimetrali e nella riquadratura delle aperture quali porte e finestre. L’impiego del laterizio pieno caratterizza le aperture ad arco spesso presenti come prezioso elemento architettonico. Qualche perplessità, ad una attenta analisi strutturale, nasce dalla osservanza delle murature interne al fabbricato. Qui l’esigenza principe del contenimento dei costi ha suggerito soluzioni semplicistiche, spesso staticamente carenti secondo le nuove tendenze costruttive. Tali strutture, nei casi di minor sollecitazione dei carichi, sono state realizzate in mattoni pieni ad una testa, a volte con mattoni forati detti in gergo “foratoni”, che nulla hanno però in comune con gli analoghi manufatti dei giorni nostri, se non la caratteristica di essere semi vuoti e di presentare uno spessore maggiore. Le fondazioni, sistematicamente realizzate a sacco con l’escavazione manuale della sede e fondate a profondità variabile a seconda della natura del terreno, sono state riempite con pietra calcarea e malta di calce e pozzolana. Tale tipo di muratura spesso costituisce un motivo ornamentale fino al raggiungimento della quota del pavimento al piano terra. Il relativo vespaio, in pietra tufacea o calcarea, completava il sottostante piano al pavimento del piano terra. La muratura in elevazione dal piano terra alla copertura presenta spesso una consistente diversificazione; da una parte troviamo la muratura così detta “alla romana”, costituita da elementi irregolari di tufo, con molta calce e pozzolana e, in senso orizzontale, da ricorsi di mattoni pieni in laterizio per assolvere alla funzione statica della ripartizione dei carichi verticali, dall’altra troviamo la muratura interamente eseguita con mattoni pieni in laterizio e la irrinunciabile malta di calce e pozzolana. Altra caratteristica strutturale è rappresentata dalle tipologie adottate per i solai al primo piano. Qui la fantasia costruttiva, per nulla improntata a cervellotiche soluzioni, ha forse trovato la più libera interpretazione, ricorrendo all’impiego del cemento armato a volte limitato al semplice cordolo di coronamento inserito nelle murature portanti. Tra i solai adottati potremmo citare le seguenti tipologie: a) travi di ferro a doppio T, intervallate di circa un metro, con travelloni in laterizio allettati da una trave all’altra. Il tutto colmato e livellato con malta di cretoni di pozzolana e calce. Il piano così realizzato costituiva il letto di posa del pavimento, rigorosamente in cotto di tenera consistenza. b) travi di ferro a doppio T, intervallati di circa un metro, con voltine di mattoni pieni in sostituzione dei classici tavelloni. Tale soluzione, pregevole sotto l’aspetto architettonico, non ha trovato nel tempo un riferimento degno di alcuna continuità costruttiva, a causa del dispendioso impiego di mano d’opera. c) latero-cemento armato, con travetti del tipo “SAP” posizionati in aderenza gli uni agli altri, poveri di conglomerato cementizio e privi della sovrastante caldana. La soluzione costituiva, da un punto di vista strutturale, la base di partenza per gli attuali solai in latero-cemento. Al primo piano le strutture portanti sono nettamente diversificate. Salve le murature perimetrali, strutturalmente consistenti per motivi di carattere statico, le murature interne al fabbricato denotano chiaramente la volontà di operare economie nell’impiego di materiali ed assolvono la semplice funzione di divisione dei vani abitativi. Del resto la soluzione adottata in copertura prevede un elemento orizzontale comunemente definito “camera a canne”, quasi posto a celare la pregevole soluzione della capriata in legno. La capriata in legno, con tutte le sue componenti accessorie, costituisce l’elemento portante del manto di tegole rigorosamente del tipo “marsigliese”. La camera a canne è letteralmente costituita da canne vegetali essiccate ed integrate, come elemento riempitivo di scarso peso, da un supporto di rete metallica; l’intonaco sommariamente sbruffato e lisciato legava il tutto denunciando ad opera finita, una parvenza di signorile protezione. Non bisogna dimenticare che gran parte dei nuclei familiari trasferiti nell’agro pontino provenivano dal mondo salariale di altre regioni, cioè erano costituiti da mano d’opera generica, dedita ai lavori condotti in periodi ben determinati della stagione agraria, avulsi da ogni cognizione tecnica specifica, tale da non ingenerare nelle masse quel senso di programmata attività legata alla conduzione diretta delle unità poderali. E’ stata una delle maggiori difficoltà sorte di fronte alla assunzione di dirette responsabilità delle attività agricole condotte in prima persona. Quelle che al primo impatto sembravano le condizioni ideali per la conduzione delle unità poderali, vale a dire la casa colonica, il fondo da coltivare, le scorte ed il bestiame, hanno inizialmente disorientato chi doveva assoggettarsi alla cadenza dei raccolti secondo un ciclo inevitabilmente riconducibile alla variazione delle stagioni. La casa colonica, pur concepita nelle sue essenziali articolazioni, era giudicata come semplice riparo, di cui non si coglieva inizialmente il pieno significato della funzione, a causa anche delle ataviche condizioni ambientali da cui spesso provenivano le famiglie insediate nell’agro pontino.Non dimentichiamo che in alcune zone di provenienza queste famiglie vivevano in miseri ripari, dove il problema giornaliero era costituito dalla necessità di procurarsi di che vivere. Questa quasi idillica e non vissuta condizione nell’agro Pontino, prospettata come naturale conquista di un futuro benessere ma estranea all’originaria condizione di vita delle popolazioni trasferite per necessità, creò seri disorientamenti di ambientazione. Tra gli elementi costruttivi più rappresentativi inseriti in alcune tipologie delle abitazioni rurali spiccano, non a caso, due ben caratterizzate figure geometriche: l’arco a semicerchio, tecnicamente definito “a tutto sesto”, realizzato al piano terra, privo di infissi e spesso reiterato in successione per consentire il libero accesso ad una superfice accessoria e la struttura a sostegno delle coperture della abitazione e della stalla rigorosamente di forma triangolare. Il primo, l’arco a semicerchio, ancor oggi perfettamente visibile anche in presenza di profondi rifacimenti, offre all’osservatore l’immediata percezione di un elemento architettonico con funzioni statiche e propone un felice connubio con le linee tese della abitazione rurale, senza assumere la funzione di un elemento decorativo fine a se stesso. Il secondo, la struttura lignea a sostegno delle coperture, costituisce un elemento portante di cui non si coglie l’immediata presenza. Realizzato secondo una perfetta figura geometrica, il triangolo trova il suo equilibrio architettonico nella armonica e razionale integrazione tra le risoluzioni dei nodi di connessione e gli elementi portanti che costituiscono i lati del triangolo. Non sempre valorizzate, le capriate in legno hanno subito l’indifferente considerazione di chi ha ravvisato, nella povertà dei materiali impiegati e nella destinazione rurale del complesso abitativo, una sorta di antico retaggio, sottovalutando spesso l’idea progettuale ed artigianale di una struttura, la capriata, frutto di una razionale e millenaria evoluzione. Come riferimento storico la capriata, pur nella originaria e semplice interpretazione, trova le prime applicazioni, anche se con elementi lapidei a semplice contrasto, nelle tombe etrusche. Successivamente migliorata e reinterpretata con l’uso di materiali diversi, ha trovato razionale applicazione nelle coperture delle chiese di età romana e soprattutto è stata inserita come scelta costruttiva nell’arte Gotica. Possiamo semplicemente dedurre che l’arco e la capriata, pur realizzati con materiali diversi, nella stessa misura assolvono alla necessità di ridurre le spinte laterali sulle murature, razionalizzando e semplificando le sollecitazioni secondo i criteri della semplice compressione. Nella complessa ricerca della architettura della casa rurale, gli elementi strutturali adottati trovano riscontro nella semplicità e nella necessità impellente, già richiamata, di contenere i costi di costruzione nell’ambito delle possibili varianti. Un insieme di fattori hanno così contribuito alla realizzazione di case coloniche prive di inutili ricercatezze costruttive, razionali nelle loro funzioni e perfettamente integrate nell’assetto geometrico del territorio. Ai nostri giorni sono ancora percepibili i caratteri essenziali di questa architettura rurale. E’ vero che i tempi sono cambiati, ma sotto la spinta di nuove realtà economiche indissolubilmente legate alla economia del mondo rurale, gran parte dei fabbricati rurali hanno subito veri e propri stravolgimenti, spesso legati alle carenze di uno strumento urbanistico incapace di formulare i necessari riferimenti per la tutela di un patrimonio che, nel bene e nel male, è parte integrante del nostro territorio. Il risultato a suo tempo è stato apprezzabile; sicuramente dobbiamo fare autocritica per aver trascurato un’idea progettuale in sintonia con la vocazione dei luoghi e per non essere stati capaci di riproporre nuovi modelli alla luce soprattutto delle mutate condizioni economiche. E’ stato commesso l’errore di concepire la casa rurale come pretesa evoluzione della abitazione cittadina, perdendo ogni riferimento, come già detto, al rapporto istintivo tra territorio e popolazione.
Vittorio Di Lembo
Nel complesso degli interventi operati nell’Agro Pontino, l’appoderamento e la costruzione delle nuove città costituirono il maggior intervento edilizio realizzato negli anni Trenta nel Lazio. Anche fuori della nostra nazione si guardava all’edificazione dei nuovi centri nell’ambito dei lavori di bonifica, e l’attenzione nel tempo ha superato, per la stessa natura intellettuale dei personaggi interessati, l’ambito della propaganda del regime dell’epoca. Basti pensare al piano regolatore di Sabaudia affidato ai giovanissimi architetti razionalisti Cancellotti, Montuori, Scalpelli capeggiati da Luigi Piccinato, oppure ai pregevoli incarichi professionali portati a termine dal futurista Angiolo Mazzoni.
Con l’appoderamento l’interesse principale era l’assegnazione di un podere alla sua famiglia e ad ogni famiglia la propria casa. L’abitazione ha sempre rappresentato il mezzo per la conquista della terra: legare l’uomo alla terra significa valorizzare il connubio terra-lavoro con la possibilità di un maggior rendimento economico, parallelamente al riscatto dell’uomo dalla millenaria condizione di inferiorità legata alla insalubrità delle terre. Da qui è nata la necessità di definire e reinventare l’abitazione rurale specifica per la bonifica pontina. La progettazione, si commentò all’epoca, non deve essere riservata ai tecnici dell’abitazione urbana, ma esige soprattutto la conoscenza di altri parametri e per le abitazioni dell’agro pontino fu richiesta la collaborazione anche della classe media. La casa rurale non è quindi la semplificazione della casa cittadina, ma il perfezionamento di una esigenza intesa come necessità del mondo rurale. Nasce, di conseguenza, il concetto di casa rurale come espressione di una sentita aspirazione e nel contesto del rapporto istintivo tra territorio e popolazione. Quello che storicamente poteva costituire il ricovero realizzato con i materiali a portata di mano, con i più poveri elementi forniti dalla natura del luogo, nel sistema costruttivo delle abitazioni dell’Agro Pontino trova un tangibile riscontro nell’uso dei materiali reperibili in loco o nelle immediate vicinanze. L’uso della pozzolana, del tufo e del pietrame è il riscontro alla disponibilità dei materiali reperibili nelle immediate vicinanze dei siti bonificati ed in ogni caso, come per l’impiego dei laterizi, la provenienza era localizzata nel territorio di Formia, di Gaeta e di Roma. Anche l’impiego dei materiali locali, se da una parte sfruttava le risorse disponibili creando una stretta correlazione tra l’operato dell’uomo e l’offerta della natura, in molti casi ha determinato lo scempio di suggestivi scenari naturali, offrendo, negli anni a seguire, l’occasione per uno sfruttamento indiscriminato delle risorse. A mo’ di esempio citiamo le gravi deturpazioni arrecate al territorio di Sermoneta, con particolare riferimento alla torre di Monticchio quale testimonianza diretta del mancato rispetto ambientale. Sicuramente ai giorni nostri lo sfruttamento delle risorse avrebbe trovato un approccio meno distruttivo, frutto di una diversa sensibilità verso la tutela dell’ambiente e della natura in generale. Del resto se consideriamo le opere realizzate nell’ambito della bonifica, a prescindere dal significato politico, nel complesso l’operazione doveva essere condotta nel rispetto di alcuni parametri economici frutto del rapporto costi-benefici. Proprio l’aspetto economico, come incidenza per unità di superficie, ha gettato le basi per una ricerca quasi ossessiva del contenimento dei costi per abitazione poderale. Alla iniziale scelta di quattro-cinque poderi tipo è seguita la naturale realizzazione di ben diciotto tipologie, suggerite da esigenze ambientali, non solo di carattere climatico, ma richieste dalla irrinunciabile necessità di assegnare un appezzamento di terreno ed una abitazione per singoli nuclei familiari. La ricerca sistematica della diversificazione architettonica non alterò i conti economici per unità abitativa. Una volta superata l’esigenza di predisporre specifici ricoveri per il foraggio in virtù del clima adatto alla conservazione in spazi aperti, gli elementi accessori alla abitazione rurale si riducono in particolare alla concimaia, al forno, al pollaio, al pozzo con abbeveratoio ed alla latrina esterna. Dalla esigenza di integrare il ciclo produttivo ad uso e consumo del nucleo familiare, in molti poderi al tradizionale pollaio fu affiancato il porcile; ben altra considerazione merita la latrina esterna. Concepita per necessità prettamente igieniche unitamente alla esigenza del contenimento dei costi, trovò la sua collocazione a margine della concimaia, con scarico diretto nella stessa ma priva di acqua corrente, tanto che il sistema adottato, per libera caduta degli escrementi, superava anche questa ultima esigenza. Nel concetto di casa rurale alcune soluzioni adottate rappresentavano quanto di meglio fosse possibile realizzare. La presenza del forno, nella sua razionale e semplice articolazione, tende ad esaltare l’importanza della trasformazione del prodotto principe dell’agro pontino, il frumento, da sempre considerato alla base dell’alimentazione del mondo rurale. Non sfugge un altro elemento caratteristico di alcune tipologie di case coloniche; il comignolo del camino, elemento caratteristico che svetta dalle coperture a tetto e, per la specifica e semplice funzione, costituisce quasi un gioiello dell’arte della prefabbricazione. A prima vista potrebbe sembrare un vezzo architettonico ma nella sostanza assolve perfettamente allo smaltimento dei fumi da tutto il perimetro, superando così l’interferenza dei venti provenienti da qualsiasi direzione. Lo stesso comignolo si erge anche a simbolo del nucleo familiare, raccolto, unito e solidale nei numerosi componenti intorno al sacro camino. Le strutture murarie delle varie tipologie delle case coloniche fanno ricorso a soluzioni comuni generalmente improntate all’impiego di determinanti materiali costruttivi. Nel primo caso il laterizio caratterizza, a ragion veduta, tutta una serie di particolari costruttivi, sostituendo il tufo nelle connessioni strutturali ad angolo retto delle strutture portanti perimetrali e nella riquadratura delle aperture quali porte e finestre. L’impiego del laterizio pieno caratterizza le aperture ad arco spesso presenti come prezioso elemento architettonico. Qualche perplessità, ad una attenta analisi strutturale, nasce dalla osservanza delle murature interne al fabbricato. Qui l’esigenza principe del contenimento dei costi ha suggerito soluzioni semplicistiche, spesso staticamente carenti secondo le nuove tendenze costruttive. Tali strutture, nei casi di minor sollecitazione dei carichi, sono state realizzate in mattoni pieni ad una testa, a volte con mattoni forati detti in gergo “foratoni”, che nulla hanno però in comune con gli analoghi manufatti dei giorni nostri, se non la caratteristica di essere semi vuoti e di presentare uno spessore maggiore. Le fondazioni, sistematicamente realizzate a sacco con l’escavazione manuale della sede e fondate a profondità variabile a seconda della natura del terreno, sono state riempite con pietra calcarea e malta di calce e pozzolana. Tale tipo di muratura spesso costituisce un motivo ornamentale fino al raggiungimento della quota del pavimento al piano terra. Il relativo vespaio, in pietra tufacea o calcarea, completava il sottostante piano al pavimento del piano terra. La muratura in elevazione dal piano terra alla copertura presenta spesso una consistente diversificazione; da una parte troviamo la muratura così detta “alla romana”, costituita da elementi irregolari di tufo, con molta calce e pozzolana e, in senso orizzontale, da ricorsi di mattoni pieni in laterizio per assolvere alla funzione statica della ripartizione dei carichi verticali, dall’altra troviamo la muratura interamente eseguita con mattoni pieni in laterizio e la irrinunciabile malta di calce e pozzolana. Altra caratteristica strutturale è rappresentata dalle tipologie adottate per i solai al primo piano. Qui la fantasia costruttiva, per nulla improntata a cervellotiche soluzioni, ha forse trovato la più libera interpretazione, ricorrendo all’impiego del cemento armato a volte limitato al semplice cordolo di coronamento inserito nelle murature portanti. Tra i solai adottati potremmo citare le seguenti tipologie: a) travi di ferro a doppio T, intervallate di circa un metro, con travelloni in laterizio allettati da una trave all’altra. Il tutto colmato e livellato con malta di cretoni di pozzolana e calce. Il piano così realizzato costituiva il letto di posa del pavimento, rigorosamente in cotto di tenera consistenza. b) travi di ferro a doppio T, intervallati di circa un metro, con voltine di mattoni pieni in sostituzione dei classici tavelloni. Tale soluzione, pregevole sotto l’aspetto architettonico, non ha trovato nel tempo un riferimento degno di alcuna continuità costruttiva, a causa del dispendioso impiego di mano d’opera. c) latero-cemento armato, con travetti del tipo “SAP” posizionati in aderenza gli uni agli altri, poveri di conglomerato cementizio e privi della sovrastante caldana. La soluzione costituiva, da un punto di vista strutturale, la base di partenza per gli attuali solai in latero-cemento. Al primo piano le strutture portanti sono nettamente diversificate. Salve le murature perimetrali, strutturalmente consistenti per motivi di carattere statico, le murature interne al fabbricato denotano chiaramente la volontà di operare economie nell’impiego di materiali ed assolvono la semplice funzione di divisione dei vani abitativi. Del resto la soluzione adottata in copertura prevede un elemento orizzontale comunemente definito “camera a canne”, quasi posto a celare la pregevole soluzione della capriata in legno. La capriata in legno, con tutte le sue componenti accessorie, costituisce l’elemento portante del manto di tegole rigorosamente del tipo “marsigliese”. La camera a canne è letteralmente costituita da canne vegetali essiccate ed integrate, come elemento riempitivo di scarso peso, da un supporto di rete metallica; l’intonaco sommariamente sbruffato e lisciato legava il tutto denunciando ad opera finita, una parvenza di signorile protezione. Non bisogna dimenticare che gran parte dei nuclei familiari trasferiti nell’agro pontino provenivano dal mondo salariale di altre regioni, cioè erano costituiti da mano d’opera generica, dedita ai lavori condotti in periodi ben determinati della stagione agraria, avulsi da ogni cognizione tecnica specifica, tale da non ingenerare nelle masse quel senso di programmata attività legata alla conduzione diretta delle unità poderali. E’ stata una delle maggiori difficoltà sorte di fronte alla assunzione di dirette responsabilità delle attività agricole condotte in prima persona. Quelle che al primo impatto sembravano le condizioni ideali per la conduzione delle unità poderali, vale a dire la casa colonica, il fondo da coltivare, le scorte ed il bestiame, hanno inizialmente disorientato chi doveva assoggettarsi alla cadenza dei raccolti secondo un ciclo inevitabilmente riconducibile alla variazione delle stagioni. La casa colonica, pur concepita nelle sue essenziali articolazioni, era giudicata come semplice riparo, di cui non si coglieva inizialmente il pieno significato della funzione, a causa anche delle ataviche condizioni ambientali da cui spesso provenivano le famiglie insediate nell’agro pontino.Non dimentichiamo che in alcune zone di provenienza queste famiglie vivevano in miseri ripari, dove il problema giornaliero era costituito dalla necessità di procurarsi di che vivere. Questa quasi idillica e non vissuta condizione nell’agro Pontino, prospettata come naturale conquista di un futuro benessere ma estranea all’originaria condizione di vita delle popolazioni trasferite per necessità, creò seri disorientamenti di ambientazione. Tra gli elementi costruttivi più rappresentativi inseriti in alcune tipologie delle abitazioni rurali spiccano, non a caso, due ben caratterizzate figure geometriche: l’arco a semicerchio, tecnicamente definito “a tutto sesto”, realizzato al piano terra, privo di infissi e spesso reiterato in successione per consentire il libero accesso ad una superfice accessoria e la struttura a sostegno delle coperture della abitazione e della stalla rigorosamente di forma triangolare. Il primo, l’arco a semicerchio, ancor oggi perfettamente visibile anche in presenza di profondi rifacimenti, offre all’osservatore l’immediata percezione di un elemento architettonico con funzioni statiche e propone un felice connubio con le linee tese della abitazione rurale, senza assumere la funzione di un elemento decorativo fine a se stesso. Il secondo, la struttura lignea a sostegno delle coperture, costituisce un elemento portante di cui non si coglie l’immediata presenza. Realizzato secondo una perfetta figura geometrica, il triangolo trova il suo equilibrio architettonico nella armonica e razionale integrazione tra le risoluzioni dei nodi di connessione e gli elementi portanti che costituiscono i lati del triangolo. Non sempre valorizzate, le capriate in legno hanno subito l’indifferente considerazione di chi ha ravvisato, nella povertà dei materiali impiegati e nella destinazione rurale del complesso abitativo, una sorta di antico retaggio, sottovalutando spesso l’idea progettuale ed artigianale di una struttura, la capriata, frutto di una razionale e millenaria evoluzione. Come riferimento storico la capriata, pur nella originaria e semplice interpretazione, trova le prime applicazioni, anche se con elementi lapidei a semplice contrasto, nelle tombe etrusche. Successivamente migliorata e reinterpretata con l’uso di materiali diversi, ha trovato razionale applicazione nelle coperture delle chiese di età romana e soprattutto è stata inserita come scelta costruttiva nell’arte Gotica. Possiamo semplicemente dedurre che l’arco e la capriata, pur realizzati con materiali diversi, nella stessa misura assolvono alla necessità di ridurre le spinte laterali sulle murature, razionalizzando e semplificando le sollecitazioni secondo i criteri della semplice compressione. Nella complessa ricerca della architettura della casa rurale, gli elementi strutturali adottati trovano riscontro nella semplicità e nella necessità impellente, già richiamata, di contenere i costi di costruzione nell’ambito delle possibili varianti. Un insieme di fattori hanno così contribuito alla realizzazione di case coloniche prive di inutili ricercatezze costruttive, razionali nelle loro funzioni e perfettamente integrate nell’assetto geometrico del territorio. Ai nostri giorni sono ancora percepibili i caratteri essenziali di questa architettura rurale. E’ vero che i tempi sono cambiati, ma sotto la spinta di nuove realtà economiche indissolubilmente legate alla economia del mondo rurale, gran parte dei fabbricati rurali hanno subito veri e propri stravolgimenti, spesso legati alle carenze di uno strumento urbanistico incapace di formulare i necessari riferimenti per la tutela di un patrimonio che, nel bene e nel male, è parte integrante del nostro territorio. Il risultato a suo tempo è stato apprezzabile; sicuramente dobbiamo fare autocritica per aver trascurato un’idea progettuale in sintonia con la vocazione dei luoghi e per non essere stati capaci di riproporre nuovi modelli alla luce soprattutto delle mutate condizioni economiche. E’ stato commesso l’errore di concepire la casa rurale come pretesa evoluzione della abitazione cittadina, perdendo ogni riferimento, come già detto, al rapporto istintivo tra territorio e popolazione.
Vittorio Di Lembo
Nel complesso degli interventi operati nell’Agro Pontino, l’appoderamento e la costruzione delle nuove città costituirono il maggior intervento edilizio realizzato negli anni Trenta nel Lazio. Anche fuori della nostra nazione si guardava all’edificazione dei nuovi centri nell’ambito dei lavori di bonifica, e l’attenzione nel tempo ha superato, per la stessa natura intellettuale dei personaggi interessati, l’ambito della propaganda del regime dell’epoca. Basti pensare al piano regolatore di Sabaudia affidato ai giovanissimi architetti razionalisti Cancellotti, Montuori, Scalpelli capeggiati da Luigi Piccinato, oppure ai pregevoli incarichi professionali portati a termine dal futurista Angiolo Mazzoni.
Con l’appoderamento l’interesse principale era l’assegnazione di un podere alla sua famiglia e ad ogni famiglia la propria casa. L’abitazione ha sempre rappresentato il mezzo per la conquista della terra: legare l’uomo alla terra significa valorizzare il connubio terra-lavoro con la possibilità di un maggior rendimento economico, parallelamente al riscatto dell’uomo dalla millenaria condizione di inferiorità legata alla insalubrità delle terre. Da qui è nata la necessità di definire e reinventare l’abitazione rurale specifica per la bonifica pontina. La progettazione, si commentò all’epoca, non deve essere riservata ai tecnici dell’abitazione urbana, ma esige soprattutto la conoscenza di altri parametri e per le abitazioni dell’agro pontino fu richiesta la collaborazione anche della classe media. La casa rurale non è quindi la semplificazione della casa cittadina, ma il perfezionamento di una esigenza intesa come necessità del mondo rurale. Nasce, di conseguenza, il concetto di casa rurale come espressione di una sentita aspirazione e nel contesto del rapporto istintivo tra territorio e popolazione. Quello che storicamente poteva costituire il ricovero realizzato con i materiali a portata di mano, con i più poveri elementi forniti dalla natura del luogo, nel sistema costruttivo delle abitazioni dell’Agro Pontino trova un tangibile riscontro nell’uso dei materiali reperibili in loco o nelle immediate vicinanze. L’uso della pozzolana, del tufo e del pietrame è il riscontro alla disponibilità dei materiali reperibili nelle immediate vicinanze dei siti bonificati ed in ogni caso, come per l’impiego dei laterizi, la provenienza era localizzata nel territorio di Formia, di Gaeta e di Roma. Anche l’impiego dei materiali locali, se da una parte sfruttava le risorse disponibili creando una stretta correlazione tra l’operato dell’uomo e l’offerta della natura, in molti casi ha determinato lo scempio di suggestivi scenari naturali, offrendo, negli anni a seguire, l’occasione per uno sfruttamento indiscriminato delle risorse. A mo’ di esempio citiamo le gravi deturpazioni arrecate al territorio di Sermoneta, con particolare riferimento alla torre di Monticchio quale testimonianza diretta del mancato rispetto ambientale. Sicuramente ai giorni nostri lo sfruttamento delle risorse avrebbe trovato un approccio meno distruttivo, frutto di una diversa sensibilità verso la tutela dell’ambiente e della natura in generale. Del resto se consideriamo le opere realizzate nell’ambito della bonifica, a prescindere dal significato politico, nel complesso l’operazione doveva essere condotta nel rispetto di alcuni parametri economici frutto del rapporto costi-benefici. Proprio l’aspetto economico, come incidenza per unità di superficie, ha gettato le basi per una ricerca quasi ossessiva del contenimento dei costi per abitazione poderale. Alla iniziale scelta di quattro-cinque poderi tipo è seguita la naturale realizzazione di ben diciotto tipologie, suggerite da esigenze ambientali, non solo di carattere climatico, ma richieste dalla irrinunciabile necessità di assegnare un appezzamento di terreno ed una abitazione per singoli nuclei familiari. La ricerca sistematica della diversificazione architettonica non alterò i conti economici per unità abitativa. Una volta superata l’esigenza di predisporre specifici ricoveri per il foraggio in virtù del clima adatto alla conservazione in spazi aperti, gli elementi accessori alla abitazione rurale si riducono in particolare alla concimaia, al forno, al pollaio, al pozzo con abbeveratoio ed alla latrina esterna. Dalla esigenza di integrare il ciclo produttivo ad uso e consumo del nucleo familiare, in molti poderi al tradizionale pollaio fu affiancato il porcile; ben altra considerazione merita la latrina esterna. Concepita per necessità prettamente igieniche unitamente alla esigenza del contenimento dei costi, trovò la sua collocazione a margine della concimaia, con scarico diretto nella stessa ma priva di acqua corrente, tanto che il sistema adottato, per libera caduta degli escrementi, superava anche questa ultima esigenza. Nel concetto di casa rurale alcune soluzioni adottate rappresentavano quanto di meglio fosse possibile realizzare. La presenza del forno, nella sua razionale e semplice articolazione, tende ad esaltare l’importanza della trasformazione del prodotto principe dell’agro pontino, il frumento, da sempre considerato alla base dell’alimentazione del mondo rurale. Non sfugge un altro elemento caratteristico di alcune tipologie di case coloniche; il comignolo del camino, elemento caratteristico che svetta dalle coperture a tetto e, per la specifica e semplice funzione, costituisce quasi un gioiello dell’arte della prefabbricazione. A prima vista potrebbe sembrare un vezzo architettonico ma nella sostanza assolve perfettamente allo smaltimento dei fumi da tutto il perimetro, superando così l’interferenza dei venti provenienti da qualsiasi direzione. Lo stesso comignolo si erge anche a simbolo del nucleo familiare, raccolto, unito e solidale nei numerosi componenti intorno al sacro camino. Le strutture murarie delle varie tipologie delle case coloniche fanno ricorso a soluzioni comuni generalmente improntate all’impiego di determinanti materiali costruttivi. Nel primo caso il laterizio caratterizza, a ragion veduta, tutta una serie di particolari costruttivi, sostituendo il tufo nelle connessioni strutturali ad angolo retto delle strutture portanti perimetrali e nella riquadratura delle aperture quali porte e finestre. L’impiego del laterizio pieno caratterizza le aperture ad arco spesso presenti come prezioso elemento architettonico. Qualche perplessità, ad una attenta analisi strutturale, nasce dalla osservanza delle murature interne al fabbricato. Qui l’esigenza principe del contenimento dei costi ha suggerito soluzioni semplicistiche, spesso staticamente carenti secondo le nuove tendenze costruttive. Tali strutture, nei casi di minor sollecitazione dei carichi, sono state realizzate in mattoni pieni ad una testa, a volte con mattoni forati detti in gergo “foratoni”, che nulla hanno però in comune con gli analoghi manufatti dei giorni nostri, se non la caratteristica di essere semi vuoti e di presentare uno spessore maggiore. Le fondazioni, sistematicamente realizzate a sacco con l’escavazione manuale della sede e fondate a profondità variabile a seconda della natura del terreno, sono state riempite con pietra calcarea e malta di calce e pozzolana. Tale tipo di muratura spesso costituisce un motivo ornamentale fino al raggiungimento della quota del pavimento al piano terra. Il relativo vespaio, in pietra tufacea o calcarea, completava il sottostante piano al pavimento del piano terra. La muratura in elevazione dal piano terra alla copertura presenta spesso una consistente diversificazione; da una parte troviamo la muratura così detta “alla romana”, costituita da elementi irregolari di tufo, con molta calce e pozzolana e, in senso orizzontale, da ricorsi di mattoni pieni in laterizio per assolvere alla funzione statica della ripartizione dei carichi verticali, dall’altra troviamo la muratura interamente eseguita con mattoni pieni in laterizio e la irrinunciabile malta di calce e pozzolana. Altra caratteristica strutturale è rappresentata dalle tipologie adottate per i solai al primo piano. Qui la fantasia costruttiva, per nulla improntata a cervellotiche soluzioni, ha forse trovato la più libera interpretazione, ricorrendo all’impiego del cemento armato a volte limitato al semplice cordolo di coronamento inserito nelle murature portanti. Tra i solai adottati potremmo citare le seguenti tipologie: a) travi di ferro a doppio T, intervallate di circa un metro, con travelloni in laterizio allettati da una trave all’altra. Il tutto colmato e livellato con malta di cretoni di pozzolana e calce. Il piano così realizzato costituiva il letto di posa del pavimento, rigorosamente in cotto di tenera consistenza. b) travi di ferro a doppio T, intervallati di circa un metro, con voltine di mattoni pieni in sostituzione dei classici tavelloni. Tale soluzione, pregevole sotto l’aspetto architettonico, non ha trovato nel tempo un riferimento degno di alcuna continuità costruttiva, a causa del dispendioso impiego di mano d’opera. c) latero-cemento armato, con travetti del tipo “SAP” posizionati in aderenza gli uni agli altri, poveri di conglomerato cementizio e privi della sovrastante caldana. La soluzione costituiva, da un punto di vista strutturale, la base di partenza per gli attuali solai in latero-cemento. Al primo piano le strutture portanti sono nettamente diversificate. Salve le murature perimetrali, strutturalmente consistenti per motivi di carattere statico, le murature interne al fabbricato denotano chiaramente la volontà di operare economie nell’impiego di materiali ed assolvono la semplice funzione di divisione dei vani abitativi. Del resto la soluzione adottata in copertura prevede un elemento orizzontale comunemente definito “camera a canne”, quasi posto a celare la pregevole soluzione della capriata in legno. La capriata in legno, con tutte le sue componenti accessorie, costituisce l’elemento portante del manto di tegole rigorosamente del tipo “marsigliese”. La camera a canne è letteralmente costituita da canne vegetali essiccate ed integrate, come elemento riempitivo di scarso peso, da un supporto di rete metallica; l’intonaco sommariamente sbruffato e lisciato legava il tutto denunciando ad opera finita, una parvenza di signorile protezione. Non bisogna dimenticare che gran parte dei nuclei familiari trasferiti nell’agro pontino provenivano dal mondo salariale di altre regioni, cioè erano costituiti da mano d’opera generica, dedita ai lavori condotti in periodi ben determinati della stagione agraria, avulsi da ogni cognizione tecnica specifica, tale da non ingenerare nelle masse quel senso di programmata attività legata alla conduzione diretta delle unità poderali. E’ stata una delle maggiori difficoltà sorte di fronte alla assunzione di dirette responsabilità delle attività agricole condotte in prima persona. Quelle che al primo impatto sembravano le condizioni ideali per la conduzione delle unità poderali, vale a dire la casa colonica, il fondo da coltivare, le scorte ed il bestiame, hanno inizialmente disorientato chi doveva assoggettarsi alla cadenza dei raccolti secondo un ciclo inevitabilmente riconducibile alla variazione delle stagioni. La casa colonica, pur concepita nelle sue essenziali articolazioni, era giudicata come semplice riparo, di cui non si coglieva inizialmente il pieno significato della funzione, a causa anche delle ataviche condizioni ambientali da cui spesso provenivano le famiglie insediate nell’agro pontino.Non dimentichiamo che in alcune zone di provenienza queste famiglie vivevano in miseri ripari, dove il problema giornaliero era costituito dalla necessità di procurarsi di che vivere. Questa quasi idillica e non vissuta condizione nell’agro Pontino, prospettata come naturale conquista di un futuro benessere ma estranea all’originaria condizione di vita delle popolazioni trasferite per necessità, creò seri disorientamenti di ambientazione. Tra gli elementi costruttivi più rappresentativi inseriti in alcune tipologie delle abitazioni rurali spiccano, non a caso, due ben caratterizzate figure geometriche: l’arco a semicerchio, tecnicamente definito “a tutto sesto”, realizzato al piano terra, privo di infissi e spesso reiterato in successione per consentire il libero accesso ad una superfice accessoria e la struttura a sostegno delle coperture della abitazione e della stalla rigorosamente di forma triangolare. Il primo, l’arco a semicerchio, ancor oggi perfettamente visibile anche in presenza di profondi rifacimenti, offre all’osservatore l’immediata percezione di un elemento architettonico con funzioni statiche e propone un felice connubio con le linee tese della abitazione rurale, senza assumere la funzione di un elemento decorativo fine a se stesso. Il secondo, la struttura lignea a sostegno delle coperture, costituisce un elemento portante di cui non si coglie l’immediata presenza. Realizzato secondo una perfetta figura geometrica, il triangolo trova il suo equilibrio architettonico nella armonica e razionale integrazione tra le risoluzioni dei nodi di connessione e gli elementi portanti che costituiscono i lati del triangolo. Non sempre valorizzate, le capriate in legno hanno subito l’indifferente considerazione di chi ha ravvisato, nella povertà dei materiali impiegati e nella destinazione rurale del complesso abitativo, una sorta di antico retaggio, sottovalutando spesso l’idea progettuale ed artigianale di una struttura, la capriata, frutto di una razionale e millenaria evoluzione. Come riferimento storico la capriata, pur nella originaria e semplice interpretazione, trova le prime applicazioni, anche se con elementi lapidei a semplice contrasto, nelle tombe etrusche. Successivamente migliorata e reinterpretata con l’uso di materiali diversi, ha trovato razionale applicazione nelle coperture delle chiese di età romana e soprattutto è stata inserita come scelta costruttiva nell’arte Gotica. Possiamo semplicemente dedurre che l’arco e la capriata, pur realizzati con materiali diversi, nella stessa misura assolvono alla necessità di ridurre le spinte laterali sulle murature, razionalizzando e semplificando le sollecitazioni secondo i criteri della semplice compressione. Nella complessa ricerca della architettura della casa rurale, gli elementi strutturali adottati trovano riscontro nella semplicità e nella necessità impellente, già richiamata, di contenere i costi di costruzione nell’ambito delle possibili varianti. Un insieme di fattori hanno così contribuito alla realizzazione di case coloniche prive di inutili ricercatezze costruttive, razionali nelle loro funzioni e perfettamente integrate nell’assetto geometrico del territorio. Ai nostri giorni sono ancora percepibili i caratteri essenziali di questa architettura rurale. E’ vero che i tempi sono cambiati, ma sotto la spinta di nuove realtà economiche indissolubilmente legate alla economia del mondo rurale, gran parte dei fabbricati rurali hanno subito veri e propri stravolgimenti, spesso legati alle carenze di uno strumento urbanistico incapace di formulare i necessari riferimenti per la tutela di un patrimonio che, nel bene e nel male, è parte integrante del nostro territorio. Il risultato a suo tempo è stato apprezzabile; sicuramente dobbiamo fare autocritica per aver trascurato un’idea progettuale in sintonia con la vocazione dei luoghi e per non essere stati capaci di riproporre nuovi modelli alla luce soprattutto delle mutate condizioni economiche. E’ stato commesso l’errore di concepire la casa rurale come pretesa evoluzione della abitazione cittadina, perdendo ogni riferimento, come già detto, al rapporto istintivo tra territorio e popolazione.
Vittorio Di Lembo
Nel complesso degli interventi operati nell’Agro Pontino, l’appoderamento e la costruzione delle nuove città costituirono il maggior intervento edilizio realizzato negli anni Trenta nel Lazio. Anche fuori della nostra nazione si guardava all’edificazione dei nuovi centri nell’ambito dei lavori di bonifica, e l’attenzione nel tempo ha superato, per la stessa natura intellettuale dei personaggi interessati, l’ambito della propaganda del regime dell’epoca. Basti pensare al piano regolatore di Sabaudia affidato ai giovanissimi architetti razionalisti Cancellotti, Montuori, Scalpelli capeggiati da Luigi Piccinato, oppure ai pregevoli incarichi professionali portati a termine dal futurista Angiolo Mazzoni.
Con l’appoderamento l’interesse principale era l’assegnazione di un podere alla sua famiglia e ad ogni famiglia la propria casa. L’abitazione ha sempre rappresentato il mezzo per la conquista della terra: legare l’uomo alla terra significa valorizzare il connubio terra-lavoro con la possibilità di un maggior rendimento economico, parallelamente al riscatto dell’uomo dalla millenaria condizione di inferiorità legata alla insalubrità delle terre. Da qui è nata la necessità di definire e reinventare l’abitazione rurale specifica per la bonifica pontina. La progettazione, si commentò all’epoca, non deve essere riservata ai tecnici dell’abitazione urbana, ma esige soprattutto la conoscenza di altri parametri e per le abitazioni dell’agro pontino fu richiesta la collaborazione anche della classe media. La casa rurale non è quindi la semplificazione della casa cittadina, ma il perfezionamento di una esigenza intesa come necessità del mondo rurale. Nasce, di conseguenza, il concetto di casa rurale come espressione di una sentita aspirazione e nel contesto del rapporto istintivo tra territorio e popolazione. Quello che storicamente poteva costituire il ricovero realizzato con i materiali a portata di mano, con i più poveri elementi forniti dalla natura del luogo, nel sistema costruttivo delle abitazioni dell’Agro Pontino trova un tangibile riscontro nell’uso dei materiali reperibili in loco o nelle immediate vicinanze. L’uso della pozzolana, del tufo e del pietrame è il riscontro alla disponibilità dei materiali reperibili nelle immediate vicinanze dei siti bonificati ed in ogni caso, come per l’impiego dei laterizi, la provenienza era localizzata nel territorio di Formia, di Gaeta e di Roma. Anche l’impiego dei materiali locali, se da una parte sfruttava le risorse disponibili creando una stretta correlazione tra l’operato dell’uomo e l’offerta della natura, in molti casi ha determinato lo scempio di suggestivi scenari naturali, offrendo, negli anni a seguire, l’occasione per uno sfruttamento indiscriminato delle risorse. A mo’ di esempio citiamo le gravi deturpazioni arrecate al territorio di Sermoneta, con particolare riferimento alla torre di Monticchio quale testimonianza diretta del mancato rispetto ambientale. Sicuramente ai giorni nostri lo sfruttamento delle risorse avrebbe trovato un approccio meno distruttivo, frutto di una diversa sensibilità verso la tutela dell’ambiente e della natura in generale. Del resto se consideriamo le opere realizzate nell’ambito della bonifica, a prescindere dal significato politico, nel complesso l’operazione doveva essere condotta nel rispetto di alcuni parametri economici frutto del rapporto costi-benefici. Proprio l’aspetto economico, come incidenza per unità di superficie, ha gettato le basi per una ricerca quasi ossessiva del contenimento dei costi per abitazione poderale. Alla iniziale scelta di quattro-cinque poderi tipo è seguita la naturale realizzazione di ben diciotto tipologie, suggerite da esigenze ambientali, non solo di carattere climatico, ma richieste dalla irrinunciabile necessità di assegnare un appezzamento di terreno ed una abitazione per singoli nuclei familiari. La ricerca sistematica della diversificazione architettonica non alterò i conti economici per unità abitativa. Una volta superata l’esigenza di predisporre specifici ricoveri per il foraggio in virtù del clima adatto alla conservazione in spazi aperti, gli elementi accessori alla abitazione rurale si riducono in particolare alla concimaia, al forno, al pollaio, al pozzo con abbeveratoio ed alla latrina esterna. Dalla esigenza di integrare il ciclo produttivo ad uso e consumo del nucleo familiare, in molti poderi al tradizionale pollaio fu affiancato il porcile; ben altra considerazione merita la latrina esterna. Concepita per necessità prettamente igieniche unitamente alla esigenza del contenimento dei costi, trovò la sua collocazione a margine della concimaia, con scarico diretto nella stessa ma priva di acqua corrente, tanto che il sistema adottato, per libera caduta degli escrementi, superava anche questa ultima esigenza. Nel concetto di casa rurale alcune soluzioni adottate rappresentavano quanto di meglio fosse possibile realizzare. La presenza del forno, nella sua razionale e semplice articolazione, tende ad esaltare l’importanza della trasformazione del prodotto principe dell’agro pontino, il frumento, da sempre considerato alla base dell’alimentazione del mondo rurale. Non sfugge un altro elemento caratteristico di alcune tipologie di case coloniche; il comignolo del camino, elemento caratteristico che svetta dalle coperture a tetto e, per la specifica e semplice funzione, costituisce quasi un gioiello dell’arte della prefabbricazione. A prima vista potrebbe sembrare un vezzo architettonico ma nella sostanza assolve perfettamente allo smaltimento dei fumi da tutto il perimetro, superando così l’interferenza dei venti provenienti da qualsiasi direzione. Lo stesso comignolo si erge anche a simbolo del nucleo familiare, raccolto, unito e solidale nei numerosi componenti intorno al sacro camino. Le strutture murarie delle varie tipologie delle case coloniche fanno ricorso a soluzioni comuni generalmente improntate all’impiego di determinanti materiali costruttivi. Nel primo caso il laterizio caratterizza, a ragion veduta, tutta una serie di particolari costruttivi, sostituendo il tufo nelle connessioni strutturali ad angolo retto delle strutture portanti perimetrali e nella riquadratura delle aperture quali porte e finestre. L’impiego del laterizio pieno caratterizza le aperture ad arco spesso presenti come prezioso elemento architettonico. Qualche perplessità, ad una attenta analisi strutturale, nasce dalla osservanza delle murature interne al fabbricato. Qui l’esigenza principe del contenimento dei costi ha suggerito soluzioni semplicistiche, spesso staticamente carenti secondo le nuove tendenze costruttive. Tali strutture, nei casi di minor sollecitazione dei carichi, sono state realizzate in mattoni pieni ad una testa, a volte con mattoni forati detti in gergo “foratoni”, che nulla hanno però in comune con gli analoghi manufatti dei giorni nostri, se non la caratteristica di essere semi vuoti e di presentare uno spessore maggiore. Le fondazioni, sistematicamente realizzate a sacco con l’escavazione manuale della sede e fondate a profondità variabile a seconda della natura del terreno, sono state riempite con pietra calcarea e malta di calce e pozzolana. Tale tipo di muratura spesso costituisce un motivo ornamentale fino al raggiungimento della quota del pavimento al piano terra. Il relativo vespaio, in pietra tufacea o calcarea, completava il sottostante piano al pavimento del piano terra. La muratura in elevazione dal piano terra alla copertura presenta spesso una consistente diversificazione; da una parte troviamo la muratura così detta “alla romana”, costituita da elementi irregolari di tufo, con molta calce e pozzolana e, in senso orizzontale, da ricorsi di mattoni pieni in laterizio per assolvere alla funzione statica della ripartizione dei carichi verticali, dall’altra troviamo la muratura interamente eseguita con mattoni pieni in laterizio e la irrinunciabile malta di calce e pozzolana. Altra caratteristica strutturale è rappresentata dalle tipologie adottate per i solai al primo piano. Qui la fantasia costruttiva, per nulla improntata a cervellotiche soluzioni, ha forse trovato la più libera interpretazione, ricorrendo all’impiego del cemento armato a volte limitato al semplice cordolo di coronamento inserito nelle murature portanti. Tra i solai adottati potremmo citare le seguenti tipologie: a) travi di ferro a doppio T, intervallate di circa un metro, con travelloni in laterizio allettati da una trave all’altra. Il tutto colmato e livellato con malta di cretoni di pozzolana e calce. Il piano così realizzato costituiva il letto di posa del pavimento, rigorosamente in cotto di tenera consistenza. b) travi di ferro a doppio T, intervallati di circa un metro, con voltine di mattoni pieni in sostituzione dei classici tavelloni. Tale soluzione, pregevole sotto l’aspetto architettonico, non ha trovato nel tempo un riferimento degno di alcuna continuità costruttiva, a causa del dispendioso impiego di mano d’opera. c) latero-cemento armato, con travetti del tipo “SAP” posizionati in aderenza gli uni agli altri, poveri di conglomerato cementizio e privi della sovrastante caldana. La soluzione costituiva, da un punto di vista strutturale, la base di partenza per gli attuali solai in latero-cemento. Al primo piano le strutture portanti sono nettamente diversificate. Salve le murature perimetrali, strutturalmente consistenti per motivi di carattere statico, le murature interne al fabbricato denotano chiaramente la volontà di operare economie nell’impiego di materiali ed assolvono la semplice funzione di divisione dei vani abitativi. Del resto la soluzione adottata in copertura prevede un elemento orizzontale comunemente definito “camera a canne”, quasi posto a celare la pregevole soluzione della capriata in legno. La capriata in legno, con tutte le sue componenti accessorie, costituisce l’elemento portante del manto di tegole rigorosamente del tipo “marsigliese”. La camera a canne è letteralmente costituita da canne vegetali essiccate ed integrate, come elemento riempitivo di scarso peso, da un supporto di rete metallica; l’intonaco sommariamente sbruffato e lisciato legava il tutto denunciando ad opera finita, una parvenza di signorile protezione. Non bisogna dimenticare che gran parte dei nuclei familiari trasferiti nell’agro pontino provenivano dal mondo salariale di altre regioni, cioè erano costituiti da mano d’opera generica, dedita ai lavori condotti in periodi ben determinati della stagione agraria, avulsi da ogni cognizione tecnica specifica, tale da non ingenerare nelle masse quel senso di programmata attività legata alla conduzione diretta delle unità poderali. E’ stata una delle maggiori difficoltà sorte di fronte alla assunzione di dirette responsabilità delle attività agricole condotte in prima persona. Quelle che al primo impatto sembravano le condizioni ideali per la conduzione delle unità poderali, vale a dire la casa colonica, il fondo da coltivare, le scorte ed il bestiame, hanno inizialmente disorientato chi doveva assoggettarsi alla cadenza dei raccolti secondo un ciclo inevitabilmente riconducibile alla variazione delle stagioni. La casa colonica, pur concepita nelle sue essenziali articolazioni, era giudicata come semplice riparo, di cui non si coglieva inizialmente il pieno significato della funzione, a causa anche delle ataviche condizioni ambientali da cui spesso provenivano le famiglie insediate nell’agro pontino.Non dimentichiamo che in alcune zone di provenienza queste famiglie vivevano in miseri ripari, dove il problema giornaliero era costituito dalla necessità di procurarsi di che vivere. Questa quasi idillica e non vissuta condizione nell’agro Pontino, prospettata come naturale conquista di un futuro benessere ma estranea all’originaria condizione di vita delle popolazioni trasferite per necessità, creò seri disorientamenti di ambientazione. Tra gli elementi costruttivi più rappresentativi inseriti in alcune tipologie delle abitazioni rurali spiccano, non a caso, due ben caratterizzate figure geometriche: l’arco a semicerchio, tecnicamente definito “a tutto sesto”, realizzato al piano terra, privo di infissi e spesso reiterato in successione per consentire il libero accesso ad una superfice accessoria e la struttura a sostegno delle coperture della abitazione e della stalla rigorosamente di forma triangolare. Il primo, l’arco a semicerchio, ancor oggi perfettamente visibile anche in presenza di profondi rifacimenti, offre all’osservatore l’immediata percezione di un elemento architettonico con funzioni statiche e propone un felice connubio con le linee tese della abitazione rurale, senza assumere la funzione di un elemento decorativo fine a se stesso. Il secondo, la struttura lignea a sostegno delle coperture, costituisce un elemento portante di cui non si coglie l’immediata presenza. Realizzato secondo una perfetta figura geometrica, il triangolo trova il suo equilibrio architettonico nella armonica e razionale integrazione tra le risoluzioni dei nodi di connessione e gli elementi portanti che costituiscono i lati del triangolo. Non sempre valorizzate, le capriate in legno hanno subito l’indifferente considerazione di chi ha ravvisato, nella povertà dei materiali impiegati e nella destinazione rurale del complesso abitativo, una sorta di antico retaggio, sottovalutando spesso l’idea progettuale ed artigianale di una struttura, la capriata, frutto di una razionale e millenaria evoluzione. Come riferimento storico la capriata, pur nella originaria e semplice interpretazione, trova le prime applicazioni, anche se con elementi lapidei a semplice contrasto, nelle tombe etrusche. Successivamente migliorata e reinterpretata con l’uso di materiali diversi, ha trovato razionale applicazione nelle coperture delle chiese di età romana e soprattutto è stata inserita come scelta costruttiva nell’arte Gotica. Possiamo semplicemente dedurre che l’arco e la capriata, pur realizzati con materiali diversi, nella stessa misura assolvono alla necessità di ridurre le spinte laterali sulle murature, razionalizzando e semplificando le sollecitazioni secondo i criteri della semplice compressione. Nella complessa ricerca della architettura della casa rurale, gli elementi strutturali adottati trovano riscontro nella semplicità e nella necessità impellente, già richiamata, di contenere i costi di costruzione nell’ambito delle possibili varianti. Un insieme di fattori hanno così contribuito alla realizzazione di case coloniche prive di inutili ricercatezze costruttive, razionali nelle loro funzioni e perfettamente integrate nell’assetto geometrico del territorio. Ai nostri giorni sono ancora percepibili i caratteri essenziali di questa architettura rurale. E’ vero che i tempi sono cambiati, ma sotto la spinta di nuove realtà economiche indissolubilmente legate alla economia del mondo rurale, gran parte dei fabbricati rurali hanno subito veri e propri stravolgimenti, spesso legati alle carenze di uno strumento urbanistico incapace di formulare i necessari riferimenti per la tutela di un patrimonio che, nel bene e nel male, è parte integrante del nostro territorio. Il risultato a suo tempo è stato apprezzabile; sicuramente dobbiamo fare autocritica per aver trascurato un’idea progettuale in sintonia con la vocazione dei luoghi e per non essere stati capaci di riproporre nuovi modelli alla luce soprattutto delle mutate condizioni economiche. E’ stato commesso l’errore di concepire la casa rurale come pretesa evoluzione della abitazione cittadina, perdendo ogni riferimento, come già detto, al rapporto istintivo tra territorio e popolazione.
Vittorio Di Lembo
Nel complesso degli interventi operati nell’Agro Pontino, l’appoderamento e la costruzione delle nuove città costituirono il maggior intervento edilizio realizzato negli anni Trenta nel Lazio. Anche fuori della nostra nazione si guardava all’edificazione dei nuovi centri nell’ambito dei lavori di bonifica, e l’attenzione nel tempo ha superato, per la stessa natura intellettuale dei personaggi interessati, l’ambito della propaganda del regime dell’epoca. Basti pensare al piano regolatore di Sabaudia affidato ai giovanissimi architetti razionalisti Cancellotti, Montuori, Scalpelli capeggiati da Luigi Piccinato, oppure ai pregevoli incarichi professionali portati a termine dal futurista Angiolo Mazzoni.
Con l’appoderamento l’interesse principale era l’assegnazione di un podere alla sua famiglia e ad ogni famiglia la propria casa. L’abitazione ha sempre rappresentato il mezzo per la conquista della terra: legare l’uomo alla terra significa valorizzare il connubio terra-lavoro con la possibilità di un maggior rendimento economico, parallelamente al riscatto dell’uomo dalla millenaria condizione di inferiorità legata alla insalubrità delle terre. Da qui è nata la necessità di definire e reinventare l’abitazione rurale specifica per la bonifica pontina. La progettazione, si commentò all’epoca, non deve essere riservata ai tecnici dell’abitazione urbana, ma esige soprattutto la conoscenza di altri parametri e per le abitazioni dell’agro pontino fu richiesta la collaborazione anche della classe media. La casa rurale non è quindi la semplificazione della casa cittadina, ma il perfezionamento di una esigenza intesa come necessità del mondo rurale. Nasce, di conseguenza, il concetto di casa rurale come espressione di una sentita aspirazione e nel contesto del rapporto istintivo tra territorio e popolazione. Quello che storicamente poteva costituire il ricovero realizzato con i materiali a portata di mano, con i più poveri elementi forniti dalla natura del luogo, nel sistema costruttivo delle abitazioni dell’Agro Pontino trova un tangibile riscontro nell’uso dei materiali reperibili in loco o nelle immediate vicinanze. L’uso della pozzolana, del tufo e del pietrame è il riscontro alla disponibilità dei materiali reperibili nelle immediate vicinanze dei siti bonificati ed in ogni caso, come per l’impiego dei laterizi, la provenienza era localizzata nel territorio di Formia, di Gaeta e di Roma. Anche l’impiego dei materiali locali, se da una parte sfruttava le risorse disponibili creando una stretta correlazione tra l’operato dell’uomo e l’offerta della natura, in molti casi ha determinato lo scempio di suggestivi scenari naturali, offrendo, negli anni a seguire, l’occasione per uno sfruttamento indiscriminato delle risorse. A mo’ di esempio citiamo le gravi deturpazioni arrecate al territorio di Sermoneta, con particolare riferimento alla torre di Monticchio quale testimonianza diretta del mancato rispetto ambientale. Sicuramente ai giorni nostri lo sfruttamento delle risorse avrebbe trovato un approccio meno distruttivo, frutto di una diversa sensibilità verso la tutela dell’ambiente e della natura in generale. Del resto se consideriamo le opere realizzate nell’ambito della bonifica, a prescindere dal significato politico, nel complesso l’operazione doveva essere condotta nel rispetto di alcuni parametri economici frutto del rapporto costi-benefici. Proprio l’aspetto economico, come incidenza per unità di superficie, ha gettato le basi per una ricerca quasi ossessiva del contenimento dei costi per abitazione poderale. Alla iniziale scelta di quattro-cinque poderi tipo è seguita la naturale realizzazione di ben diciotto tipologie, suggerite da esigenze ambientali, non solo di carattere climatico, ma richieste dalla irrinunciabile necessità di assegnare un appezzamento di terreno ed una abitazione per singoli nuclei familiari. La ricerca sistematica della diversificazione architettonica non alterò i conti economici per unità abitativa. Una volta superata l’esigenza di predisporre specifici ricoveri per il foraggio in virtù del clima adatto alla conservazione in spazi aperti, gli elementi accessori alla abitazione rurale si riducono in particolare alla concimaia, al forno, al pollaio, al pozzo con abbeveratoio ed alla latrina esterna. Dalla esigenza di integrare il ciclo produttivo ad uso e consumo del nucleo familiare, in molti poderi al tradizionale pollaio fu affiancato il porcile; ben altra considerazione merita la latrina esterna. Concepita per necessità prettamente igieniche unitamente alla esigenza del contenimento dei costi, trovò la sua collocazione a margine della concimaia, con scarico diretto nella stessa ma priva di acqua corrente, tanto che il sistema adottato, per libera caduta degli escrementi, superava anche questa ultima esigenza. Nel concetto di casa rurale alcune soluzioni adottate rappresentavano quanto di meglio fosse possibile realizzare. La presenza del forno, nella sua razionale e semplice articolazione, tende ad esaltare l’importanza della trasformazione del prodotto principe dell’agro pontino, il frumento, da sempre considerato alla base dell’alimentazione del mondo rurale. Non sfugge un altro elemento caratteristico di alcune tipologie di case coloniche; il comignolo del camino, elemento caratteristico che svetta dalle coperture a tetto e, per la specifica e semplice funzione, costituisce quasi un gioiello dell’arte della prefabbricazione. A prima vista potrebbe sembrare un vezzo architettonico ma nella sostanza assolve perfettamente allo smaltimento dei fumi da tutto il perimetro, superando così l’interferenza dei venti provenienti da qualsiasi direzione. Lo stesso comignolo si erge anche a simbolo del nucleo familiare, raccolto, unito e solidale nei numerosi componenti intorno al sacro camino. Le strutture murarie delle varie tipologie delle case coloniche fanno ricorso a soluzioni comuni generalmente improntate all’impiego di determinanti materiali costruttivi. Nel primo caso il laterizio caratterizza, a ragion veduta, tutta una serie di particolari costruttivi, sostituendo il tufo nelle connessioni strutturali ad angolo retto delle strutture portanti perimetrali e nella riquadratura delle aperture quali porte e finestre. L’impiego del laterizio pieno caratterizza le aperture ad arco spesso presenti come prezioso elemento architettonico. Qualche perplessità, ad una attenta analisi strutturale, nasce dalla osservanza delle murature interne al fabbricato. Qui l’esigenza principe del contenimento dei costi ha suggerito soluzioni semplicistiche, spesso staticamente carenti secondo le nuove tendenze costruttive. Tali strutture, nei casi di minor sollecitazione dei carichi, sono state realizzate in mattoni pieni ad una testa, a volte con mattoni forati detti in gergo “foratoni”, che nulla hanno però in comune con gli analoghi manufatti dei giorni nostri, se non la caratteristica di essere semi vuoti e di presentare uno spessore maggiore. Le fondazioni, sistematicamente realizzate a sacco con l’escavazione manuale della sede e fondate a profondità variabile a seconda della natura del terreno, sono state riempite con pietra calcarea e malta di calce e pozzolana. Tale tipo di muratura spesso costituisce un motivo ornamentale fino al raggiungimento della quota del pavimento al piano terra. Il relativo vespaio, in pietra tufacea o calcarea, completava il sottostante piano al pavimento del piano terra. La muratura in elevazione dal piano terra alla copertura presenta spesso una consistente diversificazione; da una parte troviamo la muratura così detta “alla romana”, costituita da elementi irregolari di tufo, con molta calce e pozzolana e, in senso orizzontale, da ricorsi di mattoni pieni in laterizio per assolvere alla funzione statica della ripartizione dei carichi verticali, dall’altra troviamo la muratura interamente eseguita con mattoni pieni in laterizio e la irrinunciabile malta di calce e pozzolana. Altra caratteristica strutturale è rappresentata dalle tipologie adottate per i solai al primo piano. Qui la fantasia costruttiva, per nulla improntata a cervellotiche soluzioni, ha forse trovato la più libera interpretazione, ricorrendo all’impiego del cemento armato a volte limitato al semplice cordolo di coronamento inserito nelle murature portanti. Tra i solai adottati potremmo citare le seguenti tipologie: a) travi di ferro a doppio T, intervallate di circa un metro, con travelloni in laterizio allettati da una trave all’altra. Il tutto colmato e livellato con malta di cretoni di pozzolana e calce. Il piano così realizzato costituiva il letto di posa del pavimento, rigorosamente in cotto di tenera consistenza. b) travi di ferro a doppio T, intervallati di circa un metro, con voltine di mattoni pieni in sostituzione dei classici tavelloni. Tale soluzione, pregevole sotto l’aspetto architettonico, non ha trovato nel tempo un riferimento degno di alcuna continuità costruttiva, a causa del dispendioso impiego di mano d’opera. c) latero-cemento armato, con travetti del tipo “SAP” posizionati in aderenza gli uni agli altri, poveri di conglomerato cementizio e privi della sovrastante caldana. La soluzione costituiva, da un punto di vista strutturale, la base di partenza per gli attuali solai in latero-cemento. Al primo piano le strutture portanti sono nettamente diversificate. Salve le murature perimetrali, strutturalmente consistenti per motivi di carattere statico, le murature interne al fabbricato denotano chiaramente la volontà di operare economie nell’impiego di materiali ed assolvono la semplice funzione di divisione dei vani abitativi. Del resto la soluzione adottata in copertura prevede un elemento orizzontale comunemente definito “camera a canne”, quasi posto a celare la pregevole soluzione della capriata in legno. La capriata in legno, con tutte le sue componenti accessorie, costituisce l’elemento portante del manto di tegole rigorosamente del tipo “marsigliese”. La camera a canne è letteralmente costituita da canne vegetali essiccate ed integrate, come elemento riempitivo di scarso peso, da un supporto di rete metallica; l’intonaco sommariamente sbruffato e lisciato legava il tutto denunciando ad opera finita, una parvenza di signorile protezione. Non bisogna dimenticare che gran parte dei nuclei familiari trasferiti nell’agro pontino provenivano dal mondo salariale di altre regioni, cioè erano costituiti da mano d’opera generica, dedita ai lavori condotti in periodi ben determinati della stagione agraria, avulsi da ogni cognizione tecnica specifica, tale da non ingenerare nelle masse quel senso di programmata attività legata alla conduzione diretta delle unità poderali. E’ stata una delle maggiori difficoltà sorte di fronte alla assunzione di dirette responsabilità delle attività agricole condotte in prima persona. Quelle che al primo impatto sembravano le condizioni ideali per la conduzione delle unità poderali, vale a dire la casa colonica, il fondo da coltivare, le scorte ed il bestiame, hanno inizialmente disorientato chi doveva assoggettarsi alla cadenza dei raccolti secondo un ciclo inevitabilmente riconducibile alla variazione delle stagioni. La casa colonica, pur concepita nelle sue essenziali articolazioni, era giudicata come semplice riparo, di cui non si coglieva inizialmente il pieno significato della funzione, a causa anche delle ataviche condizioni ambientali da cui spesso provenivano le famiglie insediate nell’agro pontino.Non dimentichiamo che in alcune zone di provenienza queste famiglie vivevano in miseri ripari, dove il problema giornaliero era costituito dalla necessità di procurarsi di che vivere. Questa quasi idillica e non vissuta condizione nell’agro Pontino, prospettata come naturale conquista di un futuro benessere ma estranea all’originaria condizione di vita delle popolazioni trasferite per necessità, creò seri disorientamenti di ambientazione. Tra gli elementi costruttivi più rappresentativi inseriti in alcune tipologie delle abitazioni rurali spiccano, non a caso, due ben caratterizzate figure geometriche: l’arco a semicerchio, tecnicamente definito “a tutto sesto”, realizzato al piano terra, privo di infissi e spesso reiterato in successione per consentire il libero accesso ad una superfice accessoria e la struttura a sostegno delle coperture della abitazione e della stalla rigorosamente di forma triangolare. Il primo, l’arco a semicerchio, ancor oggi perfettamente visibile anche in presenza di profondi rifacimenti, offre all’osservatore l’immediata percezione di un elemento architettonico con funzioni statiche e propone un felice connubio con le linee tese della abitazione rurale, senza assumere la funzione di un elemento decorativo fine a se stesso. Il secondo, la struttura lignea a sostegno delle coperture, costituisce un elemento portante di cui non si coglie l’immediata presenza. Realizzato secondo una perfetta figura geometrica, il triangolo trova il suo equilibrio architettonico nella armonica e razionale integrazione tra le risoluzioni dei nodi di connessione e gli elementi portanti che costituiscono i lati del triangolo. Non sempre valorizzate, le capriate in legno hanno subito l’indifferente considerazione di chi ha ravvisato, nella povertà dei materiali impiegati e nella destinazione rurale del complesso abitativo, una sorta di antico retaggio, sottovalutando spesso l’idea progettuale ed artigianale di una struttura, la capriata, frutto di una razionale e millenaria evoluzione. Come riferimento storico la capriata, pur nella originaria e semplice interpretazione, trova le prime applicazioni, anche se con elementi lapidei a semplice contrasto, nelle tombe etrusche. Successivamente migliorata e reinterpretata con l’uso di materiali diversi, ha trovato razionale applicazione nelle coperture delle chiese di età romana e soprattutto è stata inserita come scelta costruttiva nell’arte Gotica. Possiamo semplicemente dedurre che l’arco e la capriata, pur realizzati con materiali diversi, nella stessa misura assolvono alla necessità di ridurre le spinte laterali sulle murature, razionalizzando e semplificando le sollecitazioni secondo i criteri della semplice compressione. Nella complessa ricerca della architettura della casa rurale, gli elementi strutturali adottati trovano riscontro nella semplicità e nella necessità impellente, già richiamata, di contenere i costi di costruzione nell’ambito delle possibili varianti. Un insieme di fattori hanno così contribuito alla realizzazione di case coloniche prive di inutili ricercatezze costruttive, razionali nelle loro funzioni e perfettamente integrate nell’assetto geometrico del territorio. Ai nostri giorni sono ancora percepibili i caratteri essenziali di questa architettura rurale. E’ vero che i tempi sono cambiati, ma sotto la spinta di nuove realtà economiche indissolubilmente legate alla economia del mondo rurale, gran parte dei fabbricati rurali hanno subito veri e propri stravolgimenti, spesso legati alle carenze di uno strumento urbanistico incapace di formulare i necessari riferimenti per la tutela di un patrimonio che, nel bene e nel male, è parte integrante del nostro territorio. Il risultato a suo tempo è stato apprezzabile; sicuramente dobbiamo fare autocritica per aver trascurato un’idea progettuale in sintonia con la vocazione dei luoghi e per non essere stati capaci di riproporre nuovi modelli alla luce soprattutto delle mutate condizioni economiche. E’ stato commesso l’errore di concepire la casa rurale come pretesa evoluzione della abitazione cittadina, perdendo ogni riferimento, come già detto, al rapporto istintivo tra territorio e popolazione.
Vittorio Di Lembo
Nel complesso degli interventi operati nell’Agro Pontino, l’appoderamento e la costruzione delle nuove città costituirono il maggior intervento edilizio realizzato negli anni Trenta nel Lazio. Anche fuori della nostra nazione si guardava all’edificazione dei nuovi centri nell’ambito dei lavori di bonifica, e l’attenzione nel tempo ha superato, per la stessa natura intellettuale dei personaggi interessati, l’ambito della propaganda del regime dell’epoca. Basti pensare al piano regolatore di Sabaudia affidato ai giovanissimi architetti razionalisti Cancellotti, Montuori, Scalpelli capeggiati da Luigi Piccinato, oppure ai pregevoli incarichi professionali portati a termine dal futurista Angiolo Mazzoni.
Con l’appoderamento l’interesse principale era l’assegnazione di un podere alla sua famiglia e ad ogni famiglia la propria casa. L’abitazione ha sempre rappresentato il mezzo per la conquista della terra: legare l’uomo alla terra significa valorizzare il connubio terra-lavoro con la possibilità di un maggior rendimento economico, parallelamente al riscatto dell’uomo dalla millenaria condizione di inferiorità legata alla insalubrità delle terre. Da qui è nata la necessità di definire e reinventare l’abitazione rurale specifica per la bonifica pontina. La progettazione, si commentò all’epoca, non deve essere riservata ai tecnici dell’abitazione urbana, ma esige soprattutto la conoscenza di altri parametri e per le abitazioni dell’agro pontino fu richiesta la collaborazione anche della classe media. La casa rurale non è quindi la semplificazione della casa cittadina, ma il perfezionamento di una esigenza intesa come necessità del mondo rurale. Nasce, di conseguenza, il concetto di casa rurale come espressione di una sentita aspirazione e nel contesto del rapporto istintivo tra territorio e popolazione. Quello che storicamente poteva costituire il ricovero realizzato con i materiali a portata di mano, con i più poveri elementi forniti dalla natura del luogo, nel sistema costruttivo delle abitazioni dell’Agro Pontino trova un tangibile riscontro nell’uso dei materiali reperibili in loco o nelle immediate vicinanze. L’uso della pozzolana, del tufo e del pietrame è il riscontro alla disponibilità dei materiali reperibili nelle immediate vicinanze dei siti bonificati ed in ogni caso, come per l’impiego dei laterizi, la provenienza era localizzata nel territorio di Formia, di Gaeta e di Roma. Anche l’impiego dei materiali locali, se da una parte sfruttava le risorse disponibili creando una stretta correlazione tra l’operato dell’uomo e l’offerta della natura, in molti casi ha determinato lo scempio di suggestivi scenari naturali, offrendo, negli anni a seguire, l’occasione per uno sfruttamento indiscriminato delle risorse. A mo’ di esempio citiamo le gravi deturpazioni arrecate al territorio di Sermoneta, con particolare riferimento alla torre di Monticchio quale testimonianza diretta del mancato rispetto ambientale. Sicuramente ai giorni nostri lo sfruttamento delle risorse avrebbe trovato un approccio meno distruttivo, frutto di una diversa sensibilità verso la tutela dell’ambiente e della natura in generale. Del resto se consideriamo le opere realizzate nell’ambito della bonifica, a prescindere dal significato politico, nel complesso l’operazione doveva essere condotta nel rispetto di alcuni parametri economici frutto del rapporto costi-benefici. Proprio l’aspetto economico, come incidenza per unità di superficie, ha gettato le basi per una ricerca quasi ossessiva del contenimento dei costi per abitazione poderale. Alla iniziale scelta di quattro-cinque poderi tipo è seguita la naturale realizzazione di ben diciotto tipologie, suggerite da esigenze ambientali, non solo di carattere climatico, ma richieste dalla irrinunciabile necessità di assegnare un appezzamento di terreno ed una abitazione per singoli nuclei familiari. La ricerca sistematica della diversificazione architettonica non alterò i conti economici per unità abitativa. Una volta superata l’esigenza di predisporre specifici ricoveri per il foraggio in virtù del clima adatto alla conservazione in spazi aperti, gli elementi accessori alla abitazione rurale si riducono in particolare alla concimaia, al forno, al pollaio, al pozzo con abbeveratoio ed alla latrina esterna. Dalla esigenza di integrare il ciclo produttivo ad uso e consumo del nucleo familiare, in molti poderi al tradizionale pollaio fu affiancato il porcile; ben altra considerazione merita la latrina esterna. Concepita per necessità prettamente igieniche unitamente alla esigenza del contenimento dei costi, trovò la sua collocazione a margine della concimaia, con scarico diretto nella stessa ma priva di acqua corrente, tanto che il sistema adottato, per libera caduta degli escrementi, superava anche questa ultima esigenza. Nel concetto di casa rurale alcune soluzioni adottate rappresentavano quanto di meglio fosse possibile realizzare. La presenza del forno, nella sua razionale e semplice articolazione, tende ad esaltare l’importanza della trasformazione del prodotto principe dell’agro pontino, il frumento, da sempre considerato alla base dell’alimentazione del mondo rurale. Non sfugge un altro elemento caratteristico di alcune tipologie di case coloniche; il comignolo del camino, elemento caratteristico che svetta dalle coperture a tetto e, per la specifica e semplice funzione, costituisce quasi un gioiello dell’arte della prefabbricazione. A prima vista potrebbe sembrare un vezzo architettonico ma nella sostanza assolve perfettamente allo smaltimento dei fumi da tutto il perimetro, superando così l’interferenza dei venti provenienti da qualsiasi direzione. Lo stesso comignolo si erge anche a simbolo del nucleo familiare, raccolto, unito e solidale nei numerosi componenti intorno al sacro camino. Le strutture murarie delle varie tipologie delle case coloniche fanno ricorso a soluzioni comuni generalmente improntate all’impiego di determinanti materiali costruttivi. Nel primo caso il laterizio caratterizza, a ragion veduta, tutta una serie di particolari costruttivi, sostituendo il tufo nelle connessioni strutturali ad angolo retto delle strutture portanti perimetrali e nella riquadratura delle aperture quali porte e finestre. L’impiego del laterizio pieno caratterizza le aperture ad arco spesso presenti come prezioso elemento architettonico. Qualche perplessità, ad una attenta analisi strutturale, nasce dalla osservanza delle murature interne al fabbricato. Qui l’esigenza principe del contenimento dei costi ha suggerito soluzioni semplicistiche, spesso staticamente carenti secondo le nuove tendenze costruttive. Tali strutture, nei casi di minor sollecitazione dei carichi, sono state realizzate in mattoni pieni ad una testa, a volte con mattoni forati detti in gergo “foratoni”, che nulla hanno però in comune con gli analoghi manufatti dei giorni nostri, se non la caratteristica di essere semi vuoti e di presentare uno spessore maggiore. Le fondazioni, sistematicamente realizzate a sacco con l’escavazione manuale della sede e fondate a profondità variabile a seconda della natura del terreno, sono state riempite con pietra calcarea e malta di calce e pozzolana. Tale tipo di muratura spesso costituisce un motivo ornamentale fino al raggiungimento della quota del pavimento al piano terra. Il relativo vespaio, in pietra tufacea o calcarea, completava il sottostante piano al pavimento del piano terra. La muratura in elevazione dal piano terra alla copertura presenta spesso una consistente diversificazione; da una parte troviamo la muratura così detta “alla romana”, costituita da elementi irregolari di tufo, con molta calce e pozzolana e, in senso orizzontale, da ricorsi di mattoni pieni in laterizio per assolvere alla funzione statica della ripartizione dei carichi verticali, dall’altra troviamo la muratura interamente eseguita con mattoni pieni in laterizio e la irrinunciabile malta di calce e pozzolana. Altra caratteristica strutturale è rappresentata dalle tipologie adottate per i solai al primo piano. Qui la fantasia costruttiva, per nulla improntata a cervellotiche soluzioni, ha forse trovato la più libera interpretazione, ricorrendo all’impiego del cemento armato a volte limitato al semplice cordolo di coronamento inserito nelle murature portanti. Tra i solai adottati potremmo citare le seguenti tipologie: a) travi di ferro a doppio T, intervallate di circa un metro, con travelloni in laterizio allettati da una trave all’altra. Il tutto colmato e livellato con malta di cretoni di pozzolana e calce. Il piano così realizzato costituiva il letto di posa del pavimento, rigorosamente in cotto di tenera consistenza. b) travi di ferro a doppio T, intervallati di circa un metro, con voltine di mattoni pieni in sostituzione dei classici tavelloni. Tale soluzione, pregevole sotto l’aspetto architettonico, non ha trovato nel tempo un riferimento degno di alcuna continuità costruttiva, a causa del dispendioso impiego di mano d’opera. c) latero-cemento armato, con travetti del tipo “SAP” posizionati in aderenza gli uni agli altri, poveri di conglomerato cementizio e privi della sovrastante caldana. La soluzione costituiva, da un punto di vista strutturale, la base di partenza per gli attuali solai in latero-cemento. Al primo piano le strutture portanti sono nettamente diversificate. Salve le murature perimetrali, strutturalmente consistenti per motivi di carattere statico, le murature interne al fabbricato denotano chiaramente la volontà di operare economie nell’impiego di materiali ed assolvono la semplice funzione di divisione dei vani abitativi. Del resto la soluzione adottata in copertura prevede un elemento orizzontale comunemente definito “camera a canne”, quasi posto a celare la pregevole soluzione della capriata in legno. La capriata in legno, con tutte le sue componenti accessorie, costituisce l’elemento portante del manto di tegole rigorosamente del tipo “marsigliese”. La camera a canne è letteralmente costituita da canne vegetali essiccate ed integrate, come elemento riempitivo di scarso peso, da un supporto di rete metallica; l’intonaco sommariamente sbruffato e lisciato legava il tutto denunciando ad opera finita, una parvenza di signorile protezione. Non bisogna dimenticare che gran parte dei nuclei familiari trasferiti nell’agro pontino provenivano dal mondo salariale di altre regioni, cioè erano costituiti da mano d’opera generica, dedita ai lavori condotti in periodi ben determinati della stagione agraria, avulsi da ogni cognizione tecnica specifica, tale da non ingenerare nelle masse quel senso di programmata attività legata alla conduzione diretta delle unità poderali. E’ stata una delle maggiori difficoltà sorte di fronte alla assunzione di dirette responsabilità delle attività agricole condotte in prima persona. Quelle che al primo impatto sembravano le condizioni ideali per la conduzione delle unità poderali, vale a dire la casa colonica, il fondo da coltivare, le scorte ed il bestiame, hanno inizialmente disorientato chi doveva assoggettarsi alla cadenza dei raccolti secondo un ciclo inevitabilmente riconducibile alla variazione delle stagioni. La casa colonica, pur concepita nelle sue essenziali articolazioni, era giudicata come semplice riparo, di cui non si coglieva inizialmente il pieno significato della funzione, a causa anche delle ataviche condizioni ambientali da cui spesso provenivano le famiglie insediate nell’agro pontino.Non dimentichiamo che in alcune zone di provenienza queste famiglie vivevano in miseri ripari, dove il problema giornaliero era costituito dalla necessità di procurarsi di che vivere. Questa quasi idillica e non vissuta condizione nell’agro Pontino, prospettata come naturale conquista di un futuro benessere ma estranea all’originaria condizione di vita delle popolazioni trasferite per necessità, creò seri disorientamenti di ambientazione. Tra gli elementi costruttivi più rappresentativi inseriti in alcune tipologie delle abitazioni rurali spiccano, non a caso, due ben caratterizzate figure geometriche: l’arco a semicerchio, tecnicamente definito “a tutto sesto”, realizzato al piano terra, privo di infissi e spesso reiterato in successione per consentire il libero accesso ad una superfice accessoria e la struttura a sostegno delle coperture della abitazione e della stalla rigorosamente di forma triangolare. Il primo, l’arco a semicerchio, ancor oggi perfettamente visibile anche in presenza di profondi rifacimenti, offre all’osservatore l’immediata percezione di un elemento architettonico con funzioni statiche e propone un felice connubio con le linee tese della abitazione rurale, senza assumere la funzione di un elemento decorativo fine a se stesso. Il secondo, la struttura lignea a sostegno delle coperture, costituisce un elemento portante di cui non si coglie l’immediata presenza. Realizzato secondo una perfetta figura geometrica, il triangolo trova il suo equilibrio architettonico nella armonica e razionale integrazione tra le risoluzioni dei nodi di connessione e gli elementi portanti che costituiscono i lati del triangolo. Non sempre valorizzate, le capriate in legno hanno subito l’indifferente considerazione di chi ha ravvisato, nella povertà dei materiali impiegati e nella destinazione rurale del complesso abitativo, una sorta di antico retaggio, sottovalutando spesso l’idea progettuale ed artigianale di una struttura, la capriata, frutto di una razionale e millenaria evoluzione. Come riferimento storico la capriata, pur nella originaria e semplice interpretazione, trova le prime applicazioni, anche se con elementi lapidei a semplice contrasto, nelle tombe etrusche. Successivamente migliorata e reinterpretata con l’uso di materiali diversi, ha trovato razionale applicazione nelle coperture delle chiese di età romana e soprattutto è stata inserita come scelta costruttiva nell’arte Gotica. Possiamo semplicemente dedurre che l’arco e la capriata, pur realizzati con materiali diversi, nella stessa misura assolvono alla necessità di ridurre le spinte laterali sulle murature, razionalizzando e semplificando le sollecitazioni secondo i criteri della semplice compressione. Nella complessa ricerca della architettura della casa rurale, gli elementi strutturali adottati trovano riscontro nella semplicità e nella necessità impellente, già richiamata, di contenere i costi di costruzione nell’ambito delle possibili varianti. Un insieme di fattori hanno così contribuito alla realizzazione di case coloniche prive di inutili ricercatezze costruttive, razionali nelle loro funzioni e perfettamente integrate nell’assetto geometrico del territorio. Ai nostri giorni sono ancora percepibili i caratteri essenziali di questa architettura rurale. E’ vero che i tempi sono cambiati, ma sotto la spinta di nuove realtà economiche indissolubilmente legate alla economia del mondo rurale, gran parte dei fabbricati rurali hanno subito veri e propri stravolgimenti, spesso legati alle carenze di uno strumento urbanistico incapace di formulare i necessari riferimenti per la tutela di un patrimonio che, nel bene e nel male, è parte integrante del nostro territorio. Il risultato a suo tempo è stato apprezzabile; sicuramente dobbiamo fare autocritica per aver trascurato un’idea progettuale in sintonia con la vocazione dei luoghi e per non essere stati capaci di riproporre nuovi modelli alla luce soprattutto delle mutate condizioni economiche. E’ stato commesso l’errore di concepire la casa rurale come pretesa evoluzione della abitazione cittadina, perdendo ogni riferimento, come già detto, al rapporto istintivo tra territorio e popolazione.
Vittorio Di Lembo
Nel complesso degli interventi operati nell’Agro Pontino, l’appoderamento e la costruzione delle nuove città costituirono il maggior intervento edilizio realizzato negli anni Trenta nel Lazio. Anche fuori della nostra nazione si guardava all’edificazione dei nuovi centri nell’ambito dei lavori di bonifica, e l’attenzione nel tempo ha superato, per la stessa natura intellettuale dei personaggi interessati, l’ambito della propaganda del regime dell’epoca. Basti pensare al piano regolatore di Sabaudia affidato ai giovanissimi architetti razionalisti Cancellotti, Montuori, Scalpelli capeggiati da Luigi Piccinato, oppure ai pregevoli incarichi professionali portati a termine dal futurista Angiolo Mazzoni.
Con l’appoderamento l’interesse principale era l’assegnazione di un podere alla sua famiglia e ad ogni famiglia la propria casa. L’abitazione ha sempre rappresentato il mezzo per la conquista della terra: legare l’uomo alla terra significa valorizzare il connubio terra-lavoro con la possibilità di un maggior rendimento economico, parallelamente al riscatto dell’uomo dalla millenaria condizione di inferiorità legata alla insalubrità delle terre. Da qui è nata la necessità di definire e reinventare l’abitazione rurale specifica per la bonifica pontina. La progettazione, si commentò all’epoca, non deve essere riservata ai tecnici dell’abitazione urbana, ma esige soprattutto la conoscenza di altri parametri e per le abitazioni dell’agro pontino fu richiesta la collaborazione anche della classe media. La casa rurale non è quindi la semplificazione della casa cittadina, ma il perfezionamento di una esigenza intesa come necessità del mondo rurale. Nasce, di conseguenza, il concetto di casa rurale come espressione di una sentita aspirazione e nel contesto del rapporto istintivo tra territorio e popolazione. Quello che storicamente poteva costituire il ricovero realizzato con i materiali a portata di mano, con i più poveri elementi forniti dalla natura del luogo, nel sistema costruttivo delle abitazioni dell’Agro Pontino trova un tangibile riscontro nell’uso dei materiali reperibili in loco o nelle immediate vicinanze. L’uso della pozzolana, del tufo e del pietrame è il riscontro alla disponibilità dei materiali reperibili nelle immediate vicinanze dei siti bonificati ed in ogni caso, come per l’impiego dei laterizi, la provenienza era localizzata nel territorio di Formia, di Gaeta e di Roma. Anche l’impiego dei materiali locali, se da una parte sfruttava le risorse disponibili creando una stretta correlazione tra l’operato dell’uomo e l’offerta della natura, in molti casi ha determinato lo scempio di suggestivi scenari naturali, offrendo, negli anni a seguire, l’occasione per uno sfruttamento indiscriminato delle risorse. A mo’ di esempio citiamo le gravi deturpazioni arrecate al territorio di Sermoneta, con particolare riferimento alla torre di Monticchio quale testimonianza diretta del mancato rispetto ambientale. Sicuramente ai giorni nostri lo sfruttamento delle risorse avrebbe trovato un approccio meno distruttivo, frutto di una diversa sensibilità verso la tutela dell’ambiente e della natura in generale. Del resto se consideriamo le opere realizzate nell’ambito della bonifica, a prescindere dal significato politico, nel complesso l’operazione doveva essere condotta nel rispetto di alcuni parametri economici frutto del rapporto costi-benefici. Proprio l’aspetto economico, come incidenza per unità di superficie, ha gettato le basi per una ricerca quasi ossessiva del contenimento dei costi per abitazione poderale. Alla iniziale scelta di quattro-cinque poderi tipo è seguita la naturale realizzazione di ben diciotto tipologie, suggerite da esigenze ambientali, non solo di carattere climatico, ma richieste dalla irrinunciabile necessità di assegnare un appezzamento di terreno ed una abitazione per singoli nuclei familiari. La ricerca sistematica della diversificazione architettonica non alterò i conti economici per unità abitativa. Una volta superata l’esigenza di predisporre specifici ricoveri per il foraggio in virtù del clima adatto alla conservazione in spazi aperti, gli elementi accessori alla abitazione rurale si riducono in particolare alla concimaia, al forno, al pollaio, al pozzo con abbeveratoio ed alla latrina esterna. Dalla esigenza di integrare il ciclo produttivo ad uso e consumo del nucleo familiare, in molti poderi al tradizionale pollaio fu affiancato il porcile; ben altra considerazione merita la latrina esterna. Concepita per necessità prettamente igieniche unitamente alla esigenza del contenimento dei costi, trovò la sua collocazione a margine della concimaia, con scarico diretto nella stessa ma priva di acqua corrente, tanto che il sistema adottato, per libera caduta degli escrementi, superava anche questa ultima esigenza. Nel concetto di casa rurale alcune soluzioni adottate rappresentavano quanto di meglio fosse possibile realizzare. La presenza del forno, nella sua razionale e semplice articolazione, tende ad esaltare l’importanza della trasformazione del prodotto principe dell’agro pontino, il frumento, da sempre considerato alla base dell’alimentazione del mondo rurale. Non sfugge un altro elemento caratteristico di alcune tipologie di case coloniche; il comignolo del camino, elemento caratteristico che svetta dalle coperture a tetto e, per la specifica e semplice funzione, costituisce quasi un gioiello dell’arte della prefabbricazione. A prima vista potrebbe sembrare un vezzo architettonico ma nella sostanza assolve perfettamente allo smaltimento dei fumi da tutto il perimetro, superando così l’interferenza dei venti provenienti da qualsiasi direzione. Lo stesso comignolo si erge anche a simbolo del nucleo familiare, raccolto, unito e solidale nei numerosi componenti intorno al sacro camino. Le strutture murarie delle varie tipologie delle case coloniche fanno ricorso a soluzioni comuni generalmente improntate all’impiego di determinanti materiali costruttivi. Nel primo caso il laterizio caratterizza, a ragion veduta, tutta una serie di particolari costruttivi, sostituendo il tufo nelle connessioni strutturali ad angolo retto delle strutture portanti perimetrali e nella riquadratura delle aperture quali porte e finestre. L’impiego del laterizio pieno caratterizza le aperture ad arco spesso presenti come prezioso elemento architettonico. Qualche perplessità, ad una attenta analisi strutturale, nasce dalla osservanza delle murature interne al fabbricato. Qui l’esigenza principe del contenimento dei costi ha suggerito soluzioni semplicistiche, spesso staticamente carenti secondo le nuove tendenze costruttive. Tali strutture, nei casi di minor sollecitazione dei carichi, sono state realizzate in mattoni pieni ad una testa, a volte con mattoni forati detti in gergo “foratoni”, che nulla hanno però in comune con gli analoghi manufatti dei giorni nostri, se non la caratteristica di essere semi vuoti e di presentare uno spessore maggiore. Le fondazioni, sistematicamente realizzate a sacco con l’escavazione manuale della sede e fondate a profondità variabile a seconda della natura del terreno, sono state riempite con pietra calcarea e malta di calce e pozzolana. Tale tipo di muratura spesso costituisce un motivo ornamentale fino al raggiungimento della quota del pavimento al piano terra. Il relativo vespaio, in pietra tufacea o calcarea, completava il sottostante piano al pavimento del piano terra. La muratura in elevazione dal piano terra alla copertura presenta spesso una consistente diversificazione; da una parte troviamo la muratura così detta “alla romana”, costituita da elementi irregolari di tufo, con molta calce e pozzolana e, in senso orizzontale, da ricorsi di mattoni pieni in laterizio per assolvere alla funzione statica della ripartizione dei carichi verticali, dall’altra troviamo la muratura interamente eseguita con mattoni pieni in laterizio e la irrinunciabile malta di calce e pozzolana. Altra caratteristica strutturale è rappresentata dalle tipologie adottate per i solai al primo piano. Qui la fantasia costruttiva, per nulla improntata a cervellotiche soluzioni, ha forse trovato la più libera interpretazione, ricorrendo all’impiego del cemento armato a volte limitato al semplice cordolo di coronamento inserito nelle murature portanti. Tra i solai adottati potremmo citare le seguenti tipologie: a) travi di ferro a doppio T, intervallate di circa un metro, con travelloni in laterizio allettati da una trave all’altra. Il tutto colmato e livellato con malta di cretoni di pozzolana e calce. Il piano così realizzato costituiva il letto di posa del pavimento, rigorosamente in cotto di tenera consistenza. b) travi di ferro a doppio T, intervallati di circa un metro, con voltine di mattoni pieni in sostituzione dei classici tavelloni. Tale soluzione, pregevole sotto l’aspetto architettonico, non ha trovato nel tempo un riferimento degno di alcuna continuità costruttiva, a causa del dispendioso impiego di mano d’opera. c) latero-cemento armato, con travetti del tipo “SAP” posizionati in aderenza gli uni agli altri, poveri di conglomerato cementizio e privi della sovrastante caldana. La soluzione costituiva, da un punto di vista strutturale, la base di partenza per gli attuali solai in latero-cemento. Al primo piano le strutture portanti sono nettamente diversificate. Salve le murature perimetrali, strutturalmente consistenti per motivi di carattere statico, le murature interne al fabbricato denotano chiaramente la volontà di operare economie nell’impiego di materiali ed assolvono la semplice funzione di divisione dei vani abitativi. Del resto la soluzione adottata in copertura prevede un elemento orizzontale comunemente definito “camera a canne”, quasi posto a celare la pregevole soluzione della capriata in legno. La capriata in legno, con tutte le sue componenti accessorie, costituisce l’elemento portante del manto di tegole rigorosamente del tipo “marsigliese”. La camera a canne è letteralmente costituita da canne vegetali essiccate ed integrate, come elemento riempitivo di scarso peso, da un supporto di rete metallica; l’intonaco sommariamente sbruffato e lisciato legava il tutto denunciando ad opera finita, una parvenza di signorile protezione. Non bisogna dimenticare che gran parte dei nuclei familiari trasferiti nell’agro pontino provenivano dal mondo salariale di altre regioni, cioè erano costituiti da mano d’opera generica, dedita ai lavori condotti in periodi ben determinati della stagione agraria, avulsi da ogni cognizione tecnica specifica, tale da non ingenerare nelle masse quel senso di programmata attività legata alla conduzione diretta delle unità poderali. E’ stata una delle maggiori difficoltà sorte di fronte alla assunzione di dirette responsabilità delle attività agricole condotte in prima persona. Quelle che al primo impatto sembravano le condizioni ideali per la conduzione delle unità poderali, vale a dire la casa colonica, il fondo da coltivare, le scorte ed il bestiame, hanno inizialmente disorientato chi doveva assoggettarsi alla cadenza dei raccolti secondo un ciclo inevitabilmente riconducibile alla variazione delle stagioni. La casa colonica, pur concepita nelle sue essenziali articolazioni, era giudicata come semplice riparo, di cui non si coglieva inizialmente il pieno significato della funzione, a causa anche delle ataviche condizioni ambientali da cui spesso provenivano le famiglie insediate nell’agro pontino.Non dimentichiamo che in alcune zone di provenienza queste famiglie vivevano in miseri ripari, dove il problema giornaliero era costituito dalla necessità di procurarsi di che vivere. Questa quasi idillica e non vissuta condizione nell’agro Pontino, prospettata come naturale conquista di un futuro benessere ma estranea all’originaria condizione di vita delle popolazioni trasferite per necessità, creò seri disorientamenti di ambientazione. Tra gli elementi costruttivi più rappresentativi inseriti in alcune tipologie delle abitazioni rurali spiccano, non a caso, due ben caratterizzate figure geometriche: l’arco a semicerchio, tecnicamente definito “a tutto sesto”, realizzato al piano terra, privo di infissi e spesso reiterato in successione per consentire il libero accesso ad una superfice accessoria e la struttura a sostegno delle coperture della abitazione e della stalla rigorosamente di forma triangolare. Il primo, l’arco a semicerchio, ancor oggi perfettamente visibile anche in presenza di profondi rifacimenti, offre all’osservatore l’immediata percezione di un elemento architettonico con funzioni statiche e propone un felice connubio con le linee tese della abitazione rurale, senza assumere la funzione di un elemento decorativo fine a se stesso. Il secondo, la struttura lignea a sostegno delle coperture, costituisce un elemento portante di cui non si coglie l’immediata presenza. Realizzato secondo una perfetta figura geometrica, il triangolo trova il suo equilibrio architettonico nella armonica e razionale integrazione tra le risoluzioni dei nodi di connessione e gli elementi portanti che costituiscono i lati del triangolo. Non sempre valorizzate, le capriate in legno hanno subito l’indifferente considerazione di chi ha ravvisato, nella povertà dei materiali impiegati e nella destinazione rurale del complesso abitativo, una sorta di antico retaggio, sottovalutando spesso l’idea progettuale ed artigianale di una struttura, la capriata, frutto di una razionale e millenaria evoluzione. Come riferimento storico la capriata, pur nella originaria e semplice interpretazione, trova le prime applicazioni, anche se con elementi lapidei a semplice contrasto, nelle tombe etrusche. Successivamente migliorata e reinterpretata con l’uso di materiali diversi, ha trovato razionale applicazione nelle coperture delle chiese di età romana e soprattutto è stata inserita come scelta costruttiva nell’arte Gotica. Possiamo semplicemente dedurre che l’arco e la capriata, pur realizzati con materiali diversi, nella stessa misura assolvono alla necessità di ridurre le spinte laterali sulle murature, razionalizzando e semplificando le sollecitazioni secondo i criteri della semplice compressione. Nella complessa ricerca della architettura della casa rurale, gli elementi strutturali adottati trovano riscontro nella semplicità e nella necessità impellente, già richiamata, di contenere i costi di costruzione nell’ambito delle possibili varianti. Un insieme di fattori hanno così contribuito alla realizzazione di case coloniche prive di inutili ricercatezze costruttive, razionali nelle loro funzioni e perfettamente integrate nell’assetto geometrico del territorio. Ai nostri giorni sono ancora percepibili i caratteri essenziali di questa architettura rurale. E’ vero che i tempi sono cambiati, ma sotto la spinta di nuove realtà economiche indissolubilmente legate alla economia del mondo rurale, gran parte dei fabbricati rurali hanno subito veri e propri stravolgimenti, spesso legati alle carenze di uno strumento urbanistico incapace di formulare i necessari riferimenti per la tutela di un patrimonio che, nel bene e nel male, è parte integrante del nostro territorio. Il risultato a suo tempo è stato apprezzabile; sicuramente dobbiamo fare autocritica per aver trascurato un’idea progettuale in sintonia con la vocazione dei luoghi e per non essere stati capaci di riproporre nuovi modelli alla luce soprattutto delle mutate condizioni economiche. E’ stato commesso l’errore di concepire la casa rurale come pretesa evoluzione della abitazione cittadina, perdendo ogni riferimento, come già detto, al rapporto istintivo tra territorio e popolazione.
Vittorio Di Lembo
Nel complesso degli interventi operati nell’Agro Pontino, l’appoderamento e la costruzione delle nuove città costituirono il maggior intervento edilizio realizzato negli anni Trenta nel Lazio. Anche fuori della nostra nazione si guardava all’edificazione dei nuovi centri nell’ambito dei lavori di bonifica, e l’attenzione nel tempo ha superato, per la stessa natura intellettuale dei personaggi interessati, l’ambito della propaganda del regime dell’epoca. Basti pensare al piano regolatore di Sabaudia affidato ai giovanissimi architetti razionalisti Cancellotti, Montuori, Scalpelli capeggiati da Luigi Piccinato, oppure ai pregevoli incarichi professionali portati a termine dal futurista Angiolo Mazzoni.
Con l’appoderamento l’interesse principale era l’assegnazione di un podere alla sua famiglia e ad ogni famiglia la propria casa. L’abitazione ha sempre rappresentato il mezzo per la conquista della terra: legare l’uomo alla terra significa valorizzare il connubio terra-lavoro con la possibilità di un maggior rendimento economico, parallelamente al riscatto dell’uomo dalla millenaria condizione di inferiorità legata alla insalubrità delle terre. Da qui è nata la necessità di definire e reinventare l’abitazione rurale specifica per la bonifica pontina. La progettazione, si commentò all’epoca, non deve essere riservata ai tecnici dell’abitazione urbana, ma esige soprattutto la conoscenza di altri parametri e per le abitazioni dell’agro pontino fu richiesta la collaborazione anche della classe media. La casa rurale non è quindi la semplificazione della casa cittadina, ma il perfezionamento di una esigenza intesa come necessità del mondo rurale. Nasce, di conseguenza, il concetto di casa rurale come espressione di una sentita aspirazione e nel contesto del rapporto istintivo tra territorio e popolazione. Quello che storicamente poteva costituire il ricovero realizzato con i materiali a portata di mano, con i più poveri elementi forniti dalla natura del luogo, nel sistema costruttivo delle abitazioni dell’Agro Pontino trova un tangibile riscontro nell’uso dei materiali reperibili in loco o nelle immediate vicinanze. L’uso della pozzolana, del tufo e del pietrame è il riscontro alla disponibilità dei materiali reperibili nelle immediate vicinanze dei siti bonificati ed in ogni caso, come per l’impiego dei laterizi, la provenienza era localizzata nel territorio di Formia, di Gaeta e di Roma. Anche l’impiego dei materiali locali, se da una parte sfruttava le risorse disponibili creando una stretta correlazione tra l’operato dell’uomo e l’offerta della natura, in molti casi ha determinato lo scempio di suggestivi scenari naturali, offrendo, negli anni a seguire, l’occasione per uno sfruttamento indiscriminato delle risorse. A mo’ di esempio citiamo le gravi deturpazioni arrecate al territorio di Sermoneta, con particolare riferimento alla torre di Monticchio quale testimonianza diretta del mancato rispetto ambientale. Sicuramente ai giorni nostri lo sfruttamento delle risorse avrebbe trovato un approccio meno distruttivo, frutto di una diversa sensibilità verso la tutela dell’ambiente e della natura in generale. Del resto se consideriamo le opere realizzate nell’ambito della bonifica, a prescindere dal significato politico, nel complesso l’operazione doveva essere condotta nel rispetto di alcuni parametri economici frutto del rapporto costi-benefici. Proprio l’aspetto economico, come incidenza per unità di superficie, ha gettato le basi per una ricerca quasi ossessiva del contenimento dei costi per abitazione poderale. Alla iniziale scelta di quattro-cinque poderi tipo è seguita la naturale realizzazione di ben diciotto tipologie, suggerite da esigenze ambientali, non solo di carattere climatico, ma richieste dalla irrinunciabile necessità di assegnare un appezzamento di terreno ed una abitazione per singoli nuclei familiari. La ricerca sistematica della diversificazione architettonica non alterò i conti economici per unità abitativa. Una volta superata l’esigenza di predisporre specifici ricoveri per il foraggio in virtù del clima adatto alla conservazione in spazi aperti, gli elementi accessori alla abitazione rurale si riducono in particolare alla concimaia, al forno, al pollaio, al pozzo con abbeveratoio ed alla latrina esterna. Dalla esigenza di integrare il ciclo produttivo ad uso e consumo del nucleo familiare, in molti poderi al tradizionale pollaio fu affiancato il porcile; ben altra considerazione merita la latrina esterna. Concepita per necessità prettamente igieniche unitamente alla esigenza del contenimento dei costi, trovò la sua collocazione a margine della concimaia, con scarico diretto nella stessa ma priva di acqua corrente, tanto che il sistema adottato, per libera caduta degli escrementi, superava anche questa ultima esigenza. Nel concetto di casa rurale alcune soluzioni adottate rappresentavano quanto di meglio fosse possibile realizzare. La presenza del forno, nella sua razionale e semplice articolazione, tende ad esaltare l’importanza della trasformazione del prodotto principe dell’agro pontino, il frumento, da sempre considerato alla base dell’alimentazione del mondo rurale. Non sfugge un altro elemento caratteristico di alcune tipologie di case coloniche; il comignolo del camino, elemento caratteristico che svetta dalle coperture a tetto e, per la specifica e semplice funzione, costituisce quasi un gioiello dell’arte della prefabbricazione. A prima vista potrebbe sembrare un vezzo architettonico ma nella sostanza assolve perfettamente allo smaltimento dei fumi da tutto il perimetro, superando così l’interferenza dei venti provenienti da qualsiasi direzione. Lo stesso comignolo si erge anche a simbolo del nucleo familiare, raccolto, unito e solidale nei numerosi componenti intorno al sacro camino. Le strutture murarie delle varie tipologie delle case coloniche fanno ricorso a soluzioni comuni generalmente improntate all’impiego di determinanti materiali costruttivi. Nel primo caso il laterizio caratterizza, a ragion veduta, tutta una serie di particolari costruttivi, sostituendo il tufo nelle connessioni strutturali ad angolo retto delle strutture portanti perimetrali e nella riquadratura delle aperture quali porte e finestre. L’impiego del laterizio pieno caratterizza le aperture ad arco spesso presenti come prezioso elemento architettonico. Qualche perplessità, ad una attenta analisi strutturale, nasce dalla osservanza delle murature interne al fabbricato. Qui l’esigenza principe del contenimento dei costi ha suggerito soluzioni semplicistiche, spesso staticamente carenti secondo le nuove tendenze costruttive. Tali strutture, nei casi di minor sollecitazione dei carichi, sono state realizzate in mattoni pieni ad una testa, a volte con mattoni forati detti in gergo “foratoni”, che nulla hanno però in comune con gli analoghi manufatti dei giorni nostri, se non la caratteristica di essere semi vuoti e di presentare uno spessore maggiore. Le fondazioni, sistematicamente realizzate a sacco con l’escavazione manuale della sede e fondate a profondità variabile a seconda della natura del terreno, sono state riempite con pietra calcarea e malta di calce e pozzolana. Tale tipo di muratura spesso costituisce un motivo ornamentale fino al raggiungimento della quota del pavimento al piano terra. Il relativo vespaio, in pietra tufacea o calcarea, completava il sottostante piano al pavimento del piano terra. La muratura in elevazione dal piano terra alla copertura presenta spesso una consistente diversificazione; da una parte troviamo la muratura così detta “alla romana”, costituita da elementi irregolari di tufo, con molta calce e pozzolana e, in senso orizzontale, da ricorsi di mattoni pieni in laterizio per assolvere alla funzione statica della ripartizione dei carichi verticali, dall’altra troviamo la muratura interamente eseguita con mattoni pieni in laterizio e la irrinunciabile malta di calce e pozzolana. Altra caratteristica strutturale è rappresentata dalle tipologie adottate per i solai al primo piano. Qui la fantasia costruttiva, per nulla improntata a cervellotiche soluzioni, ha forse trovato la più libera interpretazione, ricorrendo all’impiego del cemento armato a volte limitato al semplice cordolo di coronamento inserito nelle murature portanti. Tra i solai adottati potremmo citare le seguenti tipologie: a) travi di ferro a doppio T, intervallate di circa un metro, con travelloni in laterizio allettati da una trave all’altra. Il tutto colmato e livellato con malta di cretoni di pozzolana e calce. Il piano così realizzato costituiva il letto di posa del pavimento, rigorosamente in cotto di tenera consistenza. b) travi di ferro a doppio T, intervallati di circa un metro, con voltine di mattoni pieni in sostituzione dei classici tavelloni. Tale soluzione, pregevole sotto l’aspetto architettonico, non ha trovato nel tempo un riferimento degno di alcuna continuità costruttiva, a causa del dispendioso impiego di mano d’opera. c) latero-cemento armato, con travetti del tipo “SAP” posizionati in aderenza gli uni agli altri, poveri di conglomerato cementizio e privi della sovrastante caldana. La soluzione costituiva, da un punto di vista strutturale, la base di partenza per gli attuali solai in latero-cemento. Al primo piano le strutture portanti sono nettamente diversificate. Salve le murature perimetrali, strutturalmente consistenti per motivi di carattere statico, le murature interne al fabbricato denotano chiaramente la volontà di operare economie nell’impiego di materiali ed assolvono la semplice funzione di divisione dei vani abitativi. Del resto la soluzione adottata in copertura prevede un elemento orizzontale comunemente definito “camera a canne”, quasi posto a celare la pregevole soluzione della capriata in legno. La capriata in legno, con tutte le sue componenti accessorie, costituisce l’elemento portante del manto di tegole rigorosamente del tipo “marsigliese”. La camera a canne è letteralmente costituita da canne vegetali essiccate ed integrate, come elemento riempitivo di scarso peso, da un supporto di rete metallica; l’intonaco sommariamente sbruffato e lisciato legava il tutto denunciando ad opera finita, una parvenza di signorile protezione. Non bisogna dimenticare che gran parte dei nuclei familiari trasferiti nell’agro pontino provenivano dal mondo salariale di altre regioni, cioè erano costituiti da mano d’opera generica, dedita ai lavori condotti in periodi ben determinati della stagione agraria, avulsi da ogni cognizione tecnica specifica, tale da non ingenerare nelle masse quel senso di programmata attività legata alla conduzione diretta delle unità poderali. E’ stata una delle maggiori difficoltà sorte di fronte alla assunzione di dirette responsabilità delle attività agricole condotte in prima persona. Quelle che al primo impatto sembravano le condizioni ideali per la conduzione delle unità poderali, vale a dire la casa colonica, il fondo da coltivare, le scorte ed il bestiame, hanno inizialmente disorientato chi doveva assoggettarsi alla cadenza dei raccolti secondo un ciclo inevitabilmente riconducibile alla variazione delle stagioni. La casa colonica, pur concepita nelle sue essenziali articolazioni, era giudicata come semplice riparo, di cui non si coglieva inizialmente il pieno significato della funzione, a causa anche delle ataviche condizioni ambientali da cui spesso provenivano le famiglie insediate nell’agro pontino.Non dimentichiamo che in alcune zone di provenienza queste famiglie vivevano in miseri ripari, dove il problema giornaliero era costituito dalla necessità di procurarsi di che vivere. Questa quasi idillica e non vissuta condizione nell’agro Pontino, prospettata come naturale conquista di un futuro benessere ma estranea all’originaria condizione di vita delle popolazioni trasferite per necessità, creò seri disorientamenti di ambientazione. Tra gli elementi costruttivi più rappresentativi inseriti in alcune tipologie delle abitazioni rurali spiccano, non a caso, due ben caratterizzate figure geometriche: l’arco a semicerchio, tecnicamente definito “a tutto sesto”, realizzato al piano terra, privo di infissi e spesso reiterato in successione per consentire il libero accesso ad una superfice accessoria e la struttura a sostegno delle coperture della abitazione e della stalla rigorosamente di forma triangolare. Il primo, l’arco a semicerchio, ancor oggi perfettamente visibile anche in presenza di profondi rifacimenti, offre all’osservatore l’immediata percezione di un elemento architettonico con funzioni statiche e propone un felice connubio con le linee tese della abitazione rurale, senza assumere la funzione di un elemento decorativo fine a se stesso. Il secondo, la struttura lignea a sostegno delle coperture, costituisce un elemento portante di cui non si coglie l’immediata presenza. Realizzato secondo una perfetta figura geometrica, il triangolo trova il suo equilibrio architettonico nella armonica e razionale integrazione tra le risoluzioni dei nodi di connessione e gli elementi portanti che costituiscono i lati del triangolo. Non sempre valorizzate, le capriate in legno hanno subito l’indifferente considerazione di chi ha ravvisato, nella povertà dei materiali impiegati e nella destinazione rurale del complesso abitativo, una sorta di antico retaggio, sottovalutando spesso l’idea progettuale ed artigianale di una struttura, la capriata, frutto di una razionale e millenaria evoluzione. Come riferimento storico la capriata, pur nella originaria e semplice interpretazione, trova le prime applicazioni, anche se con elementi lapidei a semplice contrasto, nelle tombe etrusche. Successivamente migliorata e reinterpretata con l’uso di materiali diversi, ha trovato razionale applicazione nelle coperture delle chiese di età romana e soprattutto è stata inserita come scelta costruttiva nell’arte Gotica. Possiamo semplicemente dedurre che l’arco e la capriata, pur realizzati con materiali diversi, nella stessa misura assolvono alla necessità di ridurre le spinte laterali sulle murature, razionalizzando e semplificando le sollecitazioni secondo i criteri della semplice compressione. Nella complessa ricerca della architettura della casa rurale, gli elementi strutturali adottati trovano riscontro nella semplicità e nella necessità impellente, già richiamata, di contenere i costi di costruzione nell’ambito delle possibili varianti. Un insieme di fattori hanno così contribuito alla realizzazione di case coloniche prive di inutili ricercatezze costruttive, razionali nelle loro funzioni e perfettamente integrate nell’assetto geometrico del territorio. Ai nostri giorni sono ancora percepibili i caratteri essenziali di questa architettura rurale. E’ vero che i tempi sono cambiati, ma sotto la spinta di nuove realtà economiche indissolubilmente legate alla economia del mondo rurale, gran parte dei fabbricati rurali hanno subito veri e propri stravolgimenti, spesso legati alle carenze di uno strumento urbanistico incapace di formulare i necessari riferimenti per la tutela di un patrimonio che, nel bene e nel male, è parte integrante del nostro territorio. Il risultato a suo tempo è stato apprezzabile; sicuramente dobbiamo fare autocritica per aver trascurato un’idea progettuale in sintonia con la vocazione dei luoghi e per non essere stati capaci di riproporre nuovi modelli alla luce soprattutto delle mutate condizioni economiche. E’ stato commesso l’errore di concepire la casa rurale come pretesa evoluzione della abitazione cittadina, perdendo ogni riferimento, come già detto, al rapporto istintivo tra territorio e popolazione.
Vittorio Di Lembo
Nel complesso degli interventi operati nell’Agro Pontino, l’appoderamento e la costruzione delle nuove città costituirono il maggior intervento edilizio realizzato negli anni Trenta nel Lazio. Anche fuori della nostra nazione si guardava all’edificazione dei nuovi centri nell’ambito dei lavori di bonifica, e l’attenzione nel tempo ha superato, per la stessa natura intellettuale dei personaggi interessati, l’ambito della propaganda del regime dell’epoca. Basti pensare al piano regolatore di Sabaudia affidato ai giovanissimi architetti razionalisti Cancellotti, Montuori, Scalpelli capeggiati da Luigi Piccinato, oppure ai pregevoli incarichi professionali portati a termine dal futurista Angiolo Mazzoni.
Con l’appoderamento l’interesse principale era l’assegnazione di un podere alla sua famiglia e ad ogni famiglia la propria casa. L’abitazione ha sempre rappresentato il mezzo per la conquista della terra: legare l’uomo alla terra significa valorizzare il connubio terra-lavoro con la possibilità di un maggior rendimento economico, parallelamente al riscatto dell’uomo dalla millenaria condizione di inferiorità legata alla insalubrità delle terre. Da qui è nata la necessità di definire e reinventare l’abitazione rurale specifica per la bonifica pontina. La progettazione, si commentò all’epoca, non deve essere riservata ai tecnici dell’abitazione urbana, ma esige soprattutto la conoscenza di altri parametri e per le abitazioni dell’agro pontino fu richiesta la collaborazione anche della classe media. La casa rurale non è quindi la semplificazione della casa cittadina, ma il perfezionamento di una esigenza intesa come necessità del mondo rurale. Nasce, di conseguenza, il concetto di casa rurale come espressione di una sentita aspirazione e nel contesto del rapporto istintivo tra territorio e popolazione. Quello che storicamente poteva costituire il ricovero realizzato con i materiali a portata di mano, con i più poveri elementi forniti dalla natura del luogo, nel sistema costruttivo delle abitazioni dell’Agro Pontino trova un tangibile riscontro nell’uso dei materiali reperibili in loco o nelle immediate vicinanze. L’uso della pozzolana, del tufo e del pietrame è il riscontro alla disponibilità dei materiali reperibili nelle immediate vicinanze dei siti bonificati ed in ogni caso, come per l’impiego dei laterizi, la provenienza era localizzata nel territorio di Formia, di Gaeta e di Roma. Anche l’impiego dei materiali locali, se da una parte sfruttava le risorse disponibili creando una stretta correlazione tra l’operato dell’uomo e l’offerta della natura, in molti casi ha determinato lo scempio di suggestivi scenari naturali, offrendo, negli anni a seguire, l’occasione per uno sfruttamento indiscriminato delle risorse. A mo’ di esempio citiamo le gravi deturpazioni arrecate al territorio di Sermoneta, con particolare riferimento alla torre di Monticchio quale testimonianza diretta del mancato rispetto ambientale. Sicuramente ai giorni nostri lo sfruttamento delle risorse avrebbe trovato un approccio meno distruttivo, frutto di una diversa sensibilità verso la tutela dell’ambiente e della natura in generale. Del resto se consideriamo le opere realizzate nell’ambito della bonifica, a prescindere dal significato politico, nel complesso l’operazione doveva essere condotta nel rispetto di alcuni parametri economici frutto del rapporto costi-benefici. Proprio l’aspetto economico, come incidenza per unità di superficie, ha gettato le basi per una ricerca quasi ossessiva del contenimento dei costi per abitazione poderale. Alla iniziale scelta di quattro-cinque poderi tipo è seguita la naturale realizzazione di ben diciotto tipologie, suggerite da esigenze ambientali, non solo di carattere climatico, ma richieste dalla irrinunciabile necessità di assegnare un appezzamento di terreno ed una abitazione per singoli nuclei familiari. La ricerca sistematica della diversificazione architettonica non alterò i conti economici per unità abitativa. Una volta superata l’esigenza di predisporre specifici ricoveri per il foraggio in virtù del clima adatto alla conservazione in spazi aperti, gli elementi accessori alla abitazione rurale si riducono in particolare alla concimaia, al forno, al pollaio, al pozzo con abbeveratoio ed alla latrina esterna. Dalla esigenza di integrare il ciclo produttivo ad uso e consumo del nucleo familiare, in molti poderi al tradizionale pollaio fu affiancato il porcile; ben altra considerazione merita la latrina esterna. Concepita per necessità prettamente igieniche unitamente alla esigenza del contenimento dei costi, trovò la sua collocazione a margine della concimaia, con scarico diretto nella stessa ma priva di acqua corrente, tanto che il sistema adottato, per libera caduta degli escrementi, superava anche questa ultima esigenza. Nel concetto di casa rurale alcune soluzioni adottate rappresentavano quanto di meglio fosse possibile realizzare. La presenza del forno, nella sua razionale e semplice articolazione, tende ad esaltare l’importanza della trasformazione del prodotto principe dell’agro pontino, il frumento, da sempre considerato alla base dell’alimentazione del mondo rurale. Non sfugge un altro elemento caratteristico di alcune tipologie di case coloniche; il comignolo del camino, elemento caratteristico che svetta dalle coperture a tetto e, per la specifica e semplice funzione, costituisce quasi un gioiello dell’arte della prefabbricazione. A prima vista potrebbe sembrare un vezzo architettonico ma nella sostanza assolve perfettamente allo smaltimento dei fumi da tutto il perimetro, superando così l’interferenza dei venti provenienti da qualsiasi direzione. Lo stesso comignolo si erge anche a simbolo del nucleo familiare, raccolto, unito e solidale nei numerosi componenti intorno al sacro camino. Le strutture murarie delle varie tipologie delle case coloniche fanno ricorso a soluzioni comuni generalmente improntate all’impiego di determinanti materiali costruttivi. Nel primo caso il laterizio caratterizza, a ragion veduta, tutta una serie di particolari costruttivi, sostituendo il tufo nelle connessioni strutturali ad angolo retto delle strutture portanti perimetrali e nella riquadratura delle aperture quali porte e finestre. L’impiego del laterizio pieno caratterizza le aperture ad arco spesso presenti come prezioso elemento architettonico. Qualche perplessità, ad una attenta analisi strutturale, nasce dalla osservanza delle murature interne al fabbricato. Qui l’esigenza principe del contenimento dei costi ha suggerito soluzioni semplicistiche, spesso staticamente carenti secondo le nuove tendenze costruttive. Tali strutture, nei casi di minor sollecitazione dei carichi, sono state realizzate in mattoni pieni ad una testa, a volte con mattoni forati detti in gergo “foratoni”, che nulla hanno però in comune con gli analoghi manufatti dei giorni nostri, se non la caratteristica di essere semi vuoti e di presentare uno spessore maggiore. Le fondazioni, sistematicamente realizzate a sacco con l’escavazione manuale della sede e fondate a profondità variabile a seconda della natura del terreno, sono state riempite con pietra calcarea e malta di calce e pozzolana. Tale tipo di muratura spesso costituisce un motivo ornamentale fino al raggiungimento della quota del pavimento al piano terra. Il relativo vespaio, in pietra tufacea o calcarea, completava il sottostante piano al pavimento del piano terra. La muratura in elevazione dal piano terra alla copertura presenta spesso una consistente diversificazione; da una parte troviamo la muratura così detta “alla romana”, costituita da elementi irregolari di tufo, con molta calce e pozzolana e, in senso orizzontale, da ricorsi di mattoni pieni in laterizio per assolvere alla funzione statica della ripartizione dei carichi verticali, dall’altra troviamo la muratura interamente eseguita con mattoni pieni in laterizio e la irrinunciabile malta di calce e pozzolana. Altra caratteristica strutturale è rappresentata dalle tipologie adottate per i solai al primo piano. Qui la fantasia costruttiva, per nulla improntata a cervellotiche soluzioni, ha forse trovato la più libera interpretazione, ricorrendo all’impiego del cemento armato a volte limitato al semplice cordolo di coronamento inserito nelle murature portanti. Tra i solai adottati potremmo citare le seguenti tipologie: a) travi di ferro a doppio T, intervallate di circa un metro, con travelloni in laterizio allettati da una trave all’altra. Il tutto colmato e livellato con malta di cretoni di pozzolana e calce. Il piano così realizzato costituiva il letto di posa del pavimento, rigorosamente in cotto di tenera consistenza. b) travi di ferro a doppio T, intervallati di circa un metro, con voltine di mattoni pieni in sostituzione dei classici tavelloni. Tale soluzione, pregevole sotto l’aspetto architettonico, non ha trovato nel tempo un riferimento degno di alcuna continuità costruttiva, a causa del dispendioso impiego di mano d’opera. c) latero-cemento armato, con travetti del tipo “SAP” posizionati in aderenza gli uni agli altri, poveri di conglomerato cementizio e privi della sovrastante caldana. La soluzione costituiva, da un punto di vista strutturale, la base di partenza per gli attuali solai in latero-cemento. Al primo piano le strutture portanti sono nettamente diversificate. Salve le murature perimetrali, strutturalmente consistenti per motivi di carattere statico, le murature interne al fabbricato denotano chiaramente la volontà di operare economie nell’impiego di materiali ed assolvono la semplice funzione di divisione dei vani abitativi. Del resto la soluzione adottata in copertura prevede un elemento orizzontale comunemente definito “camera a canne”, quasi posto a celare la pregevole soluzione della capriata in legno. La capriata in legno, con tutte le sue componenti accessorie, costituisce l’elemento portante del manto di tegole rigorosamente del tipo “marsigliese”. La camera a canne è letteralmente costituita da canne vegetali essiccate ed integrate, come elemento riempitivo di scarso peso, da un supporto di rete metallica; l’intonaco sommariamente sbruffato e lisciato legava il tutto denunciando ad opera finita, una parvenza di signorile protezione. Non bisogna dimenticare che gran parte dei nuclei familiari trasferiti nell’agro pontino provenivano dal mondo salariale di altre regioni, cioè erano costituiti da mano d’opera generica, dedita ai lavori condotti in periodi ben determinati della stagione agraria, avulsi da ogni cognizione tecnica specifica, tale da non ingenerare nelle masse quel senso di programmata attività legata alla conduzione diretta delle unità poderali. E’ stata una delle maggiori difficoltà sorte di fronte alla assunzione di dirette responsabilità delle attività agricole condotte in prima persona. Quelle che al primo impatto sembravano le condizioni ideali per la conduzione delle unità poderali, vale a dire la casa colonica, il fondo da coltivare, le scorte ed il bestiame, hanno inizialmente disorientato chi doveva assoggettarsi alla cadenza dei raccolti secondo un ciclo inevitabilmente riconducibile alla variazione delle stagioni. La casa colonica, pur concepita nelle sue essenziali articolazioni, era giudicata come semplice riparo, di cui non si coglieva inizialmente il pieno significato della funzione, a causa anche delle ataviche condizioni ambientali da cui spesso provenivano le famiglie insediate nell’agro pontino.Non dimentichiamo che in alcune zone di provenienza queste famiglie vivevano in miseri ripari, dove il problema giornaliero era costituito dalla necessità di procurarsi di che vivere. Questa quasi idillica e non vissuta condizione nell’agro Pontino, prospettata come naturale conquista di un futuro benessere ma estranea all’originaria condizione di vita delle popolazioni trasferite per necessità, creò seri disorientamenti di ambientazione. Tra gli elementi costruttivi più rappresentativi inseriti in alcune tipologie delle abitazioni rurali spiccano, non a caso, due ben caratterizzate figure geometriche: l’arco a semicerchio, tecnicamente definito “a tutto sesto”, realizzato al piano terra, privo di infissi e spesso reiterato in successione per consentire il libero accesso ad una superfice accessoria e la struttura a sostegno delle coperture della abitazione e della stalla rigorosamente di forma triangolare. Il primo, l’arco a semicerchio, ancor oggi perfettamente visibile anche in presenza di profondi rifacimenti, offre all’osservatore l’immediata percezione di un elemento architettonico con funzioni statiche e propone un felice connubio con le linee tese della abitazione rurale, senza assumere la funzione di un elemento decorativo fine a se stesso. Il secondo, la struttura lignea a sostegno delle coperture, costituisce un elemento portante di cui non si coglie l’immediata presenza. Realizzato secondo una perfetta figura geometrica, il triangolo trova il suo equilibrio architettonico nella armonica e razionale integrazione tra le risoluzioni dei nodi di connessione e gli elementi portanti che costituiscono i lati del triangolo. Non sempre valorizzate, le capriate in legno hanno subito l’indifferente considerazione di chi ha ravvisato, nella povertà dei materiali impiegati e nella destinazione rurale del complesso abitativo, una sorta di antico retaggio, sottovalutando spesso l’idea progettuale ed artigianale di una struttura, la capriata, frutto di una razionale e millenaria evoluzione. Come riferimento storico la capriata, pur nella originaria e semplice interpretazione, trova le prime applicazioni, anche se con elementi lapidei a semplice contrasto, nelle tombe etrusche. Successivamente migliorata e reinterpretata con l’uso di materiali diversi, ha trovato razionale applicazione nelle coperture delle chiese di età romana e soprattutto è stata inserita come scelta costruttiva nell’arte Gotica. Possiamo semplicemente dedurre che l’arco e la capriata, pur realizzati con materiali diversi, nella stessa misura assolvono alla necessità di ridurre le spinte laterali sulle murature, razionalizzando e semplificando le sollecitazioni secondo i criteri della semplice compressione. Nella complessa ricerca della architettura della casa rurale, gli elementi strutturali adottati trovano riscontro nella semplicità e nella necessità impellente, già richiamata, di contenere i costi di costruzione nell’ambito delle possibili varianti. Un insieme di fattori hanno così contribuito alla realizzazione di case coloniche prive di inutili ricercatezze costruttive, razionali nelle loro funzioni e perfettamente integrate nell’assetto geometrico del territorio. Ai nostri giorni sono ancora percepibili i caratteri essenziali di questa architettura rurale. E’ vero che i tempi sono cambiati, ma sotto la spinta di nuove realtà economiche indissolubilmente legate alla economia del mondo rurale, gran parte dei fabbricati rurali hanno subito veri e propri stravolgimenti, spesso legati alle carenze di uno strumento urbanistico incapace di formulare i necessari riferimenti per la tutela di un patrimonio che, nel bene e nel male, è parte integrante del nostro territorio. Il risultato a suo tempo è stato apprezzabile; sicuramente dobbiamo fare autocritica per aver trascurato un’idea progettuale in sintonia con la vocazione dei luoghi e per non essere stati capaci di riproporre nuovi modelli alla luce soprattutto delle mutate condizioni economiche. E’ stato commesso l’errore di concepire la casa rurale come pretesa evoluzione della abitazione cittadina, perdendo ogni riferimento, come già detto, al rapporto istintivo tra territorio e popolazione.
Vittorio Di Lembo
Nel complesso degli interventi operati nell’Agro Pontino, l’appoderamento e la costruzione delle nuove città costituirono il maggior intervento edilizio realizzato negli anni Trenta nel Lazio. Anche fuori della nostra nazione si guardava all’edificazione dei nuovi centri nell’ambito dei lavori di bonifica, e l’attenzione nel tempo ha superato, per la stessa natura intellettuale dei personaggi interessati, l’ambito della propaganda del regime dell’epoca. Basti pensare al piano regolatore di Sabaudia affidato ai giovanissimi architetti razionalisti Cancellotti, Montuori, Scalpelli capeggiati da Luigi Piccinato, oppure ai pregevoli incarichi professionali portati a termine dal futurista Angiolo Mazzoni.
Con l’appoderamento l’interesse principale era l’assegnazione di un podere alla sua famiglia e ad ogni famiglia la propria casa. L’abitazione ha sempre rappresentato il mezzo per la conquista della terra: legare l’uomo alla terra significa valorizzare il connubio terra-lavoro con la possibilità di un maggior rendimento economico, parallelamente al riscatto dell’uomo dalla millenaria condizione di inferiorità legata alla insalubrità delle terre. Da qui è nata la necessità di definire e reinventare l’abitazione rurale specifica per la bonifica pontina. La progettazione, si commentò all’epoca, non deve essere riservata ai tecnici dell’abitazione urbana, ma esige soprattutto la conoscenza di altri parametri e per le abitazioni dell’agro pontino fu richiesta la collaborazione anche della classe media. La casa rurale non è quindi la semplificazione della casa cittadina, ma il perfezionamento di una esigenza intesa come necessità del mondo rurale. Nasce, di conseguenza, il concetto di casa rurale come espressione di una sentita aspirazione e nel contesto del rapporto istintivo tra territorio e popolazione. Quello che storicamente poteva costituire il ricovero realizzato con i materiali a portata di mano, con i più poveri elementi forniti dalla natura del luogo, nel sistema costruttivo delle abitazioni dell’Agro Pontino trova un tangibile riscontro nell’uso dei materiali reperibili in loco o nelle immediate vicinanze. L’uso della pozzolana, del tufo e del pietrame è il riscontro alla disponibilità dei materiali reperibili nelle immediate vicinanze dei siti bonificati ed in ogni caso, come per l’impiego dei laterizi, la provenienza era localizzata nel territorio di Formia, di Gaeta e di Roma. Anche l’impiego dei materiali locali, se da una parte sfruttava le risorse disponibili creando una stretta correlazione tra l’operato dell’uomo e l’offerta della natura, in molti casi ha determinato lo scempio di suggestivi scenari naturali, offrendo, negli anni a seguire, l’occasione per uno sfruttamento indiscriminato delle risorse. A mo’ di esempio citiamo le gravi deturpazioni arrecate al territorio di Sermoneta, con particolare riferimento alla torre di Monticchio quale testimonianza diretta del mancato rispetto ambientale. Sicuramente ai giorni nostri lo sfruttamento delle risorse avrebbe trovato un approccio meno distruttivo, frutto di una diversa sensibilità verso la tutela dell’ambiente e della natura in generale. Del resto se consideriamo le opere realizzate nell’ambito della bonifica, a prescindere dal significato politico, nel complesso l’operazione doveva essere condotta nel rispetto di alcuni parametri economici frutto del rapporto costi-benefici. Proprio l’aspetto economico, come incidenza per unità di superficie, ha gettato le basi per una ricerca quasi ossessiva del contenimento dei costi per abitazione poderale. Alla iniziale scelta di quattro-cinque poderi tipo è seguita la naturale realizzazione di ben diciotto tipologie, suggerite da esigenze ambientali, non solo di carattere climatico, ma richieste dalla irrinunciabile necessità di assegnare un appezzamento di terreno ed una abitazione per singoli nuclei familiari. La ricerca sistematica della diversificazione architettonica non alterò i conti economici per unità abitativa. Una volta superata l’esigenza di predisporre specifici ricoveri per il foraggio in virtù del clima adatto alla conservazione in spazi aperti, gli elementi accessori alla abitazione rurale si riducono in particolare alla concimaia, al forno, al pollaio, al pozzo con abbeveratoio ed alla latrina esterna. Dalla esigenza di integrare il ciclo produttivo ad uso e consumo del nucleo familiare, in molti poderi al tradizionale pollaio fu affiancato il porcile; ben altra considerazione merita la latrina esterna. Concepita per necessità prettamente igieniche unitamente alla esigenza del contenimento dei costi, trovò la sua collocazione a margine della concimaia, con scarico diretto nella stessa ma priva di acqua corrente, tanto che il sistema adottato, per libera caduta degli escrementi, superava anche questa ultima esigenza. Nel concetto di casa rurale alcune soluzioni adottate rappresentavano quanto di meglio fosse possibile realizzare. La presenza del forno, nella sua razionale e semplice articolazione, tende ad esaltare l’importanza della trasformazione del prodotto principe dell’agro pontino, il frumento, da sempre considerato alla base dell’alimentazione del mondo rurale. Non sfugge un altro elemento caratteristico di alcune tipologie di case coloniche; il comignolo del camino, elemento caratteristico che svetta dalle coperture a tetto e, per la specifica e semplice funzione, costituisce quasi un gioiello dell’arte della prefabbricazione. A prima vista potrebbe sembrare un vezzo architettonico ma nella sostanza assolve perfettamente allo smaltimento dei fumi da tutto il perimetro, superando così l’interferenza dei venti provenienti da qualsiasi direzione. Lo stesso comignolo si erge anche a simbolo del nucleo familiare, raccolto, unito e solidale nei numerosi componenti intorno al sacro camino. Le strutture murarie delle varie tipologie delle case coloniche fanno ricorso a soluzioni comuni generalmente improntate all’impiego di determinanti materiali costruttivi. Nel primo caso il laterizio caratterizza, a ragion veduta, tutta una serie di particolari costruttivi, sostituendo il tufo nelle connessioni strutturali ad angolo retto delle strutture portanti perimetrali e nella riquadratura delle aperture quali porte e finestre. L’impiego del laterizio pieno caratterizza le aperture ad arco spesso presenti come prezioso elemento architettonico. Qualche perplessità, ad una attenta analisi strutturale, nasce dalla osservanza delle murature interne al fabbricato. Qui l’esigenza principe del contenimento dei costi ha suggerito soluzioni semplicistiche, spesso staticamente carenti secondo le nuove tendenze costruttive. Tali strutture, nei casi di minor sollecitazione dei carichi, sono state realizzate in mattoni pieni ad una testa, a volte con mattoni forati detti in gergo “foratoni”, che nulla hanno però in comune con gli analoghi manufatti dei giorni nostri, se non la caratteristica di essere semi vuoti e di presentare uno spessore maggiore. Le fondazioni, sistematicamente realizzate a sacco con l’escavazione manuale della sede e fondate a profondità variabile a seconda della natura del terreno, sono state riempite con pietra calcarea e malta di calce e pozzolana. Tale tipo di muratura spesso costituisce un motivo ornamentale fino al raggiungimento della quota del pavimento al piano terra. Il relativo vespaio, in pietra tufacea o calcarea, completava il sottostante piano al pavimento del piano terra. La muratura in elevazione dal piano terra alla copertura presenta spesso una consistente diversificazione; da una parte troviamo la muratura così detta “alla romana”, costituita da elementi irregolari di tufo, con molta calce e pozzolana e, in senso orizzontale, da ricorsi di mattoni pieni in laterizio per assolvere alla funzione statica della ripartizione dei carichi verticali, dall’altra troviamo la muratura interamente eseguita con mattoni pieni in laterizio e la irrinunciabile malta di calce e pozzolana. Altra caratteristica strutturale è rappresentata dalle tipologie adottate per i solai al primo piano. Qui la fantasia costruttiva, per nulla improntata a cervellotiche soluzioni, ha forse trovato la più libera interpretazione, ricorrendo all’impiego del cemento armato a volte limitato al semplice cordolo di coronamento inserito nelle murature portanti. Tra i solai adottati potremmo citare le seguenti tipologie: a) travi di ferro a doppio T, intervallate di circa un metro, con travelloni in laterizio allettati da una trave all’altra. Il tutto colmato e livellato con malta di cretoni di pozzolana e calce. Il piano così realizzato costituiva il letto di posa del pavimento, rigorosamente in cotto di tenera consistenza. b) travi di ferro a doppio T, intervallati di circa un metro, con voltine di mattoni pieni in sostituzione dei classici tavelloni. Tale soluzione, pregevole sotto l’aspetto architettonico, non ha trovato nel tempo un riferimento degno di alcuna continuità costruttiva, a causa del dispendioso impiego di mano d’opera. c) latero-cemento armato, con travetti del tipo “SAP” posizionati in aderenza gli uni agli altri, poveri di conglomerato cementizio e privi della sovrastante caldana. La soluzione costituiva, da un punto di vista strutturale, la base di partenza per gli attuali solai in latero-cemento. Al primo piano le strutture portanti sono nettamente diversificate. Salve le murature perimetrali, strutturalmente consistenti per motivi di carattere statico, le murature interne al fabbricato denotano chiaramente la volontà di operare economie nell’impiego di materiali ed assolvono la semplice funzione di divisione dei vani abitativi. Del resto la soluzione adottata in copertura prevede un elemento orizzontale comunemente definito “camera a canne”, quasi posto a celare la pregevole soluzione della capriata in legno. La capriata in legno, con tutte le sue componenti accessorie, costituisce l’elemento portante del manto di tegole rigorosamente del tipo “marsigliese”. La camera a canne è letteralmente costituita da canne vegetali essiccate ed integrate, come elemento riempitivo di scarso peso, da un supporto di rete metallica; l’intonaco sommariamente sbruffato e lisciato legava il tutto denunciando ad opera finita, una parvenza di signorile protezione. Non bisogna dimenticare che gran parte dei nuclei familiari trasferiti nell’agro pontino provenivano dal mondo salariale di altre regioni, cioè erano costituiti da mano d’opera generica, dedita ai lavori condotti in periodi ben determinati della stagione agraria, avulsi da ogni cognizione tecnica specifica, tale da non ingenerare nelle masse quel senso di programmata attività legata alla conduzione diretta delle unità poderali. E’ stata una delle maggiori difficoltà sorte di fronte alla assunzione di dirette responsabilità delle attività agricole condotte in prima persona. Quelle che al primo impatto sembravano le condizioni ideali per la conduzione delle unità poderali, vale a dire la casa colonica, il fondo da coltivare, le scorte ed il bestiame, hanno inizialmente disorientato chi doveva assoggettarsi alla cadenza dei raccolti secondo un ciclo inevitabilmente riconducibile alla variazione delle stagioni. La casa colonica, pur concepita nelle sue essenziali articolazioni, era giudicata come semplice riparo, di cui non si coglieva inizialmente il pieno significato della funzione, a causa anche delle ataviche condizioni ambientali da cui spesso provenivano le famiglie insediate nell’agro pontino.Non dimentichiamo che in alcune zone di provenienza queste famiglie vivevano in miseri ripari, dove il problema giornaliero era costituito dalla necessità di procurarsi di che vivere. Questa quasi idillica e non vissuta condizione nell’agro Pontino, prospettata come naturale conquista di un futuro benessere ma estranea all’originaria condizione di vita delle popolazioni trasferite per necessità, creò seri disorientamenti di ambientazione. Tra gli elementi costruttivi più rappresentativi inseriti in alcune tipologie delle abitazioni rurali spiccano, non a caso, due ben caratterizzate figure geometriche: l’arco a semicerchio, tecnicamente definito “a tutto sesto”, realizzato al piano terra, privo di infissi e spesso reiterato in successione per consentire il libero accesso ad una superfice accessoria e la struttura a sostegno delle coperture della abitazione e della stalla rigorosamente di forma triangolare. Il primo, l’arco a semicerchio, ancor oggi perfettamente visibile anche in presenza di profondi rifacimenti, offre all’osservatore l’immediata percezione di un elemento architettonico con funzioni statiche e propone un felice connubio con le linee tese della abitazione rurale, senza assumere la funzione di un elemento decorativo fine a se stesso. Il secondo, la struttura lignea a sostegno delle coperture, costituisce un elemento portante di cui non si coglie l’immediata presenza. Realizzato secondo una perfetta figura geometrica, il triangolo trova il suo equilibrio architettonico nella armonica e razionale integrazione tra le risoluzioni dei nodi di connessione e gli elementi portanti che costituiscono i lati del triangolo. Non sempre valorizzate, le capriate in legno hanno subito l’indifferente considerazione di chi ha ravvisato, nella povertà dei materiali impiegati e nella destinazione rurale del complesso abitativo, una sorta di antico retaggio, sottovalutando spesso l’idea progettuale ed artigianale di una struttura, la capriata, frutto di una razionale e millenaria evoluzione. Come riferimento storico la capriata, pur nella originaria e semplice interpretazione, trova le prime applicazioni, anche se con elementi lapidei a semplice contrasto, nelle tombe etrusche. Successivamente migliorata e reinterpretata con l’uso di materiali diversi, ha trovato razionale applicazione nelle coperture delle chiese di età romana e soprattutto è stata inserita come scelta costruttiva nell’arte Gotica. Possiamo semplicemente dedurre che l’arco e la capriata, pur realizzati con materiali diversi, nella stessa misura assolvono alla necessità di ridurre le spinte laterali sulle murature, razionalizzando e semplificando le sollecitazioni secondo i criteri della semplice compressione. Nella complessa ricerca della architettura della casa rurale, gli elementi strutturali adottati trovano riscontro nella semplicità e nella necessità impellente, già richiamata, di contenere i costi di costruzione nell’ambito delle possibili varianti. Un insieme di fattori hanno così contribuito alla realizzazione di case coloniche prive di inutili ricercatezze costruttive, razionali nelle loro funzioni e perfettamente integrate nell’assetto geometrico del territorio. Ai nostri giorni sono ancora percepibili i caratteri essenziali di questa architettura rurale. E’ vero che i tempi sono cambiati, ma sotto la spinta di nuove realtà economiche indissolubilmente legate alla economia del mondo rurale, gran parte dei fabbricati rurali hanno subito veri e propri stravolgimenti, spesso legati alle carenze di uno strumento urbanistico incapace di formulare i necessari riferimenti per la tutela di un patrimonio che, nel bene e nel male, è parte integrante del nostro territorio. Il risultato a suo tempo è stato apprezzabile; sicuramente dobbiamo fare autocritica per aver trascurato un’idea progettuale in sintonia con la vocazione dei luoghi e per non essere stati capaci di riproporre nuovi modelli alla luce soprattutto delle mutate condizioni economiche. E’ stato commesso l’errore di concepire la casa rurale come pretesa evoluzione della abitazione cittadina, perdendo ogni riferimento, come già detto, al rapporto istintivo tra territorio e popolazione.
Vittorio Di Lembo
Nel complesso degli interventi operati nell’Agro Pontino, l’appoderamento e la costruzione delle nuove città costituirono il maggior intervento edilizio realizzato negli anni Trenta nel Lazio. Anche fuori della nostra nazione si guardava all’edificazione dei nuovi centri nell’ambito dei lavori di bonifica, e l’attenzione nel tempo ha superato, per la stessa natura intellettuale dei personaggi interessati, l’ambito della propaganda del regime dell’epoca. Basti pensare al piano regolatore di Sabaudia affidato ai giovanissimi architetti razionalisti Cancellotti, Montuori, Scalpelli capeggiati da Luigi Piccinato, oppure ai pregevoli incarichi professionali portati a termine dal futurista Angiolo Mazzoni.
Con l’appoderamento l’interesse principale era l’assegnazione di un podere alla sua famiglia e ad ogni famiglia la propria casa. L’abitazione ha sempre rappresentato il mezzo per la conquista della terra: legare l’uomo alla terra significa valorizzare il connubio terra-lavoro con la possibilità di un maggior rendimento economico, parallelamente al riscatto dell’uomo dalla millenaria condizione di inferiorità legata alla insalubrità delle terre. Da qui è nata la necessità di definire e reinventare l’abitazione rurale specifica per la bonifica pontina. La progettazione, si commentò all’epoca, non deve essere riservata ai tecnici dell’abitazione urbana, ma esige soprattutto la conoscenza di altri parametri e per le abitazioni dell’agro pontino fu richiesta la collaborazione anche della classe media. La casa rurale non è quindi la semplificazione della casa cittadina, ma il perfezionamento di una esigenza intesa come necessità del mondo rurale. Nasce, di conseguenza, il concetto di casa rurale come espressione di una sentita aspirazione e nel contesto del rapporto istintivo tra territorio e popolazione. Quello che storicamente poteva costituire il ricovero realizzato con i materiali a portata di mano, con i più poveri elementi forniti dalla natura del luogo, nel sistema costruttivo delle abitazioni dell’Agro Pontino trova un tangibile riscontro nell’uso dei materiali reperibili in loco o nelle immediate vicinanze. L’uso della pozzolana, del tufo e del pietrame è il riscontro alla disponibilità dei materiali reperibili nelle immediate vicinanze dei siti bonificati ed in ogni caso, come per l’impiego dei laterizi, la provenienza era localizzata nel territorio di Formia, di Gaeta e di Roma. Anche l’impiego dei materiali locali, se da una parte sfruttava le risorse disponibili creando una stretta correlazione tra l’operato dell’uomo e l’offerta della natura, in molti casi ha determinato lo scempio di suggestivi scenari naturali, offrendo, negli anni a seguire, l’occasione per uno sfruttamento indiscriminato delle risorse. A mo’ di esempio citiamo le gravi deturpazioni arrecate al territorio di Sermoneta, con particolare riferimento alla torre di Monticchio quale testimonianza diretta del mancato rispetto ambientale. Sicuramente ai giorni nostri lo sfruttamento delle risorse avrebbe trovato un approccio meno distruttivo, frutto di una diversa sensibilità verso la tutela dell’ambiente e della natura in generale. Del resto se consideriamo le opere realizzate nell’ambito della bonifica, a prescindere dal significato politico, nel complesso l’operazione doveva essere condotta nel rispetto di alcuni parametri economici frutto del rapporto costi-benefici. Proprio l’aspetto economico, come incidenza per unità di superficie, ha gettato le basi per una ricerca quasi ossessiva del contenimento dei costi per abitazione poderale. Alla iniziale scelta di quattro-cinque poderi tipo è seguita la naturale realizzazione di ben diciotto tipologie, suggerite da esigenze ambientali, non solo di carattere climatico, ma richieste dalla irrinunciabile necessità di assegnare un appezzamento di terreno ed una abitazione per singoli nuclei familiari. La ricerca sistematica della diversificazione architettonica non alterò i conti economici per unità abitativa. Una volta superata l’esigenza di predisporre specifici ricoveri per il foraggio in virtù del clima adatto alla conservazione in spazi aperti, gli elementi accessori alla abitazione rurale si riducono in particolare alla concimaia, al forno, al pollaio, al pozzo con abbeveratoio ed alla latrina esterna. Dalla esigenza di integrare il ciclo produttivo ad uso e consumo del nucleo familiare, in molti poderi al tradizionale pollaio fu affiancato il porcile; ben altra considerazione merita la latrina esterna. Concepita per necessità prettamente igieniche unitamente alla esigenza del contenimento dei costi, trovò la sua collocazione a margine della concimaia, con scarico diretto nella stessa ma priva di acqua corrente, tanto che il sistema adottato, per libera caduta degli escrementi, superava anche questa ultima esigenza. Nel concetto di casa rurale alcune soluzioni adottate rappresentavano quanto di meglio fosse possibile realizzare. La presenza del forno, nella sua razionale e semplice articolazione, tende ad esaltare l’importanza della trasformazione del prodotto principe dell’agro pontino, il frumento, da sempre considerato alla base dell’alimentazione del mondo rurale. Non sfugge un altro elemento caratteristico di alcune tipologie di case coloniche; il comignolo del camino, elemento caratteristico che svetta dalle coperture a tetto e, per la specifica e semplice funzione, costituisce quasi un gioiello dell’arte della prefabbricazione. A prima vista potrebbe sembrare un vezzo architettonico ma nella sostanza assolve perfettamente allo smaltimento dei fumi da tutto il perimetro, superando così l’interferenza dei venti provenienti da qualsiasi direzione. Lo stesso comignolo si erge anche a simbolo del nucleo familiare, raccolto, unito e solidale nei numerosi componenti intorno al sacro camino. Le strutture murarie delle varie tipologie delle case coloniche fanno ricorso a soluzioni comuni generalmente improntate all’impiego di determinanti materiali costruttivi. Nel primo caso il laterizio caratterizza, a ragion veduta, tutta una serie di particolari costruttivi, sostituendo il tufo nelle connessioni strutturali ad angolo retto delle strutture portanti perimetrali e nella riquadratura delle aperture quali porte e finestre. L’impiego del laterizio pieno caratterizza le aperture ad arco spesso presenti come prezioso elemento architettonico. Qualche perplessità, ad una attenta analisi strutturale, nasce dalla osservanza delle murature interne al fabbricato. Qui l’esigenza principe del contenimento dei costi ha suggerito soluzioni semplicistiche, spesso staticamente carenti secondo le nuove tendenze costruttive. Tali strutture, nei casi di minor sollecitazione dei carichi, sono state realizzate in mattoni pieni ad una testa, a volte con mattoni forati detti in gergo “foratoni”, che nulla hanno però in comune con gli analoghi manufatti dei giorni nostri, se non la caratteristica di essere semi vuoti e di presentare uno spessore maggiore. Le fondazioni, sistematicamente realizzate a sacco con l’escavazione manuale della sede e fondate a profondità variabile a seconda della natura del terreno, sono state riempite con pietra calcarea e malta di calce e pozzolana. Tale tipo di muratura spesso costituisce un motivo ornamentale fino al raggiungimento della quota del pavimento al piano terra. Il relativo vespaio, in pietra tufacea o calcarea, completava il sottostante piano al pavimento del piano terra. La muratura in elevazione dal piano terra alla copertura presenta spesso una consistente diversificazione; da una parte troviamo la muratura così detta “alla romana”, costituita da elementi irregolari di tufo, con molta calce e pozzolana e, in senso orizzontale, da ricorsi di mattoni pieni in laterizio per assolvere alla funzione statica della ripartizione dei carichi verticali, dall’altra troviamo la muratura interamente eseguita con mattoni pieni in laterizio e la irrinunciabile malta di calce e pozzolana. Altra caratteristica strutturale è rappresentata dalle tipologie adottate per i solai al primo piano. Qui la fantasia costruttiva, per nulla improntata a cervellotiche soluzioni, ha forse trovato la più libera interpretazione, ricorrendo all’impiego del cemento armato a volte limitato al semplice cordolo di coronamento inserito nelle murature portanti. Tra i solai adottati potremmo citare le seguenti tipologie: a) travi di ferro a doppio T, intervallate di circa un metro, con travelloni in laterizio allettati da una trave all’altra. Il tutto colmato e livellato con malta di cretoni di pozzolana e calce. Il piano così realizzato costituiva il letto di posa del pavimento, rigorosamente in cotto di tenera consistenza. b) travi di ferro a doppio T, intervallati di circa un metro, con voltine di mattoni pieni in sostituzione dei classici tavelloni. Tale soluzione, pregevole sotto l’aspetto architettonico, non ha trovato nel tempo un riferimento degno di alcuna continuità costruttiva, a causa del dispendioso impiego di mano d’opera. c) latero-cemento armato, con travetti del tipo “SAP” posizionati in aderenza gli uni agli altri, poveri di conglomerato cementizio e privi della sovrastante caldana. La soluzione costituiva, da un punto di vista strutturale, la base di partenza per gli attuali solai in latero-cemento. Al primo piano le strutture portanti sono nettamente diversificate. Salve le murature perimetrali, strutturalmente consistenti per motivi di carattere statico, le murature interne al fabbricato denotano chiaramente la volontà di operare economie nell’impiego di materiali ed assolvono la semplice funzione di divisione dei vani abitativi. Del resto la soluzione adottata in copertura prevede un elemento orizzontale comunemente definito “camera a canne”, quasi posto a celare la pregevole soluzione della capriata in legno. La capriata in legno, con tutte le sue componenti accessorie, costituisce l’elemento portante del manto di tegole rigorosamente del tipo “marsigliese”. La camera a canne è letteralmente costituita da canne vegetali essiccate ed integrate, come elemento riempitivo di scarso peso, da un supporto di rete metallica; l’intonaco sommariamente sbruffato e lisciato legava il tutto denunciando ad opera finita, una parvenza di signorile protezione. Non bisogna dimenticare che gran parte dei nuclei familiari trasferiti nell’agro pontino provenivano dal mondo salariale di altre regioni, cioè erano costituiti da mano d’opera generica, dedita ai lavori condotti in periodi ben determinati della stagione agraria, avulsi da ogni cognizione tecnica specifica, tale da non ingenerare nelle masse quel senso di programmata attività legata alla conduzione diretta delle unità poderali. E’ stata una delle maggiori difficoltà sorte di fronte alla assunzione di dirette responsabilità delle attività agricole condotte in prima persona. Quelle che al primo impatto sembravano le condizioni ideali per la conduzione delle unità poderali, vale a dire la casa colonica, il fondo da coltivare, le scorte ed il bestiame, hanno inizialmente disorientato chi doveva assoggettarsi alla cadenza dei raccolti secondo un ciclo inevitabilmente riconducibile alla variazione delle stagioni. La casa colonica, pur concepita nelle sue essenziali articolazioni, era giudicata come semplice riparo, di cui non si coglieva inizialmente il pieno significato della funzione, a causa anche delle ataviche condizioni ambientali da cui spesso provenivano le famiglie insediate nell’agro pontino.Non dimentichiamo che in alcune zone di provenienza queste famiglie vivevano in miseri ripari, dove il problema giornaliero era costituito dalla necessità di procurarsi di che vivere. Questa quasi idillica e non vissuta condizione nell’agro Pontino, prospettata come naturale conquista di un futuro benessere ma estranea all’originaria condizione di vita delle popolazioni trasferite per necessità, creò seri disorientamenti di ambientazione. Tra gli elementi costruttivi più rappresentativi inseriti in alcune tipologie delle abitazioni rurali spiccano, non a caso, due ben caratterizzate figure geometriche: l’arco a semicerchio, tecnicamente definito “a tutto sesto”, realizzato al piano terra, privo di infissi e spesso reiterato in successione per consentire il libero accesso ad una superfice accessoria e la struttura a sostegno delle coperture della abitazione e della stalla rigorosamente di forma triangolare. Il primo, l’arco a semicerchio, ancor oggi perfettamente visibile anche in presenza di profondi rifacimenti, offre all’osservatore l’immediata percezione di un elemento architettonico con funzioni statiche e propone un felice connubio con le linee tese della abitazione rurale, senza assumere la funzione di un elemento decorativo fine a se stesso. Il secondo, la struttura lignea a sostegno delle coperture, costituisce un elemento portante di cui non si coglie l’immediata presenza. Realizzato secondo una perfetta figura geometrica, il triangolo trova il suo equilibrio architettonico nella armonica e razionale integrazione tra le risoluzioni dei nodi di connessione e gli elementi portanti che costituiscono i lati del triangolo. Non sempre valorizzate, le capriate in legno hanno subito l’indifferente considerazione di chi ha ravvisato, nella povertà dei materiali impiegati e nella destinazione rurale del complesso abitativo, una sorta di antico retaggio, sottovalutando spesso l’idea progettuale ed artigianale di una struttura, la capriata, frutto di una razionale e millenaria evoluzione. Come riferimento storico la capriata, pur nella originaria e semplice interpretazione, trova le prime applicazioni, anche se con elementi lapidei a semplice contrasto, nelle tombe etrusche. Successivamente migliorata e reinterpretata con l’uso di materiali diversi, ha trovato razionale applicazione nelle coperture delle chiese di età romana e soprattutto è stata inserita come scelta costruttiva nell’arte Gotica. Possiamo semplicemente dedurre che l’arco e la capriata, pur realizzati con materiali diversi, nella stessa misura assolvono alla necessità di ridurre le spinte laterali sulle murature, razionalizzando e semplificando le sollecitazioni secondo i criteri della semplice compressione. Nella complessa ricerca della architettura della casa rurale, gli elementi strutturali adottati trovano riscontro nella semplicità e nella necessità impellente, già richiamata, di contenere i costi di costruzione nell’ambito delle possibili varianti. Un insieme di fattori hanno così contribuito alla realizzazione di case coloniche prive di inutili ricercatezze costruttive, razionali nelle loro funzioni e perfettamente integrate nell’assetto geometrico del territorio. Ai nostri giorni sono ancora percepibili i caratteri essenziali di questa architettura rurale. E’ vero che i tempi sono cambiati, ma sotto la spinta di nuove realtà economiche indissolubilmente legate alla economia del mondo rurale, gran parte dei fabbricati rurali hanno subito veri e propri stravolgimenti, spesso legati alle carenze di uno strumento urbanistico incapace di formulare i necessari riferimenti per la tutela di un patrimonio che, nel bene e nel male, è parte integrante del nostro territorio. Il risultato a suo tempo è stato apprezzabile; sicuramente dobbiamo fare autocritica per aver trascurato un’idea progettuale in sintonia con la vocazione dei luoghi e per non essere stati capaci di riproporre nuovi modelli alla luce soprattutto delle mutate condizioni economiche. E’ stato commesso l’errore di concepire la casa rurale come pretesa evoluzione della abitazione cittadina, perdendo ogni riferimento, come già detto, al rapporto istintivo tra territorio e popolazione.
Vittorio Di Lembo
Nel complesso degli interventi operati nell’Agro Pontino, l’appoderamento e la costruzione delle nuove città costituirono il maggior intervento edilizio realizzato negli anni Trenta nel Lazio. Anche fuori della nostra nazione si guardava all’edificazione dei nuovi centri nell’ambito dei lavori di bonifica, e l’attenzione nel tempo ha superato, per la stessa natura intellettuale dei personaggi interessati, l’ambito della propaganda del regime dell’epoca. Basti pensare al piano regolatore di Sabaudia affidato ai giovanissimi architetti razionalisti Cancellotti, Montuori, Scalpelli capeggiati da Luigi Piccinato, oppure ai pregevoli incarichi professionali portati a termine dal futurista Angiolo Mazzoni.
Con l’appoderamento l’interesse principale era l’assegnazione di un podere alla sua famiglia e ad ogni famiglia la propria casa. L’abitazione ha sempre rappresentato il mezzo per la conquista della terra: legare l’uomo alla terra significa valorizzare il connubio terra-lavoro con la possibilità di un maggior rendimento economico, parallelamente al riscatto dell’uomo dalla millenaria condizione di inferiorità legata alla insalubrità delle terre. Da qui è nata la necessità di definire e reinventare l’abitazione rurale specifica per la bonifica pontina. La progettazione, si commentò all’epoca, non deve essere riservata ai tecnici dell’abitazione urbana, ma esige soprattutto la conoscenza di altri parametri e per le abitazioni dell’agro pontino fu richiesta la collaborazione anche della classe media. La casa rurale non è quindi la semplificazione della casa cittadina, ma il perfezionamento di una esigenza intesa come necessità del mondo rurale. Nasce, di conseguenza, il concetto di casa rurale come espressione di una sentita aspirazione e nel contesto del rapporto istintivo tra territorio e popolazione. Quello che storicamente poteva costituire il ricovero realizzato con i materiali a portata di mano, con i più poveri elementi forniti dalla natura del luogo, nel sistema costruttivo delle abitazioni dell’Agro Pontino trova un tangibile riscontro nell’uso dei materiali reperibili in loco o nelle immediate vicinanze. L’uso della pozzolana, del tufo e del pietrame è il riscontro alla disponibilità dei materiali reperibili nelle immediate vicinanze dei siti bonificati ed in ogni caso, come per l’impiego dei laterizi, la provenienza era localizzata nel territorio di Formia, di Gaeta e di Roma. Anche l’impiego dei materiali locali, se da una parte sfruttava le risorse disponibili creando una stretta correlazione tra l’operato dell’uomo e l’offerta della natura, in molti casi ha determinato lo scempio di suggestivi scenari naturali, offrendo, negli anni a seguire, l’occasione per uno sfruttamento indiscriminato delle risorse. A mo’ di esempio citiamo le gravi deturpazioni arrecate al territorio di Sermoneta, con particolare riferimento alla torre di Monticchio quale testimonianza diretta del mancato rispetto ambientale. Sicuramente ai giorni nostri lo sfruttamento delle risorse avrebbe trovato un approccio meno distruttivo, frutto di una diversa sensibilità verso la tutela dell’ambiente e della natura in generale. Del resto se consideriamo le opere realizzate nell’ambito della bonifica, a prescindere dal significato politico, nel complesso l’operazione doveva essere condotta nel rispetto di alcuni parametri economici frutto del rapporto costi-benefici. Proprio l’aspetto economico, come incidenza per unità di superficie, ha gettato le basi per una ricerca quasi ossessiva del contenimento dei costi per abitazione poderale. Alla iniziale scelta di quattro-cinque poderi tipo è seguita la naturale realizzazione di ben diciotto tipologie, suggerite da esigenze ambientali, non solo di carattere climatico, ma richieste dalla irrinunciabile necessità di assegnare un appezzamento di terreno ed una abitazione per singoli nuclei familiari. La ricerca sistematica della diversificazione architettonica non alterò i conti economici per unità abitativa. Una volta superata l’esigenza di predisporre specifici ricoveri per il foraggio in virtù del clima adatto alla conservazione in spazi aperti, gli elementi accessori alla abitazione rurale si riducono in particolare alla concimaia, al forno, al pollaio, al pozzo con abbeveratoio ed alla latrina esterna. Dalla esigenza di integrare il ciclo produttivo ad uso e consumo del nucleo familiare, in molti poderi al tradizionale pollaio fu affiancato il porcile; ben altra considerazione merita la latrina esterna. Concepita per necessità prettamente igieniche unitamente alla esigenza del contenimento dei costi, trovò la sua collocazione a margine della concimaia, con scarico diretto nella stessa ma priva di acqua corrente, tanto che il sistema adottato, per libera caduta degli escrementi, superava anche questa ultima esigenza. Nel concetto di casa rurale alcune soluzioni adottate rappresentavano quanto di meglio fosse possibile realizzare. La presenza del forno, nella sua razionale e semplice articolazione, tende ad esaltare l’importanza della trasformazione del prodotto principe dell’agro pontino, il frumento, da sempre considerato alla base dell’alimentazione del mondo rurale. Non sfugge un altro elemento caratteristico di alcune tipologie di case coloniche; il comignolo del camino, elemento caratteristico che svetta dalle coperture a tetto e, per la specifica e semplice funzione, costituisce quasi un gioiello dell’arte della prefabbricazione. A prima vista potrebbe sembrare un vezzo architettonico ma nella sostanza assolve perfettamente allo smaltimento dei fumi da tutto il perimetro, superando così l’interferenza dei venti provenienti da qualsiasi direzione. Lo stesso comignolo si erge anche a simbolo del nucleo familiare, raccolto, unito e solidale nei numerosi componenti intorno al sacro camino. Le strutture murarie delle varie tipologie delle case coloniche fanno ricorso a soluzioni comuni generalmente improntate all’impiego di determinanti materiali costruttivi. Nel primo caso il laterizio caratterizza, a ragion veduta, tutta una serie di particolari costruttivi, sostituendo il tufo nelle connessioni strutturali ad angolo retto delle strutture portanti perimetrali e nella riquadratura delle aperture quali porte e finestre. L’impiego del laterizio pieno caratterizza le aperture ad arco spesso presenti come prezioso elemento architettonico. Qualche perplessità, ad una attenta analisi strutturale, nasce dalla osservanza delle murature interne al fabbricato. Qui l’esigenza principe del contenimento dei costi ha suggerito soluzioni semplicistiche, spesso staticamente carenti secondo le nuove tendenze costruttive. Tali strutture, nei casi di minor sollecitazione dei carichi, sono state realizzate in mattoni pieni ad una testa, a volte con mattoni forati detti in gergo “foratoni”, che nulla hanno però in comune con gli analoghi manufatti dei giorni nostri, se non la caratteristica di essere semi vuoti e di presentare uno spessore maggiore. Le fondazioni, sistematicamente realizzate a sacco con l’escavazione manuale della sede e fondate a profondità variabile a seconda della natura del terreno, sono state riempite con pietra calcarea e malta di calce e pozzolana. Tale tipo di muratura spesso costituisce un motivo ornamentale fino al raggiungimento della quota del pavimento al piano terra. Il relativo vespaio, in pietra tufacea o calcarea, completava il sottostante piano al pavimento del piano terra. La muratura in elevazione dal piano terra alla copertura presenta spesso una consistente diversificazione; da una parte troviamo la muratura così detta “alla romana”, costituita da elementi irregolari di tufo, con molta calce e pozzolana e, in senso orizzontale, da ricorsi di mattoni pieni in laterizio per assolvere alla funzione statica della ripartizione dei carichi verticali, dall’altra troviamo la muratura interamente eseguita con mattoni pieni in laterizio e la irrinunciabile malta di calce e pozzolana. Altra caratteristica strutturale è rappresentata dalle tipologie adottate per i solai al primo piano. Qui la fantasia costruttiva, per nulla improntata a cervellotiche soluzioni, ha forse trovato la più libera interpretazione, ricorrendo all’impiego del cemento armato a volte limitato al semplice cordolo di coronamento inserito nelle murature portanti. Tra i solai adottati potremmo citare le seguenti tipologie: a) travi di ferro a doppio T, intervallate di circa un metro, con travelloni in laterizio allettati da una trave all’altra. Il tutto colmato e livellato con malta di cretoni di pozzolana e calce. Il piano così realizzato costituiva il letto di posa del pavimento, rigorosamente in cotto di tenera consistenza. b) travi di ferro a doppio T, intervallati di circa un metro, con voltine di mattoni pieni in sostituzione dei classici tavelloni. Tale soluzione, pregevole sotto l’aspetto architettonico, non ha trovato nel tempo un riferimento degno di alcuna continuità costruttiva, a causa del dispendioso impiego di mano d’opera. c) latero-cemento armato, con travetti del tipo “SAP” posizionati in aderenza gli uni agli altri, poveri di conglomerato cementizio e privi della sovrastante caldana. La soluzione costituiva, da un punto di vista strutturale, la base di partenza per gli attuali solai in latero-cemento. Al primo piano le strutture portanti sono nettamente diversificate. Salve le murature perimetrali, strutturalmente consistenti per motivi di carattere statico, le murature interne al fabbricato denotano chiaramente la volontà di operare economie nell’impiego di materiali ed assolvono la semplice funzione di divisione dei vani abitativi. Del resto la soluzione adottata in copertura prevede un elemento orizzontale comunemente definito “camera a canne”, quasi posto a celare la pregevole soluzione della capriata in legno. La capriata in legno, con tutte le sue componenti accessorie, costituisce l’elemento portante del manto di tegole rigorosamente del tipo “marsigliese”. La camera a canne è letteralmente costituita da canne vegetali essiccate ed integrate, come elemento riempitivo di scarso peso, da un supporto di rete metallica; l’intonaco sommariamente sbruffato e lisciato legava il tutto denunciando ad opera finita, una parvenza di signorile protezione. Non bisogna dimenticare che gran parte dei nuclei familiari trasferiti nell’agro pontino provenivano dal mondo salariale di altre regioni, cioè erano costituiti da mano d’opera generica, dedita ai lavori condotti in periodi ben determinati della stagione agraria, avulsi da ogni cognizione tecnica specifica, tale da non ingenerare nelle masse quel senso di programmata attività legata alla conduzione diretta delle unità poderali. E’ stata una delle maggiori difficoltà sorte di fronte alla assunzione di dirette responsabilità delle attività agricole condotte in prima persona. Quelle che al primo impatto sembravano le condizioni ideali per la conduzione delle unità poderali, vale a dire la casa colonica, il fondo da coltivare, le scorte ed il bestiame, hanno inizialmente disorientato chi doveva assoggettarsi alla cadenza dei raccolti secondo un ciclo inevitabilmente riconducibile alla variazione delle stagioni. La casa colonica, pur concepita nelle sue essenziali articolazioni, era giudicata come semplice riparo, di cui non si coglieva inizialmente il pieno significato della funzione, a causa anche delle ataviche condizioni ambientali da cui spesso provenivano le famiglie insediate nell’agro pontino.Non dimentichiamo che in alcune zone di provenienza queste famiglie vivevano in miseri ripari, dove il problema giornaliero era costituito dalla necessità di procurarsi di che vivere. Questa quasi idillica e non vissuta condizione nell’agro Pontino, prospettata come naturale conquista di un futuro benessere ma estranea all’originaria condizione di vita delle popolazioni trasferite per necessità, creò seri disorientamenti di ambientazione. Tra gli elementi costruttivi più rappresentativi inseriti in alcune tipologie delle abitazioni rurali spiccano, non a caso, due ben caratterizzate figure geometriche: l’arco a semicerchio, tecnicamente definito “a tutto sesto”, realizzato al piano terra, privo di infissi e spesso reiterato in successione per consentire il libero accesso ad una superfice accessoria e la struttura a sostegno delle coperture della abitazione e della stalla rigorosamente di forma triangolare. Il primo, l’arco a semicerchio, ancor oggi perfettamente visibile anche in presenza di profondi rifacimenti, offre all’osservatore l’immediata percezione di un elemento architettonico con funzioni statiche e propone un felice connubio con le linee tese della abitazione rurale, senza assumere la funzione di un elemento decorativo fine a se stesso. Il secondo, la struttura lignea a sostegno delle coperture, costituisce un elemento portante di cui non si coglie l’immediata presenza. Realizzato secondo una perfetta figura geometrica, il triangolo trova il suo equilibrio architettonico nella armonica e razionale integrazione tra le risoluzioni dei nodi di connessione e gli elementi portanti che costituiscono i lati del triangolo. Non sempre valorizzate, le capriate in legno hanno subito l’indifferente considerazione di chi ha ravvisato, nella povertà dei materiali impiegati e nella destinazione rurale del complesso abitativo, una sorta di antico retaggio, sottovalutando spesso l’idea progettuale ed artigianale di una struttura, la capriata, frutto di una razionale e millenaria evoluzione. Come riferimento storico la capriata, pur nella originaria e semplice interpretazione, trova le prime applicazioni, anche se con elementi lapidei a semplice contrasto, nelle tombe etrusche. Successivamente migliorata e reinterpretata con l’uso di materiali diversi, ha trovato razionale applicazione nelle coperture delle chiese di età romana e soprattutto è stata inserita come scelta costruttiva nell’arte Gotica. Possiamo semplicemente dedurre che l’arco e la capriata, pur realizzati con materiali diversi, nella stessa misura assolvono alla necessità di ridurre le spinte laterali sulle murature, razionalizzando e semplificando le sollecitazioni secondo i criteri della semplice compressione. Nella complessa ricerca della architettura della casa rurale, gli elementi strutturali adottati trovano riscontro nella semplicità e nella necessità impellente, già richiamata, di contenere i costi di costruzione nell’ambito delle possibili varianti. Un insieme di fattori hanno così contribuito alla realizzazione di case coloniche prive di inutili ricercatezze costruttive, razionali nelle loro funzioni e perfettamente integrate nell’assetto geometrico del territorio. Ai nostri giorni sono ancora percepibili i caratteri essenziali di questa architettura rurale. E’ vero che i tempi sono cambiati, ma sotto la spinta di nuove realtà economiche indissolubilmente legate alla economia del mondo rurale, gran parte dei fabbricati rurali hanno subito veri e propri stravolgimenti, spesso legati alle carenze di uno strumento urbanistico incapace di formulare i necessari riferimenti per la tutela di un patrimonio che, nel bene e nel male, è parte integrante del nostro territorio. Il risultato a suo tempo è stato apprezzabile; sicuramente dobbiamo fare autocritica per aver trascurato un’idea progettuale in sintonia con la vocazione dei luoghi e per non essere stati capaci di riproporre nuovi modelli alla luce soprattutto delle mutate condizioni economiche. E’ stato commesso l’errore di concepire la casa rurale come pretesa evoluzione della abitazione cittadina, perdendo ogni riferimento, come già detto, al rapporto istintivo tra territorio e popolazione.
Vittorio Di Lembo
Nel complesso degli interventi operati nell’Agro Pontino, l’appoderamento e la costruzione delle nuove città costituirono il maggior intervento edilizio realizzato negli anni Trenta nel Lazio. Anche fuori della nostra nazione si guardava all’edificazione dei nuovi centri nell’ambito dei lavori di bonifica, e l’attenzione nel tempo ha superato, per la stessa natura intellettuale dei personaggi interessati, l’ambito della propaganda del regime dell’epoca. Basti pensare al piano regolatore di Sabaudia affidato ai giovanissimi architetti razionalisti Cancellotti, Montuori, Scalpelli capeggiati da Luigi Piccinato, oppure ai pregevoli incarichi professionali portati a termine dal futurista Angiolo Mazzoni.
Con l’appoderamento l’interesse principale era l’assegnazione di un podere alla sua famiglia e ad ogni famiglia la propria casa. L’abitazione ha sempre rappresentato il mezzo per la conquista della terra: legare l’uomo alla terra significa valorizzare il connubio terra-lavoro con la possibilità di un maggior rendimento economico, parallelamente al riscatto dell’uomo dalla millenaria condizione di inferiorità legata alla insalubrità delle terre. Da qui è nata la necessità di definire e reinventare l’abitazione rurale specifica per la bonifica pontina. La progettazione, si commentò all’epoca, non deve essere riservata ai tecnici dell’abitazione urbana, ma esige soprattutto la conoscenza di altri parametri e per le abitazioni dell’agro pontino fu richiesta la collaborazione anche della classe media. La casa rurale non è quindi la semplificazione della casa cittadina, ma il perfezionamento di una esigenza intesa come necessità del mondo rurale. Nasce, di conseguenza, il concetto di casa rurale come espressione di una sentita aspirazione e nel contesto del rapporto istintivo tra territorio e popolazione. Quello che storicamente poteva costituire il ricovero realizzato con i materiali a portata di mano, con i più poveri elementi forniti dalla natura del luogo, nel sistema costruttivo delle abitazioni dell’Agro Pontino trova un tangibile riscontro nell’uso dei materiali reperibili in loco o nelle immediate vicinanze. L’uso della pozzolana, del tufo e del pietrame è il riscontro alla disponibilità dei materiali reperibili nelle immediate vicinanze dei siti bonificati ed in ogni caso, come per l’impiego dei laterizi, la provenienza era localizzata nel territorio di Formia, di Gaeta e di Roma. Anche l’impiego dei materiali locali, se da una parte sfruttava le risorse disponibili creando una stretta correlazione tra l’operato dell’uomo e l’offerta della natura, in molti casi ha determinato lo scempio di suggestivi scenari naturali, offrendo, negli anni a seguire, l’occasione per uno sfruttamento indiscriminato delle risorse. A mo’ di esempio citiamo le gravi deturpazioni arrecate al territorio di Sermoneta, con particolare riferimento alla torre di Monticchio quale testimonianza diretta del mancato rispetto ambientale. Sicuramente ai giorni nostri lo sfruttamento delle risorse avrebbe trovato un approccio meno distruttivo, frutto di una diversa sensibilità verso la tutela dell’ambiente e della natura in generale. Del resto se consideriamo le opere realizzate nell’ambito della bonifica, a prescindere dal significato politico, nel complesso l’operazione doveva essere condotta nel rispetto di alcuni parametri economici frutto del rapporto costi-benefici. Proprio l’aspetto economico, come incidenza per unità di superficie, ha gettato le basi per una ricerca quasi ossessiva del contenimento dei costi per abitazione poderale. Alla iniziale scelta di quattro-cinque poderi tipo è seguita la naturale realizzazione di ben diciotto tipologie, suggerite da esigenze ambientali, non solo di carattere climatico, ma richieste dalla irrinunciabile necessità di assegnare un appezzamento di terreno ed una abitazione per singoli nuclei familiari. La ricerca sistematica della diversificazione architettonica non alterò i conti economici per unità abitativa. Una volta superata l’esigenza di predisporre specifici ricoveri per il foraggio in virtù del clima adatto alla conservazione in spazi aperti, gli elementi accessori alla abitazione rurale si riducono in particolare alla concimaia, al forno, al pollaio, al pozzo con abbeveratoio ed alla latrina esterna. Dalla esigenza di integrare il ciclo produttivo ad uso e consumo del nucleo familiare, in molti poderi al tradizionale pollaio fu affiancato il porcile; ben altra considerazione merita la latrina esterna. Concepita per necessità prettamente igieniche unitamente alla esigenza del contenimento dei costi, trovò la sua collocazione a margine della concimaia, con scarico diretto nella stessa ma priva di acqua corrente, tanto che il sistema adottato, per libera caduta degli escrementi, superava anche questa ultima esigenza. Nel concetto di casa rurale alcune soluzioni adottate rappresentavano quanto di meglio fosse possibile realizzare. La presenza del forno, nella sua razionale e semplice articolazione, tende ad esaltare l’importanza della trasformazione del prodotto principe dell’agro pontino, il frumento, da sempre considerato alla base dell’alimentazione del mondo rurale. Non sfugge un altro elemento caratteristico di alcune tipologie di case coloniche; il comignolo del camino, elemento caratteristico che svetta dalle coperture a tetto e, per la specifica e semplice funzione, costituisce quasi un gioiello dell’arte della prefabbricazione. A prima vista potrebbe sembrare un vezzo architettonico ma nella sostanza assolve perfettamente allo smaltimento dei fumi da tutto il perimetro, superando così l’interferenza dei venti provenienti da qualsiasi direzione. Lo stesso comignolo si erge anche a simbolo del nucleo familiare, raccolto, unito e solidale nei numerosi componenti intorno al sacro camino. Le strutture murarie delle varie tipologie delle case coloniche fanno ricorso a soluzioni comuni generalmente improntate all’impiego di determinanti materiali costruttivi. Nel primo caso il laterizio caratterizza, a ragion veduta, tutta una serie di particolari costruttivi, sostituendo il tufo nelle connessioni strutturali ad angolo retto delle strutture portanti perimetrali e nella riquadratura delle aperture quali porte e finestre. L’impiego del laterizio pieno caratterizza le aperture ad arco spesso presenti come prezioso elemento architettonico. Qualche perplessità, ad una attenta analisi strutturale, nasce dalla osservanza delle murature interne al fabbricato. Qui l’esigenza principe del contenimento dei costi ha suggerito soluzioni semplicistiche, spesso staticamente carenti secondo le nuove tendenze costruttive. Tali strutture, nei casi di minor sollecitazione dei carichi, sono state realizzate in mattoni pieni ad una testa, a volte con mattoni forati detti in gergo “foratoni”, che nulla hanno però in comune con gli analoghi manufatti dei giorni nostri, se non la caratteristica di essere semi vuoti e di presentare uno spessore maggiore. Le fondazioni, sistematicamente realizzate a sacco con l’escavazione manuale della sede e fondate a profondità variabile a seconda della natura del terreno, sono state riempite con pietra calcarea e malta di calce e pozzolana. Tale tipo di muratura spesso costituisce un motivo ornamentale fino al raggiungimento della quota del pavimento al piano terra. Il relativo vespaio, in pietra tufacea o calcarea, completava il sottostante piano al pavimento del piano terra. La muratura in elevazione dal piano terra alla copertura presenta spesso una consistente diversificazione; da una parte troviamo la muratura così detta “alla romana”, costituita da elementi irregolari di tufo, con molta calce e pozzolana e, in senso orizzontale, da ricorsi di mattoni pieni in laterizio per assolvere alla funzione statica della ripartizione dei carichi verticali, dall’altra troviamo la muratura interamente eseguita con mattoni pieni in laterizio e la irrinunciabile malta di calce e pozzolana. Altra caratteristica strutturale è rappresentata dalle tipologie adottate per i solai al primo piano. Qui la fantasia costruttiva, per nulla improntata a cervellotiche soluzioni, ha forse trovato la più libera interpretazione, ricorrendo all’impiego del cemento armato a volte limitato al semplice cordolo di coronamento inserito nelle murature portanti. Tra i solai adottati potremmo citare le seguenti tipologie: a) travi di ferro a doppio T, intervallate di circa un metro, con travelloni in laterizio allettati da una trave all’altra. Il tutto colmato e livellato con malta di cretoni di pozzolana e calce. Il piano così realizzato costituiva il letto di posa del pavimento, rigorosamente in cotto di tenera consistenza. b) travi di ferro a doppio T, intervallati di circa un metro, con voltine di mattoni pieni in sostituzione dei classici tavelloni. Tale soluzione, pregevole sotto l’aspetto architettonico, non ha trovato nel tempo un riferimento degno di alcuna continuità costruttiva, a causa del dispendioso impiego di mano d’opera. c) latero-cemento armato, con travetti del tipo “SAP” posizionati in aderenza gli uni agli altri, poveri di conglomerato cementizio e privi della sovrastante caldana. La soluzione costituiva, da un punto di vista strutturale, la base di partenza per gli attuali solai in latero-cemento. Al primo piano le strutture portanti sono nettamente diversificate. Salve le murature perimetrali, strutturalmente consistenti per motivi di carattere statico, le murature interne al fabbricato denotano chiaramente la volontà di operare economie nell’impiego di materiali ed assolvono la semplice funzione di divisione dei vani abitativi. Del resto la soluzione adottata in copertura prevede un elemento orizzontale comunemente definito “camera a canne”, quasi posto a celare la pregevole soluzione della capriata in legno. La capriata in legno, con tutte le sue componenti accessorie, costituisce l’elemento portante del manto di tegole rigorosamente del tipo “marsigliese”. La camera a canne è letteralmente costituita da canne vegetali essiccate ed integrate, come elemento riempitivo di scarso peso, da un supporto di rete metallica; l’intonaco sommariamente sbruffato e lisciato legava il tutto denunciando ad opera finita, una parvenza di signorile protezione. Non bisogna dimenticare che gran parte dei nuclei familiari trasferiti nell’agro pontino provenivano dal mondo salariale di altre regioni, cioè erano costituiti da mano d’opera generica, dedita ai lavori condotti in periodi ben determinati della stagione agraria, avulsi da ogni cognizione tecnica specifica, tale da non ingenerare nelle masse quel senso di programmata attività legata alla conduzione diretta delle unità poderali. E’ stata una delle maggiori difficoltà sorte di fronte alla assunzione di dirette responsabilità delle attività agricole condotte in prima persona. Quelle che al primo impatto sembravano le condizioni ideali per la conduzione delle unità poderali, vale a dire la casa colonica, il fondo da coltivare, le scorte ed il bestiame, hanno inizialmente disorientato chi doveva assoggettarsi alla cadenza dei raccolti secondo un ciclo inevitabilmente riconducibile alla variazione delle stagioni. La casa colonica, pur concepita nelle sue essenziali articolazioni, era giudicata come semplice riparo, di cui non si coglieva inizialmente il pieno significato della funzione, a causa anche delle ataviche condizioni ambientali da cui spesso provenivano le famiglie insediate nell’agro pontino.Non dimentichiamo che in alcune zone di provenienza queste famiglie vivevano in miseri ripari, dove il problema giornaliero era costituito dalla necessità di procurarsi di che vivere. Questa quasi idillica e non vissuta condizione nell’agro Pontino, prospettata come naturale conquista di un futuro benessere ma estranea all’originaria condizione di vita delle popolazioni trasferite per necessità, creò seri disorientamenti di ambientazione. Tra gli elementi costruttivi più rappresentativi inseriti in alcune tipologie delle abitazioni rurali spiccano, non a caso, due ben caratterizzate figure geometriche: l’arco a semicerchio, tecnicamente definito “a tutto sesto”, realizzato al piano terra, privo di infissi e spesso reiterato in successione per consentire il libero accesso ad una superfice accessoria e la struttura a sostegno delle coperture della abitazione e della stalla rigorosamente di forma triangolare. Il primo, l’arco a semicerchio, ancor oggi perfettamente visibile anche in presenza di profondi rifacimenti, offre all’osservatore l’immediata percezione di un elemento architettonico con funzioni statiche e propone un felice connubio con le linee tese della abitazione rurale, senza assumere la funzione di un elemento decorativo fine a se stesso. Il secondo, la struttura lignea a sostegno delle coperture, costituisce un elemento portante di cui non si coglie l’immediata presenza. Realizzato secondo una perfetta figura geometrica, il triangolo trova il suo equilibrio architettonico nella armonica e razionale integrazione tra le risoluzioni dei nodi di connessione e gli elementi portanti che costituiscono i lati del triangolo. Non sempre valorizzate, le capriate in legno hanno subito l’indifferente considerazione di chi ha ravvisato, nella povertà dei materiali impiegati e nella destinazione rurale del complesso abitativo, una sorta di antico retaggio, sottovalutando spesso l’idea progettuale ed artigianale di una struttura, la capriata, frutto di una razionale e millenaria evoluzione. Come riferimento storico la capriata, pur nella originaria e semplice interpretazione, trova le prime applicazioni, anche se con elementi lapidei a semplice contrasto, nelle tombe etrusche. Successivamente migliorata e reinterpretata con l’uso di materiali diversi, ha trovato razionale applicazione nelle coperture delle chiese di età romana e soprattutto è stata inserita come scelta costruttiva nell’arte Gotica. Possiamo semplicemente dedurre che l’arco e la capriata, pur realizzati con materiali diversi, nella stessa misura assolvono alla necessità di ridurre le spinte laterali sulle murature, razionalizzando e semplificando le sollecitazioni secondo i criteri della semplice compressione. Nella complessa ricerca della architettura della casa rurale, gli elementi strutturali adottati trovano riscontro nella semplicità e nella necessità impellente, già richiamata, di contenere i costi di costruzione nell’ambito delle possibili varianti. Un insieme di fattori hanno così contribuito alla realizzazione di case coloniche prive di inutili ricercatezze costruttive, razionali nelle loro funzioni e perfettamente integrate nell’assetto geometrico del territorio. Ai nostri giorni sono ancora percepibili i caratteri essenziali di questa architettura rurale. E’ vero che i tempi sono cambiati, ma sotto la spinta di nuove realtà economiche indissolubilmente legate alla economia del mondo rurale, gran parte dei fabbricati rurali hanno subito veri e propri stravolgimenti, spesso legati alle carenze di uno strumento urbanistico incapace di formulare i necessari riferimenti per la tutela di un patrimonio che, nel bene e nel male, è parte integrante del nostro territorio. Il risultato a suo tempo è stato apprezzabile; sicuramente dobbiamo fare autocritica per aver trascurato un’idea progettuale in sintonia con la vocazione dei luoghi e per non essere stati capaci di riproporre nuovi modelli alla luce soprattutto delle mutate condizioni economiche. E’ stato commesso l’errore di concepire la casa rurale come pretesa evoluzione della abitazione cittadina, perdendo ogni riferimento, come già detto, al rapporto istintivo tra territorio e popolazione.
Vittorio Di Lembo
Nel complesso degli interventi operati nell’Agro Pontino, l’appoderamento e la costruzione delle nuove città costituirono il maggior intervento edilizio realizzato negli anni Trenta nel Lazio. Anche fuori della nostra nazione si guardava all’edificazione dei nuovi centri nell’ambito dei lavori di bonifica, e l’attenzione nel tempo ha superato, per la stessa natura intellettuale dei personaggi interessati, l’ambito della propaganda del regime dell’epoca. Basti pensare al piano regolatore di Sabaudia affidato ai giovanissimi architetti razionalisti Cancellotti, Montuori, Scalpelli capeggiati da Luigi Piccinato, oppure ai pregevoli incarichi professionali portati a termine dal futurista Angiolo Mazzoni.
Con l’appoderamento l’interesse principale era l’assegnazione di un podere alla sua famiglia e ad ogni famiglia la propria casa. L’abitazione ha sempre rappresentato il mezzo per la conquista della terra: legare l’uomo alla terra significa valorizzare il connubio terra-lavoro con la possibilità di un maggior rendimento economico, parallelamente al riscatto dell’uomo dalla millenaria condizione di inferiorità legata alla insalubrità delle terre. Da qui è nata la necessità di definire e reinventare l’abitazione rurale specifica per la bonifica pontina. La progettazione, si commentò all’epoca, non deve essere riservata ai tecnici dell’abitazione urbana, ma esige soprattutto la conoscenza di altri parametri e per le abitazioni dell’agro pontino fu richiesta la collaborazione anche della classe media. La casa rurale non è quindi la semplificazione della casa cittadina, ma il perfezionamento di una esigenza intesa come necessità del mondo rurale. Nasce, di conseguenza, il concetto di casa rurale come espressione di una sentita aspirazione e nel contesto del rapporto istintivo tra territorio e popolazione. Quello che storicamente poteva costituire il ricovero realizzato con i materiali a portata di mano, con i più poveri elementi forniti dalla natura del luogo, nel sistema costruttivo delle abitazioni dell’Agro Pontino trova un tangibile riscontro nell’uso dei materiali reperibili in loco o nelle immediate vicinanze. L’uso della pozzolana, del tufo e del pietrame è il riscontro alla disponibilità dei materiali reperibili nelle immediate vicinanze dei siti bonificati ed in ogni caso, come per l’impiego dei laterizi, la provenienza era localizzata nel territorio di Formia, di Gaeta e di Roma. Anche l’impiego dei materiali locali, se da una parte sfruttava le risorse disponibili creando una stretta correlazione tra l’operato dell’uomo e l’offerta della natura, in molti casi ha determinato lo scempio di suggestivi scenari naturali, offrendo, negli anni a seguire, l’occasione per uno sfruttamento indiscriminato delle risorse. A mo’ di esempio citiamo le gravi deturpazioni arrecate al territorio di Sermoneta, con particolare riferimento alla torre di Monticchio quale testimonianza diretta del mancato rispetto ambientale. Sicuramente ai giorni nostri lo sfruttamento delle risorse avrebbe trovato un approccio meno distruttivo, frutto di una diversa sensibilità verso la tutela dell’ambiente e della natura in generale. Del resto se consideriamo le opere realizzate nell’ambito della bonifica, a prescindere dal significato politico, nel complesso l’operazione doveva essere condotta nel rispetto di alcuni parametri economici frutto del rapporto costi-benefici. Proprio l’aspetto economico, come incidenza per unità di superficie, ha gettato le basi per una ricerca quasi ossessiva del contenimento dei costi per abitazione poderale. Alla iniziale scelta di quattro-cinque poderi tipo è seguita la naturale realizzazione di ben diciotto tipologie, suggerite da esigenze ambientali, non solo di carattere climatico, ma richieste dalla irrinunciabile necessità di assegnare un appezzamento di terreno ed una abitazione per singoli nuclei familiari. La ricerca sistematica della diversificazione architettonica non alterò i conti economici per unità abitativa. Una volta superata l’esigenza di predisporre specifici ricoveri per il foraggio in virtù del clima adatto alla conservazione in spazi aperti, gli elementi accessori alla abitazione rurale si riducono in particolare alla concimaia, al forno, al pollaio, al pozzo con abbeveratoio ed alla latrina esterna. Dalla esigenza di integrare il ciclo produttivo ad uso e consumo del nucleo familiare, in molti poderi al tradizionale pollaio fu affiancato il porcile; ben altra considerazione merita la latrina esterna. Concepita per necessità prettamente igieniche unitamente alla esigenza del contenimento dei costi, trovò la sua collocazione a margine della concimaia, con scarico diretto nella stessa ma priva di acqua corrente, tanto che il sistema adottato, per libera caduta degli escrementi, superava anche questa ultima esigenza. Nel concetto di casa rurale alcune soluzioni adottate rappresentavano quanto di meglio fosse possibile realizzare. La presenza del forno, nella sua razionale e semplice articolazione, tende ad esaltare l’importanza della trasformazione del prodotto principe dell’agro pontino, il frumento, da sempre considerato alla base dell’alimentazione del mondo rurale. Non sfugge un altro elemento caratteristico di alcune tipologie di case coloniche; il comignolo del camino, elemento caratteristico che svetta dalle coperture a tetto e, per la specifica e semplice funzione, costituisce quasi un gioiello dell’arte della prefabbricazione. A prima vista potrebbe sembrare un vezzo architettonico ma nella sostanza assolve perfettamente allo smaltimento dei fumi da tutto il perimetro, superando così l’interferenza dei venti provenienti da qualsiasi direzione. Lo stesso comignolo si erge anche a simbolo del nucleo familiare, raccolto, unito e solidale nei numerosi componenti intorno al sacro camino. Le strutture murarie delle varie tipologie delle case coloniche fanno ricorso a soluzioni comuni generalmente improntate all’impiego di determinanti materiali costruttivi. Nel primo caso il laterizio caratterizza, a ragion veduta, tutta una serie di particolari costruttivi, sostituendo il tufo nelle connessioni strutturali ad angolo retto delle strutture portanti perimetrali e nella riquadratura delle aperture quali porte e finestre. L’impiego del laterizio pieno caratterizza le aperture ad arco spesso presenti come prezioso elemento architettonico. Qualche perplessità, ad una attenta analisi strutturale, nasce dalla osservanza delle murature interne al fabbricato. Qui l’esigenza principe del contenimento dei costi ha suggerito soluzioni semplicistiche, spesso staticamente carenti secondo le nuove tendenze costruttive. Tali strutture, nei casi di minor sollecitazione dei carichi, sono state realizzate in mattoni pieni ad una testa, a volte con mattoni forati detti in gergo “foratoni”, che nulla hanno però in comune con gli analoghi manufatti dei giorni nostri, se non la caratteristica di essere semi vuoti e di presentare uno spessore maggiore. Le fondazioni, sistematicamente realizzate a sacco con l’escavazione manuale della sede e fondate a profondità variabile a seconda della natura del terreno, sono state riempite con pietra calcarea e malta di calce e pozzolana. Tale tipo di muratura spesso costituisce un motivo ornamentale fino al raggiungimento della quota del pavimento al piano terra. Il relativo vespaio, in pietra tufacea o calcarea, completava il sottostante piano al pavimento del piano terra. La muratura in elevazione dal piano terra alla copertura presenta spesso una consistente diversificazione; da una parte troviamo la muratura così detta “alla romana”, costituita da elementi irregolari di tufo, con molta calce e pozzolana e, in senso orizzontale, da ricorsi di mattoni pieni in laterizio per assolvere alla funzione statica della ripartizione dei carichi verticali, dall’altra troviamo la muratura interamente eseguita con mattoni pieni in laterizio e la irrinunciabile malta di calce e pozzolana. Altra caratteristica strutturale è rappresentata dalle tipologie adottate per i solai al primo piano. Qui la fantasia costruttiva, per nulla improntata a cervellotiche soluzioni, ha forse trovato la più libera interpretazione, ricorrendo all’impiego del cemento armato a volte limitato al semplice cordolo di coronamento inserito nelle murature portanti. Tra i solai adottati potremmo citare le seguenti tipologie: a) travi di ferro a doppio T, intervallate di circa un metro, con travelloni in laterizio allettati da una trave all’altra. Il tutto colmato e livellato con malta di cretoni di pozzolana e calce. Il piano così realizzato costituiva il letto di posa del pavimento, rigorosamente in cotto di tenera consistenza. b) travi di ferro a doppio T, intervallati di circa un metro, con voltine di mattoni pieni in sostituzione dei classici tavelloni. Tale soluzione, pregevole sotto l’aspetto architettonico, non ha trovato nel tempo un riferimento degno di alcuna continuità costruttiva, a causa del dispendioso impiego di mano d’opera. c) latero-cemento armato, con travetti del tipo “SAP” posizionati in aderenza gli uni agli altri, poveri di conglomerato cementizio e privi della sovrastante caldana. La soluzione costituiva, da un punto di vista strutturale, la base di partenza per gli attuali solai in latero-cemento. Al primo piano le strutture portanti sono nettamente diversificate. Salve le murature perimetrali, strutturalmente consistenti per motivi di carattere statico, le murature interne al fabbricato denotano chiaramente la volontà di operare economie nell’impiego di materiali ed assolvono la semplice funzione di divisione dei vani abitativi. Del resto la soluzione adottata in copertura prevede un elemento orizzontale comunemente definito “camera a canne”, quasi posto a celare la pregevole soluzione della capriata in legno. La capriata in legno, con tutte le sue componenti accessorie, costituisce l’elemento portante del manto di tegole rigorosamente del tipo “marsigliese”. La camera a canne è letteralmente costituita da canne vegetali essiccate ed integrate, come elemento riempitivo di scarso peso, da un supporto di rete metallica; l’intonaco sommariamente sbruffato e lisciato legava il tutto denunciando ad opera finita, una parvenza di signorile protezione. Non bisogna dimenticare che gran parte dei nuclei familiari trasferiti nell’agro pontino provenivano dal mondo salariale di altre regioni, cioè erano costituiti da mano d’opera generica, dedita ai lavori condotti in periodi ben determinati della stagione agraria, avulsi da ogni cognizione tecnica specifica, tale da non ingenerare nelle masse quel senso di programmata attività legata alla conduzione diretta delle unità poderali. E’ stata una delle maggiori difficoltà sorte di fronte alla assunzione di dirette responsabilità delle attività agricole condotte in prima persona. Quelle che al primo impatto sembravano le condizioni ideali per la conduzione delle unità poderali, vale a dire la casa colonica, il fondo da coltivare, le scorte ed il bestiame, hanno inizialmente disorientato chi doveva assoggettarsi alla cadenza dei raccolti secondo un ciclo inevitabilmente riconducibile alla variazione delle stagioni. La casa colonica, pur concepita nelle sue essenziali articolazioni, era giudicata come semplice riparo, di cui non si coglieva inizialmente il pieno significato della funzione, a causa anche delle ataviche condizioni ambientali da cui spesso provenivano le famiglie insediate nell’agro pontino.Non dimentichiamo che in alcune zone di provenienza queste famiglie vivevano in miseri ripari, dove il problema giornaliero era costituito dalla necessità di procurarsi di che vivere. Questa quasi idillica e non vissuta condizione nell’agro Pontino, prospettata come naturale conquista di un futuro benessere ma estranea all’originaria condizione di vita delle popolazioni trasferite per necessità, creò seri disorientamenti di ambientazione. Tra gli elementi costruttivi più rappresentativi inseriti in alcune tipologie delle abitazioni rurali spiccano, non a caso, due ben caratterizzate figure geometriche: l’arco a semicerchio, tecnicamente definito “a tutto sesto”, realizzato al piano terra, privo di infissi e spesso reiterato in successione per consentire il libero accesso ad una superfice accessoria e la struttura a sostegno delle coperture della abitazione e della stalla rigorosamente di forma triangolare. Il primo, l’arco a semicerchio, ancor oggi perfettamente visibile anche in presenza di profondi rifacimenti, offre all’osservatore l’immediata percezione di un elemento architettonico con funzioni statiche e propone un felice connubio con le linee tese della abitazione rurale, senza assumere la funzione di un elemento decorativo fine a se stesso. Il secondo, la struttura lignea a sostegno delle coperture, costituisce un elemento portante di cui non si coglie l’immediata presenza. Realizzato secondo una perfetta figura geometrica, il triangolo trova il suo equilibrio architettonico nella armonica e razionale integrazione tra le risoluzioni dei nodi di connessione e gli elementi portanti che costituiscono i lati del triangolo. Non sempre valorizzate, le capriate in legno hanno subito l’indifferente considerazione di chi ha ravvisato, nella povertà dei materiali impiegati e nella destinazione rurale del complesso abitativo, una sorta di antico retaggio, sottovalutando spesso l’idea progettuale ed artigianale di una struttura, la capriata, frutto di una razionale e millenaria evoluzione. Come riferimento storico la capriata, pur nella originaria e semplice interpretazione, trova le prime applicazioni, anche se con elementi lapidei a semplice contrasto, nelle tombe etrusche. Successivamente migliorata e reinterpretata con l’uso di materiali diversi, ha trovato razionale applicazione nelle coperture delle chiese di età romana e soprattutto è stata inserita come scelta costruttiva nell’arte Gotica. Possiamo semplicemente dedurre che l’arco e la capriata, pur realizzati con materiali diversi, nella stessa misura assolvono alla necessità di ridurre le spinte laterali sulle murature, razionalizzando e semplificando le sollecitazioni secondo i criteri della semplice compressione. Nella complessa ricerca della architettura della casa rurale, gli elementi strutturali adottati trovano riscontro nella semplicità e nella necessità impellente, già richiamata, di contenere i costi di costruzione nell’ambito delle possibili varianti. Un insieme di fattori hanno così contribuito alla realizzazione di case coloniche prive di inutili ricercatezze costruttive, razionali nelle loro funzioni e perfettamente integrate nell’assetto geometrico del territorio. Ai nostri giorni sono ancora percepibili i caratteri essenziali di questa architettura rurale. E’ vero che i tempi sono cambiati, ma sotto la spinta di nuove realtà economiche indissolubilmente legate alla economia del mondo rurale, gran parte dei fabbricati rurali hanno subito veri e propri stravolgimenti, spesso legati alle carenze di uno strumento urbanistico incapace di formulare i necessari riferimenti per la tutela di un patrimonio che, nel bene e nel male, è parte integrante del nostro territorio. Il risultato a suo tempo è stato apprezzabile; sicuramente dobbiamo fare autocritica per aver trascurato un’idea progettuale in sintonia con la vocazione dei luoghi e per non essere stati capaci di riproporre nuovi modelli alla luce soprattutto delle mutate condizioni economiche. E’ stato commesso l’errore di concepire la casa rurale come pretesa evoluzione della abitazione cittadina, perdendo ogni riferimento, come già detto, al rapporto istintivo tra territorio e popolazione.
Vittorio Di Lembo
Nel complesso degli interventi operati nell’Agro Pontino, l’appoderamento e la costruzione delle nuove città costituirono il maggior intervento edilizio realizzato negli anni Trenta nel Lazio. Anche fuori della nostra nazione si guardava all’edificazione dei nuovi centri nell’ambito dei lavori di bonifica, e l’attenzione nel tempo ha superato, per la stessa natura intellettuale dei personaggi interessati, l’ambito della propaganda del regime dell’epoca. Basti pensare al piano regolatore di Sabaudia affidato ai giovanissimi architetti razionalisti Cancellotti, Montuori, Scalpelli capeggiati da Luigi Piccinato, oppure ai pregevoli incarichi professionali portati a termine dal futurista Angiolo Mazzoni.
Con l’appoderamento l’interesse principale era l’assegnazione di un podere alla sua famiglia e ad ogni famiglia la propria casa. L’abitazione ha sempre rappresentato il mezzo per la conquista della terra: legare l’uomo alla terra significa valorizzare il connubio terra-lavoro con la possibilità di un maggior rendimento economico, parallelamente al riscatto dell’uomo dalla millenaria condizione di inferiorità legata alla insalubrità delle terre. Da qui è nata la necessità di definire e reinventare l’abitazione rurale specifica per la bonifica pontina. La progettazione, si commentò all’epoca, non deve essere riservata ai tecnici dell’abitazione urbana, ma esige soprattutto la conoscenza di altri parametri e per le abitazioni dell’agro pontino fu richiesta la collaborazione anche della classe media. La casa rurale non è quindi la semplificazione della casa cittadina, ma il perfezionamento di una esigenza intesa come necessità del mondo rurale. Nasce, di conseguenza, il concetto di casa rurale come espressione di una sentita aspirazione e nel contesto del rapporto istintivo tra territorio e popolazione. Quello che storicamente poteva costituire il ricovero realizzato con i materiali a portata di mano, con i più poveri elementi forniti dalla natura del luogo, nel sistema costruttivo delle abitazioni dell’Agro Pontino trova un tangibile riscontro nell’uso dei materiali reperibili in loco o nelle immediate vicinanze. L’uso della pozzolana, del tufo e del pietrame è il riscontro alla disponibilità dei materiali reperibili nelle immediate vicinanze dei siti bonificati ed in ogni caso, come per l’impiego dei laterizi, la provenienza era localizzata nel territorio di Formia, di Gaeta e di Roma. Anche l’impiego dei materiali locali, se da una parte sfruttava le risorse disponibili creando una stretta correlazione tra l’operato dell’uomo e l’offerta della natura, in molti casi ha determinato lo scempio di suggestivi scenari naturali, offrendo, negli anni a seguire, l’occasione per uno sfruttamento indiscriminato delle risorse. A mo’ di esempio citiamo le gravi deturpazioni arrecate al territorio di Sermoneta, con particolare riferimento alla torre di Monticchio quale testimonianza diretta del mancato rispetto ambientale. Sicuramente ai giorni nostri lo sfruttamento delle risorse avrebbe trovato un approccio meno distruttivo, frutto di una diversa sensibilità verso la tutela dell’ambiente e della natura in generale. Del resto se consideriamo le opere realizzate nell’ambito della bonifica, a prescindere dal significato politico, nel complesso l’operazione doveva essere condotta nel rispetto di alcuni parametri economici frutto del rapporto costi-benefici. Proprio l’aspetto economico, come incidenza per unità di superficie, ha gettato le basi per una ricerca quasi ossessiva del contenimento dei costi per abitazione poderale. Alla iniziale scelta di quattro-cinque poderi tipo è seguita la naturale realizzazione di ben diciotto tipologie, suggerite da esigenze ambientali, non solo di carattere climatico, ma richieste dalla irrinunciabile necessità di assegnare un appezzamento di terreno ed una abitazione per singoli nuclei familiari. La ricerca sistematica della diversificazione architettonica non alterò i conti economici per unità abitativa. Una volta superata l’esigenza di predisporre specifici ricoveri per il foraggio in virtù del clima adatto alla conservazione in spazi aperti, gli elementi accessori alla abitazione rurale si riducono in particolare alla concimaia, al forno, al pollaio, al pozzo con abbeveratoio ed alla latrina esterna. Dalla esigenza di integrare il ciclo produttivo ad uso e consumo del nucleo familiare, in molti poderi al tradizionale pollaio fu affiancato il porcile; ben altra considerazione merita la latrina esterna. Concepita per necessità prettamente igieniche unitamente alla esigenza del contenimento dei costi, trovò la sua collocazione a margine della concimaia, con scarico diretto nella stessa ma priva di acqua corrente, tanto che il sistema adottato, per libera caduta degli escrementi, superava anche questa ultima esigenza. Nel concetto di casa rurale alcune soluzioni adottate rappresentavano quanto di meglio fosse possibile realizzare. La presenza del forno, nella sua razionale e semplice articolazione, tende ad esaltare l’importanza della trasformazione del prodotto principe dell’agro pontino, il frumento, da sempre considerato alla base dell’alimentazione del mondo rurale. Non sfugge un altro elemento caratteristico di alcune tipologie di case coloniche; il comignolo del camino, elemento caratteristico che svetta dalle coperture a tetto e, per la specifica e semplice funzione, costituisce quasi un gioiello dell’arte della prefabbricazione. A prima vista potrebbe sembrare un vezzo architettonico ma nella sostanza assolve perfettamente allo smaltimento dei fumi da tutto il perimetro, superando così l’interferenza dei venti provenienti da qualsiasi direzione. Lo stesso comignolo si erge anche a simbolo del nucleo familiare, raccolto, unito e solidale nei numerosi componenti intorno al sacro camino. Le strutture murarie delle varie tipologie delle case coloniche fanno ricorso a soluzioni comuni generalmente improntate all’impiego di determinanti materiali costruttivi. Nel primo caso il laterizio caratterizza, a ragion veduta, tutta una serie di particolari costruttivi, sostituendo il tufo nelle connessioni strutturali ad angolo retto delle strutture portanti perimetrali e nella riquadratura delle aperture quali porte e finestre. L’impiego del laterizio pieno caratterizza le aperture ad arco spesso presenti come prezioso elemento architettonico. Qualche perplessità, ad una attenta analisi strutturale, nasce dalla osservanza delle murature interne al fabbricato. Qui l’esigenza principe del contenimento dei costi ha suggerito soluzioni semplicistiche, spesso staticamente carenti secondo le nuove tendenze costruttive. Tali strutture, nei casi di minor sollecitazione dei carichi, sono state realizzate in mattoni pieni ad una testa, a volte con mattoni forati detti in gergo “foratoni”, che nulla hanno però in comune con gli analoghi manufatti dei giorni nostri, se non la caratteristica di essere semi vuoti e di presentare uno spessore maggiore. Le fondazioni, sistematicamente realizzate a sacco con l’escavazione manuale della sede e fondate a profondità variabile a seconda della natura del terreno, sono state riempite con pietra calcarea e malta di calce e pozzolana. Tale tipo di muratura spesso costituisce un motivo ornamentale fino al raggiungimento della quota del pavimento al piano terra. Il relativo vespaio, in pietra tufacea o calcarea, completava il sottostante piano al pavimento del piano terra. La muratura in elevazione dal piano terra alla copertura presenta spesso una consistente diversificazione; da una parte troviamo la muratura così detta “alla romana”, costituita da elementi irregolari di tufo, con molta calce e pozzolana e, in senso orizzontale, da ricorsi di mattoni pieni in laterizio per assolvere alla funzione statica della ripartizione dei carichi verticali, dall’altra troviamo la muratura interamente eseguita con mattoni pieni in laterizio e la irrinunciabile malta di calce e pozzolana. Altra caratteristica strutturale è rappresentata dalle tipologie adottate per i solai al primo piano. Qui la fantasia costruttiva, per nulla improntata a cervellotiche soluzioni, ha forse trovato la più libera interpretazione, ricorrendo all’impiego del cemento armato a volte limitato al semplice cordolo di coronamento inserito nelle murature portanti. Tra i solai adottati potremmo citare le seguenti tipologie: a) travi di ferro a doppio T, intervallate di circa un metro, con travelloni in laterizio allettati da una trave all’altra. Il tutto colmato e livellato con malta di cretoni di pozzolana e calce. Il piano così realizzato costituiva il letto di posa del pavimento, rigorosamente in cotto di tenera consistenza. b) travi di ferro a doppio T, intervallati di circa un metro, con voltine di mattoni pieni in sostituzione dei classici tavelloni. Tale soluzione, pregevole sotto l’aspetto architettonico, non ha trovato nel tempo un riferimento degno di alcuna continuità costruttiva, a causa del dispendioso impiego di mano d’opera. c) latero-cemento armato, con travetti del tipo “SAP” posizionati in aderenza gli uni agli altri, poveri di conglomerato cementizio e privi della sovrastante caldana. La soluzione costituiva, da un punto di vista strutturale, la base di partenza per gli attuali solai in latero-cemento. Al primo piano le strutture portanti sono nettamente diversificate. Salve le murature perimetrali, strutturalmente consistenti per motivi di carattere statico, le murature interne al fabbricato denotano chiaramente la volontà di operare economie nell’impiego di materiali ed assolvono la semplice funzione di divisione dei vani abitativi. Del resto la soluzione adottata in copertura prevede un elemento orizzontale comunemente definito “camera a canne”, quasi posto a celare la pregevole soluzione della capriata in legno. La capriata in legno, con tutte le sue componenti accessorie, costituisce l’elemento portante del manto di tegole rigorosamente del tipo “marsigliese”. La camera a canne è letteralmente costituita da canne vegetali essiccate ed integrate, come elemento riempitivo di scarso peso, da un supporto di rete metallica; l’intonaco sommariamente sbruffato e lisciato legava il tutto denunciando ad opera finita, una parvenza di signorile protezione. Non bisogna dimenticare che gran parte dei nuclei familiari trasferiti nell’agro pontino provenivano dal mondo salariale di altre regioni, cioè erano costituiti da mano d’opera generica, dedita ai lavori condotti in periodi ben determinati della stagione agraria, avulsi da ogni cognizione tecnica specifica, tale da non ingenerare nelle masse quel senso di programmata attività legata alla conduzione diretta delle unità poderali. E’ stata una delle maggiori difficoltà sorte di fronte alla assunzione di dirette responsabilità delle attività agricole condotte in prima persona. Quelle che al primo impatto sembravano le condizioni ideali per la conduzione delle unità poderali, vale a dire la casa colonica, il fondo da coltivare, le scorte ed il bestiame, hanno inizialmente disorientato chi doveva assoggettarsi alla cadenza dei raccolti secondo un ciclo inevitabilmente riconducibile alla variazione delle stagioni. La casa colonica, pur concepita nelle sue essenziali articolazioni, era giudicata come semplice riparo, di cui non si coglieva inizialmente il pieno significato della funzione, a causa anche delle ataviche condizioni ambientali da cui spesso provenivano le famiglie insediate nell’agro pontino.Non dimentichiamo che in alcune zone di provenienza queste famiglie vivevano in miseri ripari, dove il problema giornaliero era costituito dalla necessità di procurarsi di che vivere. Questa quasi idillica e non vissuta condizione nell’agro Pontino, prospettata come naturale conquista di un futuro benessere ma estranea all’originaria condizione di vita delle popolazioni trasferite per necessità, creò seri disorientamenti di ambientazione. Tra gli elementi costruttivi più rappresentativi inseriti in alcune tipologie delle abitazioni rurali spiccano, non a caso, due ben caratterizzate figure geometriche: l’arco a semicerchio, tecnicamente definito “a tutto sesto”, realizzato al piano terra, privo di infissi e spesso reiterato in successione per consentire il libero accesso ad una superfice accessoria e la struttura a sostegno delle coperture della abitazione e della stalla rigorosamente di forma triangolare. Il primo, l’arco a semicerchio, ancor oggi perfettamente visibile anche in presenza di profondi rifacimenti, offre all’osservatore l’immediata percezione di un elemento architettonico con funzioni statiche e propone un felice connubio con le linee tese della abitazione rurale, senza assumere la funzione di un elemento decorativo fine a se stesso. Il secondo, la struttura lignea a sostegno delle coperture, costituisce un elemento portante di cui non si coglie l’immediata presenza. Realizzato secondo una perfetta figura geometrica, il triangolo trova il suo equilibrio architettonico nella armonica e razionale integrazione tra le risoluzioni dei nodi di connessione e gli elementi portanti che costituiscono i lati del triangolo. Non sempre valorizzate, le capriate in legno hanno subito l’indifferente considerazione di chi ha ravvisato, nella povertà dei materiali impiegati e nella destinazione rurale del complesso abitativo, una sorta di antico retaggio, sottovalutando spesso l’idea progettuale ed artigianale di una struttura, la capriata, frutto di una razionale e millenaria evoluzione. Come riferimento storico la capriata, pur nella originaria e semplice interpretazione, trova le prime applicazioni, anche se con elementi lapidei a semplice contrasto, nelle tombe etrusche. Successivamente migliorata e reinterpretata con l’uso di materiali diversi, ha trovato razionale applicazione nelle coperture delle chiese di età romana e soprattutto è stata inserita come scelta costruttiva nell’arte Gotica. Possiamo semplicemente dedurre che l’arco e la capriata, pur realizzati con materiali diversi, nella stessa misura assolvono alla necessità di ridurre le spinte laterali sulle murature, razionalizzando e semplificando le sollecitazioni secondo i criteri della semplice compressione. Nella complessa ricerca della architettura della casa rurale, gli elementi strutturali adottati trovano riscontro nella semplicità e nella necessità impellente, già richiamata, di contenere i costi di costruzione nell’ambito delle possibili varianti. Un insieme di fattori hanno così contribuito alla realizzazione di case coloniche prive di inutili ricercatezze costruttive, razionali nelle loro funzioni e perfettamente integrate nell’assetto geometrico del territorio. Ai nostri giorni sono ancora percepibili i caratteri essenziali di questa architettura rurale. E’ vero che i tempi sono cambiati, ma sotto la spinta di nuove realtà economiche indissolubilmente legate alla economia del mondo rurale, gran parte dei fabbricati rurali hanno subito veri e propri stravolgimenti, spesso legati alle carenze di uno strumento urbanistico incapace di formulare i necessari riferimenti per la tutela di un patrimonio che, nel bene e nel male, è parte integrante del nostro territorio. Il risultato a suo tempo è stato apprezzabile; sicuramente dobbiamo fare autocritica per aver trascurato un’idea progettuale in sintonia con la vocazione dei luoghi e per non essere stati capaci di riproporre nuovi modelli alla luce soprattutto delle mutate condizioni economiche. E’ stato commesso l’errore di concepire la casa rurale come pretesa evoluzione della abitazione cittadina, perdendo ogni riferimento, come già detto, al rapporto istintivo tra territorio e popolazione.
Vittorio Di Lembo
Nel complesso degli interventi operati nell’Agro Pontino, l’appoderamento e la costruzione delle nuove città costituirono il maggior intervento edilizio realizzato negli anni Trenta nel Lazio. Anche fuori della nostra nazione si guardava all’edificazione dei nuovi centri nell’ambito dei lavori di bonifica, e l’attenzione nel tempo ha superato, per la stessa natura intellettuale dei personaggi interessati, l’ambito della propaganda del regime dell’epoca. Basti pensare al piano regolatore di Sabaudia affidato ai giovanissimi architetti razionalisti Cancellotti, Montuori, Scalpelli capeggiati da Luigi Piccinato, oppure ai pregevoli incarichi professionali portati a termine dal futurista Angiolo Mazzoni.
Con l’appoderamento l’interesse principale era l’assegnazione di un podere alla sua famiglia e ad ogni famiglia la propria casa. L’abitazione ha sempre rappresentato il mezzo per la conquista della terra: legare l’uomo alla terra significa valorizzare il connubio terra-lavoro con la possibilità di un maggior rendimento economico, parallelamente al riscatto dell’uomo dalla millenaria condizione di inferiorità legata alla insalubrità delle terre. Da qui è nata la necessità di definire e reinventare l’abitazione rurale specifica per la bonifica pontina. La progettazione, si commentò all’epoca, non deve essere riservata ai tecnici dell’abitazione urbana, ma esige soprattutto la conoscenza di altri parametri e per le abitazioni dell’agro pontino fu richiesta la collaborazione anche della classe media. La casa rurale non è quindi la semplificazione della casa cittadina, ma il perfezionamento di una esigenza intesa come necessità del mondo rurale. Nasce, di conseguenza, il concetto di casa rurale come espressione di una sentita aspirazione e nel contesto del rapporto istintivo tra territorio e popolazione. Quello che storicamente poteva costituire il ricovero realizzato con i materiali a portata di mano, con i più poveri elementi forniti dalla natura del luogo, nel sistema costruttivo delle abitazioni dell’Agro Pontino trova un tangibile riscontro nell’uso dei materiali reperibili in loco o nelle immediate vicinanze. L’uso della pozzolana, del tufo e del pietrame è il riscontro alla disponibilità dei materiali reperibili nelle immediate vicinanze dei siti bonificati ed in ogni caso, come per l’impiego dei laterizi, la provenienza era localizzata nel territorio di Formia, di Gaeta e di Roma. Anche l’impiego dei materiali locali, se da una parte sfruttava le risorse disponibili creando una stretta correlazione tra l’operato dell’uomo e l’offerta della natura, in molti casi ha determinato lo scempio di suggestivi scenari naturali, offrendo, negli anni a seguire, l’occasione per uno sfruttamento indiscriminato delle risorse. A mo’ di esempio citiamo le gravi deturpazioni arrecate al territorio di Sermoneta, con particolare riferimento alla torre di Monticchio quale testimonianza diretta del mancato rispetto ambientale. Sicuramente ai giorni nostri lo sfruttamento delle risorse avrebbe trovato un approccio meno distruttivo, frutto di una diversa sensibilità verso la tutela dell’ambiente e della natura in generale. Del resto se consideriamo le opere realizzate nell’ambito della bonifica, a prescindere dal significato politico, nel complesso l’operazione doveva essere condotta nel rispetto di alcuni parametri economici frutto del rapporto costi-benefici. Proprio l’aspetto economico, come incidenza per unità di superficie, ha gettato le basi per una ricerca quasi ossessiva del contenimento dei costi per abitazione poderale. Alla iniziale scelta di quattro-cinque poderi tipo è seguita la naturale realizzazione di ben diciotto tipologie, suggerite da esigenze ambientali, non solo di carattere climatico, ma richieste dalla irrinunciabile necessità di assegnare un appezzamento di terreno ed una abitazione per singoli nuclei familiari. La ricerca sistematica della diversificazione architettonica non alterò i conti economici per unità abitativa. Una volta superata l’esigenza di predisporre specifici ricoveri per il foraggio in virtù del clima adatto alla conservazione in spazi aperti, gli elementi accessori alla abitazione rurale si riducono in particolare alla concimaia, al forno, al pollaio, al pozzo con abbeveratoio ed alla latrina esterna. Dalla esigenza di integrare il ciclo produttivo ad uso e consumo del nucleo familiare, in molti poderi al tradizionale pollaio fu affiancato il porcile; ben altra considerazione merita la latrina esterna. Concepita per necessità prettamente igieniche unitamente alla esigenza del contenimento dei costi, trovò la sua collocazione a margine della concimaia, con scarico diretto nella stessa ma priva di acqua corrente, tanto che il sistema adottato, per libera caduta degli escrementi, superava anche questa ultima esigenza. Nel concetto di casa rurale alcune soluzioni adottate rappresentavano quanto di meglio fosse possibile realizzare. La presenza del forno, nella sua razionale e semplice articolazione, tende ad esaltare l’importanza della trasformazione del prodotto principe dell’agro pontino, il frumento, da sempre considerato alla base dell’alimentazione del mondo rurale. Non sfugge un altro elemento caratteristico di alcune tipologie di case coloniche; il comignolo del camino, elemento caratteristico che svetta dalle coperture a tetto e, per la specifica e semplice funzione, costituisce quasi un gioiello dell’arte della prefabbricazione. A prima vista potrebbe sembrare un vezzo architettonico ma nella sostanza assolve perfettamente allo smaltimento dei fumi da tutto il perimetro, superando così l’interferenza dei venti provenienti da qualsiasi direzione. Lo stesso comignolo si erge anche a simbolo del nucleo familiare, raccolto, unito e solidale nei numerosi componenti intorno al sacro camino. Le strutture murarie delle varie tipologie delle case coloniche fanno ricorso a soluzioni comuni generalmente improntate all’impiego di determinanti materiali costruttivi. Nel primo caso il laterizio caratterizza, a ragion veduta, tutta una serie di particolari costruttivi, sostituendo il tufo nelle connessioni strutturali ad angolo retto delle strutture portanti perimetrali e nella riquadratura delle aperture quali porte e finestre. L’impiego del laterizio pieno caratterizza le aperture ad arco spesso presenti come prezioso elemento architettonico. Qualche perplessità, ad una attenta analisi strutturale, nasce dalla osservanza delle murature interne al fabbricato. Qui l’esigenza principe del contenimento dei costi ha suggerito soluzioni semplicistiche, spesso staticamente carenti secondo le nuove tendenze costruttive. Tali strutture, nei casi di minor sollecitazione dei carichi, sono state realizzate in mattoni pieni ad una testa, a volte con mattoni forati detti in gergo “foratoni”, che nulla hanno però in comune con gli analoghi manufatti dei giorni nostri, se non la caratteristica di essere semi vuoti e di presentare uno spessore maggiore. Le fondazioni, sistematicamente realizzate a sacco con l’escavazione manuale della sede e fondate a profondità variabile a seconda della natura del terreno, sono state riempite con pietra calcarea e malta di calce e pozzolana. Tale tipo di muratura spesso costituisce un motivo ornamentale fino al raggiungimento della quota del pavimento al piano terra. Il relativo vespaio, in pietra tufacea o calcarea, completava il sottostante piano al pavimento del piano terra. La muratura in elevazione dal piano terra alla copertura presenta spesso una consistente diversificazione; da una parte troviamo la muratura così detta “alla romana”, costituita da elementi irregolari di tufo, con molta calce e pozzolana e, in senso orizzontale, da ricorsi di mattoni pieni in laterizio per assolvere alla funzione statica della ripartizione dei carichi verticali, dall’altra troviamo la muratura interamente eseguita con mattoni pieni in laterizio e la irrinunciabile malta di calce e pozzolana. Altra caratteristica strutturale è rappresentata dalle tipologie adottate per i solai al primo piano. Qui la fantasia costruttiva, per nulla improntata a cervellotiche soluzioni, ha forse trovato la più libera interpretazione, ricorrendo all’impiego del cemento armato a volte limitato al semplice cordolo di coronamento inserito nelle murature portanti. Tra i solai adottati potremmo citare le seguenti tipologie: a) travi di ferro a doppio T, intervallate di circa un metro, con travelloni in laterizio allettati da una trave all’altra. Il tutto colmato e livellato con malta di cretoni di pozzolana e calce. Il piano così realizzato costituiva il letto di posa del pavimento, rigorosamente in cotto di tenera consistenza. b) travi di ferro a doppio T, intervallati di circa un metro, con voltine di mattoni pieni in sostituzione dei classici tavelloni. Tale soluzione, pregevole sotto l’aspetto architettonico, non ha trovato nel tempo un riferimento degno di alcuna continuità costruttiva, a causa del dispendioso impiego di mano d’opera. c) latero-cemento armato, con travetti del tipo “SAP” posizionati in aderenza gli uni agli altri, poveri di conglomerato cementizio e privi della sovrastante caldana. La soluzione costituiva, da un punto di vista strutturale, la base di partenza per gli attuali solai in latero-cemento. Al primo piano le strutture portanti sono nettamente diversificate. Salve le murature perimetrali, strutturalmente consistenti per motivi di carattere statico, le murature interne al fabbricato denotano chiaramente la volontà di operare economie nell’impiego di materiali ed assolvono la semplice funzione di divisione dei vani abitativi. Del resto la soluzione adottata in copertura prevede un elemento orizzontale comunemente definito “camera a canne”, quasi posto a celare la pregevole soluzione della capriata in legno. La capriata in legno, con tutte le sue componenti accessorie, costituisce l’elemento portante del manto di tegole rigorosamente del tipo “marsigliese”. La camera a canne è letteralmente costituita da canne vegetali essiccate ed integrate, come elemento riempitivo di scarso peso, da un supporto di rete metallica; l’intonaco sommariamente sbruffato e lisciato legava il tutto denunciando ad opera finita, una parvenza di signorile protezione. Non bisogna dimenticare che gran parte dei nuclei familiari trasferiti nell’agro pontino provenivano dal mondo salariale di altre regioni, cioè erano costituiti da mano d’opera generica, dedita ai lavori condotti in periodi ben determinati della stagione agraria, avulsi da ogni cognizione tecnica specifica, tale da non ingenerare nelle masse quel senso di programmata attività legata alla conduzione diretta delle unità poderali. E’ stata una delle maggiori difficoltà sorte di fronte alla assunzione di dirette responsabilità delle attività agricole condotte in prima persona. Quelle che al primo impatto sembravano le condizioni ideali per la conduzione delle unità poderali, vale a dire la casa colonica, il fondo da coltivare, le scorte ed il bestiame, hanno inizialmente disorientato chi doveva assoggettarsi alla cadenza dei raccolti secondo un ciclo inevitabilmente riconducibile alla variazione delle stagioni. La casa colonica, pur concepita nelle sue essenziali articolazioni, era giudicata come semplice riparo, di cui non si coglieva inizialmente il pieno significato della funzione, a causa anche delle ataviche condizioni ambientali da cui spesso provenivano le famiglie insediate nell’agro pontino.Non dimentichiamo che in alcune zone di provenienza queste famiglie vivevano in miseri ripari, dove il problema giornaliero era costituito dalla necessità di procurarsi di che vivere. Questa quasi idillica e non vissuta condizione nell’agro Pontino, prospettata come naturale conquista di un futuro benessere ma estranea all’originaria condizione di vita delle popolazioni trasferite per necessità, creò seri disorientamenti di ambientazione. Tra gli elementi costruttivi più rappresentativi inseriti in alcune tipologie delle abitazioni rurali spiccano, non a caso, due ben caratterizzate figure geometriche: l’arco a semicerchio, tecnicamente definito “a tutto sesto”, realizzato al piano terra, privo di infissi e spesso reiterato in successione per consentire il libero accesso ad una superfice accessoria e la struttura a sostegno delle coperture della abitazione e della stalla rigorosamente di forma triangolare. Il primo, l’arco a semicerchio, ancor oggi perfettamente visibile anche in presenza di profondi rifacimenti, offre all’osservatore l’immediata percezione di un elemento architettonico con funzioni statiche e propone un felice connubio con le linee tese della abitazione rurale, senza assumere la funzione di un elemento decorativo fine a se stesso. Il secondo, la struttura lignea a sostegno delle coperture, costituisce un elemento portante di cui non si coglie l’immediata presenza. Realizzato secondo una perfetta figura geometrica, il triangolo trova il suo equilibrio architettonico nella armonica e razionale integrazione tra le risoluzioni dei nodi di connessione e gli elementi portanti che costituiscono i lati del triangolo. Non sempre valorizzate, le capriate in legno hanno subito l’indifferente considerazione di chi ha ravvisato, nella povertà dei materiali impiegati e nella destinazione rurale del complesso abitativo, una sorta di antico retaggio, sottovalutando spesso l’idea progettuale ed artigianale di una struttura, la capriata, frutto di una razionale e millenaria evoluzione. Come riferimento storico la capriata, pur nella originaria e semplice interpretazione, trova le prime applicazioni, anche se con elementi lapidei a semplice contrasto, nelle tombe etrusche. Successivamente migliorata e reinterpretata con l’uso di materiali diversi, ha trovato razionale applicazione nelle coperture delle chiese di età romana e soprattutto è stata inserita come scelta costruttiva nell’arte Gotica. Possiamo semplicemente dedurre che l’arco e la capriata, pur realizzati con materiali diversi, nella stessa misura assolvono alla necessità di ridurre le spinte laterali sulle murature, razionalizzando e semplificando le sollecitazioni secondo i criteri della semplice compressione. Nella complessa ricerca della architettura della casa rurale, gli elementi strutturali adottati trovano riscontro nella semplicità e nella necessità impellente, già richiamata, di contenere i costi di costruzione nell’ambito delle possibili varianti. Un insieme di fattori hanno così contribuito alla realizzazione di case coloniche prive di inutili ricercatezze costruttive, razionali nelle loro funzioni e perfettamente integrate nell’assetto geometrico del territorio. Ai nostri giorni sono ancora percepibili i caratteri essenziali di questa architettura rurale. E’ vero che i tempi sono cambiati, ma sotto la spinta di nuove realtà economiche indissolubilmente legate alla economia del mondo rurale, gran parte dei fabbricati rurali hanno subito veri e propri stravolgimenti, spesso legati alle carenze di uno strumento urbanistico incapace di formulare i necessari riferimenti per la tutela di un patrimonio che, nel bene e nel male, è parte integrante del nostro territorio. Il risultato a suo tempo è stato apprezzabile; sicuramente dobbiamo fare autocritica per aver trascurato un’idea progettuale in sintonia con la vocazione dei luoghi e per non essere stati capaci di riproporre nuovi modelli alla luce soprattutto delle mutate condizioni economiche. E’ stato commesso l’errore di concepire la casa rurale come pretesa evoluzione della abitazione cittadina, perdendo ogni riferimento, come già detto, al rapporto istintivo tra territorio e popolazione.
Vittorio Di Lembo
Nel complesso degli interventi operati nell’Agro Pontino, l’appoderamento e la costruzione delle nuove città costituirono il maggior intervento edilizio realizzato negli anni Trenta nel Lazio. Anche fuori della nostra nazione si guardava all’edificazione dei nuovi centri nell’ambito dei lavori di bonifica, e l’attenzione nel tempo ha superato, per la stessa natura intellettuale dei personaggi interessati, l’ambito della propaganda del regime dell’epoca. Basti pensare al piano regolatore di Sabaudia affidato ai giovanissimi architetti razionalisti Cancellotti, Montuori, Scalpelli capeggiati da Luigi Piccinato, oppure ai pregevoli incarichi professionali portati a termine dal futurista Angiolo Mazzoni.
Con l’appoderamento l’interesse principale era l’assegnazione di un podere alla sua famiglia e ad ogni famiglia la propria casa. L’abitazione ha sempre rappresentato il mezzo per la conquista della terra: legare l’uomo alla terra significa valorizzare il connubio terra-lavoro con la possibilità di un maggior rendimento economico, parallelamente al riscatto dell’uomo dalla millenaria condizione di inferiorità legata alla insalubrità delle terre. Da qui è nata la necessità di definire e reinventare l’abitazione rurale specifica per la bonifica pontina. La progettazione, si commentò all’epoca, non deve essere riservata ai tecnici dell’abitazione urbana, ma esige soprattutto la conoscenza di altri parametri e per le abitazioni dell’agro pontino fu richiesta la collaborazione anche della classe media. La casa rurale non è quindi la semplificazione della casa cittadina, ma il perfezionamento di una esigenza intesa come necessità del mondo rurale. Nasce, di conseguenza, il concetto di casa rurale come espressione di una sentita aspirazione e nel contesto del rapporto istintivo tra territorio e popolazione. Quello che storicamente poteva costituire il ricovero realizzato con i materiali a portata di mano, con i più poveri elementi forniti dalla natura del luogo, nel sistema costruttivo delle abitazioni dell’Agro Pontino trova un tangibile riscontro nell’uso dei materiali reperibili in loco o nelle immediate vicinanze. L’uso della pozzolana, del tufo e del pietrame è il riscontro alla disponibilità dei materiali reperibili nelle immediate vicinanze dei siti bonificati ed in ogni caso, come per l’impiego dei laterizi, la provenienza era localizzata nel territorio di Formia, di Gaeta e di Roma. Anche l’impiego dei materiali locali, se da una parte sfruttava le risorse disponibili creando una stretta correlazione tra l’operato dell’uomo e l’offerta della natura, in molti casi ha determinato lo scempio di suggestivi scenari naturali, offrendo, negli anni a seguire, l’occasione per uno sfruttamento indiscriminato delle risorse. A mo’ di esempio citiamo le gravi deturpazioni arrecate al territorio di Sermoneta, con particolare riferimento alla torre di Monticchio quale testimonianza diretta del mancato rispetto ambientale. Sicuramente ai giorni nostri lo sfruttamento delle risorse avrebbe trovato un approccio meno distruttivo, frutto di una diversa sensibilità verso la tutela dell’ambiente e della natura in generale. Del resto se consideriamo le opere realizzate nell’ambito della bonifica, a prescindere dal significato politico, nel complesso l’operazione doveva essere condotta nel rispetto di alcuni parametri economici frutto del rapporto costi-benefici. Proprio l’aspetto economico, come incidenza per unità di superficie, ha gettato le basi per una ricerca quasi ossessiva del contenimento dei costi per abitazione poderale. Alla iniziale scelta di quattro-cinque poderi tipo è seguita la naturale realizzazione di ben diciotto tipologie, suggerite da esigenze ambientali, non solo di carattere climatico, ma richieste dalla irrinunciabile necessità di assegnare un appezzamento di terreno ed una abitazione per singoli nuclei familiari. La ricerca sistematica della diversificazione architettonica non alterò i conti economici per unità abitativa. Una volta superata l’esigenza di predisporre specifici ricoveri per il foraggio in virtù del clima adatto alla conservazione in spazi aperti, gli elementi accessori alla abitazione rurale si riducono in particolare alla concimaia, al forno, al pollaio, al pozzo con abbeveratoio ed alla latrina esterna. Dalla esigenza di integrare il ciclo produttivo ad uso e consumo del nucleo familiare, in molti poderi al tradizionale pollaio fu affiancato il porcile; ben altra considerazione merita la latrina esterna. Concepita per necessità prettamente igieniche unitamente alla esigenza del contenimento dei costi, trovò la sua collocazione a margine della concimaia, con scarico diretto nella stessa ma priva di acqua corrente, tanto che il sistema adottato, per libera caduta degli escrementi, superava anche questa ultima esigenza. Nel concetto di casa rurale alcune soluzioni adottate rappresentavano quanto di meglio fosse possibile realizzare. La presenza del forno, nella sua razionale e semplice articolazione, tende ad esaltare l’importanza della trasformazione del prodotto principe dell’agro pontino, il frumento, da sempre considerato alla base dell’alimentazione del mondo rurale. Non sfugge un altro elemento caratteristico di alcune tipologie di case coloniche; il comignolo del camino, elemento caratteristico che svetta dalle coperture a tetto e, per la specifica e semplice funzione, costituisce quasi un gioiello dell’arte della prefabbricazione. A prima vista potrebbe sembrare un vezzo architettonico ma nella sostanza assolve perfettamente allo smaltimento dei fumi da tutto il perimetro, superando così l’interferenza dei venti provenienti da qualsiasi direzione. Lo stesso comignolo si erge anche a simbolo del nucleo familiare, raccolto, unito e solidale nei numerosi componenti intorno al sacro camino. Le strutture murarie delle varie tipologie delle case coloniche fanno ricorso a soluzioni comuni generalmente improntate all’impiego di determinanti materiali costruttivi. Nel primo caso il laterizio caratterizza, a ragion veduta, tutta una serie di particolari costruttivi, sostituendo il tufo nelle connessioni strutturali ad angolo retto delle strutture portanti perimetrali e nella riquadratura delle aperture quali porte e finestre. L’impiego del laterizio pieno caratterizza le aperture ad arco spesso presenti come prezioso elemento architettonico. Qualche perplessità, ad una attenta analisi strutturale, nasce dalla osservanza delle murature interne al fabbricato. Qui l’esigenza principe del contenimento dei costi ha suggerito soluzioni semplicistiche, spesso staticamente carenti secondo le nuove tendenze costruttive. Tali strutture, nei casi di minor sollecitazione dei carichi, sono state realizzate in mattoni pieni ad una testa, a volte con mattoni forati detti in gergo “foratoni”, che nulla hanno però in comune con gli analoghi manufatti dei giorni nostri, se non la caratteristica di essere semi vuoti e di presentare uno spessore maggiore. Le fondazioni, sistematicamente realizzate a sacco con l’escavazione manuale della sede e fondate a profondità variabile a seconda della natura del terreno, sono state riempite con pietra calcarea e malta di calce e pozzolana. Tale tipo di muratura spesso costituisce un motivo ornamentale fino al raggiungimento della quota del pavimento al piano terra. Il relativo vespaio, in pietra tufacea o calcarea, completava il sottostante piano al pavimento del piano terra. La muratura in elevazione dal piano terra alla copertura presenta spesso una consistente diversificazione; da una parte troviamo la muratura così detta “alla romana”, costituita da elementi irregolari di tufo, con molta calce e pozzolana e, in senso orizzontale, da ricorsi di mattoni pieni in laterizio per assolvere alla funzione statica della ripartizione dei carichi verticali, dall’altra troviamo la muratura interamente eseguita con mattoni pieni in laterizio e la irrinunciabile malta di calce e pozzolana. Altra caratteristica strutturale è rappresentata dalle tipologie adottate per i solai al primo piano. Qui la fantasia costruttiva, per nulla improntata a cervellotiche soluzioni, ha forse trovato la più libera interpretazione, ricorrendo all’impiego del cemento armato a volte limitato al semplice cordolo di coronamento inserito nelle murature portanti. Tra i solai adottati potremmo citare le seguenti tipologie: a) travi di ferro a doppio T, intervallate di circa un metro, con travelloni in laterizio allettati da una trave all’altra. Il tutto colmato e livellato con malta di cretoni di pozzolana e calce. Il piano così realizzato costituiva il letto di posa del pavimento, rigorosamente in cotto di tenera consistenza. b) travi di ferro a doppio T, intervallati di circa un metro, con voltine di mattoni pieni in sostituzione dei classici tavelloni. Tale soluzione, pregevole sotto l’aspetto architettonico, non ha trovato nel tempo un riferimento degno di alcuna continuità costruttiva, a causa del dispendioso impiego di mano d’opera. c) latero-cemento armato, con travetti del tipo “SAP” posizionati in aderenza gli uni agli altri, poveri di conglomerato cementizio e privi della sovrastante caldana. La soluzione costituiva, da un punto di vista strutturale, la base di partenza per gli attuali solai in latero-cemento. Al primo piano le strutture portanti sono nettamente diversificate. Salve le murature perimetrali, strutturalmente consistenti per motivi di carattere statico, le murature interne al fabbricato denotano chiaramente la volontà di operare economie nell’impiego di materiali ed assolvono la semplice funzione di divisione dei vani abitativi. Del resto la soluzione adottata in copertura prevede un elemento orizzontale comunemente definito “camera a canne”, quasi posto a celare la pregevole soluzione della capriata in legno. La capriata in legno, con tutte le sue componenti accessorie, costituisce l’elemento portante del manto di tegole rigorosamente del tipo “marsigliese”. La camera a canne è letteralmente costituita da canne vegetali essiccate ed integrate, come elemento riempitivo di scarso peso, da un supporto di rete metallica; l’intonaco sommariamente sbruffato e lisciato legava il tutto denunciando ad opera finita, una parvenza di signorile protezione. Non bisogna dimenticare che gran parte dei nuclei familiari trasferiti nell’agro pontino provenivano dal mondo salariale di altre regioni, cioè erano costituiti da mano d’opera generica, dedita ai lavori condotti in periodi ben determinati della stagione agraria, avulsi da ogni cognizione tecnica specifica, tale da non ingenerare nelle masse quel senso di programmata attività legata alla conduzione diretta delle unità poderali. E’ stata una delle maggiori difficoltà sorte di fronte alla assunzione di dirette responsabilità delle attività agricole condotte in prima persona. Quelle che al primo impatto sembravano le condizioni ideali per la conduzione delle unità poderali, vale a dire la casa colonica, il fondo da coltivare, le scorte ed il bestiame, hanno inizialmente disorientato chi doveva assoggettarsi alla cadenza dei raccolti secondo un ciclo inevitabilmente riconducibile alla variazione delle stagioni. La casa colonica, pur concepita nelle sue essenziali articolazioni, era giudicata come semplice riparo, di cui non si coglieva inizialmente il pieno significato della funzione, a causa anche delle ataviche condizioni ambientali da cui spesso provenivano le famiglie insediate nell’agro pontino.Non dimentichiamo che in alcune zone di provenienza queste famiglie vivevano in miseri ripari, dove il problema giornaliero era costituito dalla necessità di procurarsi di che vivere. Questa quasi idillica e non vissuta condizione nell’agro Pontino, prospettata come naturale conquista di un futuro benessere ma estranea all’originaria condizione di vita delle popolazioni trasferite per necessità, creò seri disorientamenti di ambientazione. Tra gli elementi costruttivi più rappresentativi inseriti in alcune tipologie delle abitazioni rurali spiccano, non a caso, due ben caratterizzate figure geometriche: l’arco a semicerchio, tecnicamente definito “a tutto sesto”, realizzato al piano terra, privo di infissi e spesso reiterato in successione per consentire il libero accesso ad una superfice accessoria e la struttura a sostegno delle coperture della abitazione e della stalla rigorosamente di forma triangolare. Il primo, l’arco a semicerchio, ancor oggi perfettamente visibile anche in presenza di profondi rifacimenti, offre all’osservatore l’immediata percezione di un elemento architettonico con funzioni statiche e propone un felice connubio con le linee tese della abitazione rurale, senza assumere la funzione di un elemento decorativo fine a se stesso. Il secondo, la struttura lignea a sostegno delle coperture, costituisce un elemento portante di cui non si coglie l’immediata presenza. Realizzato secondo una perfetta figura geometrica, il triangolo trova il suo equilibrio architettonico nella armonica e razionale integrazione tra le risoluzioni dei nodi di connessione e gli elementi portanti che costituiscono i lati del triangolo. Non sempre valorizzate, le capriate in legno hanno subito l’indifferente considerazione di chi ha ravvisato, nella povertà dei materiali impiegati e nella destinazione rurale del complesso abitativo, una sorta di antico retaggio, sottovalutando spesso l’idea progettuale ed artigianale di una struttura, la capriata, frutto di una razionale e millenaria evoluzione. Come riferimento storico la capriata, pur nella originaria e semplice interpretazione, trova le prime applicazioni, anche se con elementi lapidei a semplice contrasto, nelle tombe etrusche. Successivamente migliorata e reinterpretata con l’uso di materiali diversi, ha trovato razionale applicazione nelle coperture delle chiese di età romana e soprattutto è stata inserita come scelta costruttiva nell’arte Gotica. Possiamo semplicemente dedurre che l’arco e la capriata, pur realizzati con materiali diversi, nella stessa misura assolvono alla necessità di ridurre le spinte laterali sulle murature, razionalizzando e semplificando le sollecitazioni secondo i criteri della semplice compressione. Nella complessa ricerca della architettura della casa rurale, gli elementi strutturali adottati trovano riscontro nella semplicità e nella necessità impellente, già richiamata, di contenere i costi di costruzione nell’ambito delle possibili varianti. Un insieme di fattori hanno così contribuito alla realizzazione di case coloniche prive di inutili ricercatezze costruttive, razionali nelle loro funzioni e perfettamente integrate nell’assetto geometrico del territorio. Ai nostri giorni sono ancora percepibili i caratteri essenziali di questa architettura rurale. E’ vero che i tempi sono cambiati, ma sotto la spinta di nuove realtà economiche indissolubilmente legate alla economia del mondo rurale, gran parte dei fabbricati rurali hanno subito veri e propri stravolgimenti, spesso legati alle carenze di uno strumento urbanistico incapace di formulare i necessari riferimenti per la tutela di un patrimonio che, nel bene e nel male, è parte integrante del nostro territorio. Il risultato a suo tempo è stato apprezzabile; sicuramente dobbiamo fare autocritica per aver trascurato un’idea progettuale in sintonia con la vocazione dei luoghi e per non essere stati capaci di riproporre nuovi modelli alla luce soprattutto delle mutate condizioni economiche. E’ stato commesso l’errore di concepire la casa rurale come pretesa evoluzione della abitazione cittadina, perdendo ogni riferimento, come già detto, al rapporto istintivo tra territorio e popolazione.