Solenne per la grandezza dello spirito che ha avvolto Latina negli ultimi quattro giorni, prima con la baraonda variopinta e un po’ folle delle migliaia di visitatori piovuti in città, e ieri 10 Maggio 2009 per l’ordinata e geometrica magnificenza di una sfilata che ha affascinato tutti indistintamente.
Lasciamo da parte le facili suggestioni alimentate dalle note delle fanfare e cancelliamo il galeotto sostegno dei battimani, resta la sostanza di un evento che ha costretto Latina e la sua gente a mostrarsi per quello che sono. E stavolta, per una volta, sono stati all’altezza della situazione. Forse era l’evento in sé il collante che ci mancava, e va sottolineato che la cittadinanza di Latina ha smarrito perfino l’abitudine di festeggiare il santo patrono.
Non vale la pena andare a caccia dei responsabili, lo siamo un po’ tutti, ma abbiamo scoperto ieri qual è il prezzo di questa astinenza pluridecennale: abbiamo vissuto per troppo tempo senza occasioni di aggregazione, senza mai respirare il clima di una città in festa. E la conseguenza non è soltanto quella di una scarsa propensione al folclore, ma più concretamente l’incapacità diffusa di comunicare attraverso la semplicità del corpo a corpo, dello stare insieme anche senza conoscersi, di «sentirsi» anche senza stringersi la mano, di essere uniti per il semplice fatto di vivere gli stessi luoghi, le stesse piazze.
Il regalo più significativo dei trecentomila alpini venuti da noi per la loro tradizionale adunata è senz’altro quello di averci aiutato a scoprirci, noi gente di Latina, capaci di stare tra noi e con gli altri, e nel modo migliore e più apprezzabile. Non ci resta che fare tesoro di questa esperienza e metterla a frutto. Come? Creando le condizioni perché le manifestazioni in città si moltiplichino, e con esse le occasioni di vivere la comunità, di stanarla da un letargo ormai insopportabile e pericolosamente votato alla putrefazione delle coscienze. Non avremo un’altra adunata degli alpini né qualcosa di paragonabile per impegno e dimensioni, ed è per questo che non possiamo permetterci il lusso di disperdere l’eredità della grande opportunità che questo evento ci ha offerto.
Dobbiamo creare dieci, cento, mille occasioni di incontro, i nostri amministratori debbono cominciare a lavorare anche per questo. Perché si può stare anche senza una strada o senza un marciapiede, si può vivere una crisi forte e sentirne il peso, ma non si può resistere all’assenza dello spirito comunitario e al senso di identità.
FONTE:
Alessandro Panigutti
Latina Oggi